X. Il diletto ch'è nel dissimulare

Onesta ed util è la dissimulazione, e di piú, ripiena di piacere; perché se la vittoria è sempre soave, e come disse Ludovico Ariosto,

Fu il vincer sempre mai lodabil cosa,
vincasi per fortuna o per ingegno,

è chiaro che 'l vincer per sola forza d'ingegno succede con maggior allegrezza, e molto piú nel vincer se stesso, ch'è la piú gloriosa vittoria che possa riportarsi. Quest'avviene nel dissimulare, con che, dalla ragione superato il senso, si riceve intiera quiete; ed ancorché si senta non poco dolor quando si tace quello che si vorrebbe dire, o si lascia di far quanto vien rappresentato dall'affetto, nondimeno piace poi grandemente d'aver usata sobrietà di parole e di fatti. A questa conseguenza di sodisfazzione, ha da rivolger il pensiero chi disidera di viver con riposo; e ciascun, che vuol ben accorgersene per gl'interessi suoi, vegga sopra di ciò gli altrui falli, e cosí ben conosca che tanto è nostro quanto è in noi medesimi. Non dico che non si han da fidar nel seno dell'amico i segreti, ma che sia veramente amico; ed è degno di gran considerazione, in quell'epigramma di Marziale, dove parla a se stesso della vita beata, che nominando a questo fine dicisette cose, fa che stia nel mezzo “prudens simplicitas”, dicendo:

Vitam quae faciunt beatiorem,
iucundissime Martialis, haec sunt:
res non parta labore, sed relicta;
non ingratus ager, focus perennis;
lis nunquam, toga rara, mens quieta;
vires ingenuae, salubre corpus,
prudens simplicitas, pares amici,
convictus facilis, sine arte mensa;
nox non ebria, sed soluta curis;
non tristis torus, attamen pudicus;
somnus qui faciat breves tenebras;
quod sis esse velis nihilque malis,
summum nec metuas diem nec optes.

Il prudente candor dell'animo è dunque il centro della tranquillità. “Hoc opus, hic labor”.

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