XVIII. Del dissimular l'altrui fortunata ignoranzia

Gran tormento è di chi ha valore, il veder il favor della fortuna, in alcuni del tutto ignoranti; che senz'altra occupazione, che di attender a star disoccupati, e senza saper che cosa è la terra che han sotto i piedi, son talora padroni di non picciola parte di quella. Veramente chi si mette a considerar questa miseria, è in pericolo di perder la quiete, se insieme non s'accorge che la medesima fortuna, che talora fa qualche piacere alla turba degli sciocchi, suol abbandonar l'impresa, e quando piú luce, si rompe, lasciando scherniti que' che non son degni della sua grazia; e di piú la gente di questa qualità, non ha che pretender per l'acquisto di quella gloria, che solamente appartiene a chi sa da dovero; e se qualche uomo di eccellente virtú, alcuna volta sta quasi sepellito vivo, in ogni modo si ha da udir il grido del suo merito; e non solo la voce ne dee risonar tra quelli che vivono nel medesimo tempo, ma se ne va passando da un secolo all'altro; perché il vero valor è

che fa per fama gli uomini immortali,

come disse il Petrarca; e prima di lui Dante:

vedi se far si dee l'uomo eccellente
sí ch'altra vita la prima relinqua.

Di questa maniera si libera il nome dalle mani della morte,

ed un'anima piena di cosí alta

speranza, non sente noia che

a qualche indegno e da

poco, per poco tempo, si

faccia applauso, es-

sendo un salto di

fortuna che se

ne passa senza

lasciar ve-

stigio,

come il fumo

nell'aria.

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