Il Vitello

20 luglio.

Ma sì! Per il mese che potrò restarci in riposo e quiete il luogo mi piace. Pura l'aria che cala dai monti e sale dal fiume; bella la vista dalla mia finestra; fresche le ombre d'intorno: un senso d'antica pace contiene questa vecchia casa dai muri massicci. E i padroni di casa son ricchi d'antico stampo, ricchi che lavorano la terra e mostrano nell'onesta faccia e nei modi franchi una semplicità cordiale. Non ci siamo mai visti prima d'oggi, e ci siamo riconosciuti subito. I due vecchi — il reggitore e la reggitora — m'han chiesto tante scuse non so di che, asserendo per altro che qui starò benone; nè m'han detto d'aver dubitato che rinunciassi a venir da loro perchè ci hanno, in casa, una parente malata. La casa è così grande! E io non debbo darmene pensiero; non debbo nemmen sapere in che camera giaccia quella poverina: debbo godermi senza fastidi la bella campagna, e nessuno mi disturberà. Sono libero! solo!

A Francesco, il padron giovine, che è lui di fatto il reggitore della famiglia o il direttore dell'azienda, è bastato avvertirmi che sarà sempre pronto a' miei comandi; e lo zio e il garzone, più timidi, e gli operai mi fanno scappellate da lungi, e zitti. Quanto a Reno, il compagno che avrò sempre fido, mi dice tante cose, ma senza parlare. È un grosso cane dagli occhi malinconici, dal muso lungo e dal cranio appuntito: intelligente, e anche con lui ci siamo riconosciuti subito. S'avventa furioso agl'intrusi; me, mi ha accolto scodinzolando, quasi sapesse che sarei arrivato, e mi promette un affetto immenso in ricambio di qualche tozzo di pane. Degli altri animali, non ho da temere nessun disturbo. La cascina con la stalla piena di buoi è discosta; la cavallina pascola queta nel prato; la scrofa e il degno figliuolo si imbrattano lontano... Ho visto, tra le galline, i galletti, i tacchini e le anitre, un'oca; ma che ha a fare un'oca con un letterato che usa penne d'acciaio?

Dunque pace e libertà; ozio e beatitudine!

... Quale sarà la camera dell'inferma?

22 luglio.

Ieri, mentre desinavo al rezzo, è capitato il medico condotto. Saluti; pochi complimenti. Gli ho chiesto: — È grave? — Non ha potuto negare che è uno di quei casi in cui la scienza si rimette ai decreti della natura; però ha soggiunto: — È robusta, e tirerà innanzi un pezzo. — Come a dire: — Stia pur tranquillo; stia allegro. Morirà quando lei non sarà più qui. — Benissimo! — Buona sera, dottore!

... La sera, quando sono andato di sopra, ho guardato all'uscio in fondo alla loggia. È sempre chiuso: deve essere là.

24 luglio.

Io sto bene. La mattina mi alzo col sole e la frescura mi ravviva il sangue per tutta la giornata. A un'ora di sole, come dicon qui, una carrozzella viene a prendermi e mi guida lungo il fiume, per una strada deliziosa, allo «Stabilimento». E faccio un bagno grato quanto un lavacro spirituale. Al ritorno, la colazione, bevendo acqua eccellente e vino idem, mi persuade meglio di un volume di Tolstoi che la felicità sta in noi. Posso abbandonarmi, io, anche a una dormitina di alcune ore.

E segue, nel pomeriggio, la lettura dei giornali. Politica, scandali, delitti, informazioni sfuggon di sotto agli occhi senza lasciar tracce nella memoria. Nè si dica che l'ozio annoia. Un filosofico benchè muto colloquio con Reno, quando non mi sonnecchia a lato; una capatina nel frutteto dove anneriscono certe prugne e s'indorano certi fichi da Paradiso Terrestre; un'occhiata ai lavori dei campi; un po' d'attesa a chi passi per la via —, e giunge l'ora di desinare. La sera, vengono a trovarmi conoscenti vecchi e nuovi, e si chiacchiera, si fuma, si beve, si gusta la bellezza del firmamento, e si ride. C'è uno il quale ride con tale impeto che deve udirsi anche nella camera più recondita della casa...

Lo so! lo so! La Morte, nel suo transito fatale e perenne, guarda a questa casa di buona gente.

Tutto mio, tutto mio — canta da presso la civetta.

Ma: — Non ci badi — mi dice il reggitore. — È il suo verso.

25 luglio .

Effetto d'assuefazione: il ricordo dell'inferma, ridestato in me dal quotidiano apparir del medico, non mi dava più che una tenuissima noia. Non c'è beatitudine perfetta; e Reno, per esempio, non manca di pulci.

Se non che la paesana che mi serve da cuoca ha vinto finalmente la soggezione, ha sciolta la lingua e mi ha avvelenata la colazione, stamattina.

— Sa? — mi ha detto. — L'ho vista...

— Chi?

— L'ammalata.

— Ebbene?

— Vedesse com'è ridotta! Era una bella donnona, ma adesso... Patisce pene d'inferno. Eppoi, ha una paura...

— Paura di che?

— Teme dar disturbo a lei. Quando si lamenta, per il male, si sforza perchè lei non senta...

Per poco io non ho gettato a Reno tutta la bistecca. E la cuoca ha seguitato:

— Esser ridotta così, agli ultimi anni, che avrebbe potuto passarli bene! Perchè ha dei quattrinetti. Staremo a vedere a chi toccheranno.

Intanto io pensavo...

E l'altra puntando l'indice al naso e facendomi la confidenza a voce sommessa (non è una chiacchierona):

— Gli eredi, vedrà, saranno questi parenti qui, sebbene ne abbia degli altri, più stretti. Ma di chi la colpa? Ha una nipote, figlia di sua sorella, che è in bisogno. La nipote, appena lei cominciò a patire, se la prese in casa per curarla meglio, diceva. Invece un bel giorno le ragazze, le figliole, aprirono cassa e armadio e se ne spartirono i panni, come fosse già morta. Son cose da fare? Un po' di prudenza ci vuole, di pazienza! E l'ammalata se ne addiede; mandò a chiamare il reggitore, questo qui, e si fece portar via. Allora la nipote mise di mezzo un frate...

Io pensavo...

—... un frate che la consigliasse a far testamento e a lasciar tutto a lei. Il testamento l'ha fatto, ma — l'ho saputo da un testimonio — alla nipote gli toccheranno solo cento scudi.

Io pensavo: «Se ammalato fossi io, in questa casa, e quella poverina fosse sana, non verrebbe forse a salutarmi qualche volta? a farmi coraggio?».

— Le avete fatto coraggio? — ho chiesto alla cuoca.

— Sì. Le ho detto: — quel signore che è qui vi vuol presto nel prato a conversare con lui.

— E lei?

— Ha voltato la testa, ha ficcato la faccia contro il cuscino, per pianger piano...

27 luglio.

Dimani la voglio fare, la mia visita di pietà. La voglio fare! La debbo fare! A ogni costo.

28 luglio.

Oggi è domenica, e l'inferma ha avuto altre visite e parole di consolazione; attimi, forse, di speranza. Tra gli altri che son venuti a trovarla c'è stata la nipote vedova, quella avida dell'eredità, e a vederla si direbbe una buona donna; ma che non fa il bisogno? Essa, che è sorda e sorride come i sordi, ha rotta la consegna di non avvicinarmi; è venuta a chiedermi se sto bene, per susurrarmi che l'ammalata sta male. — Male! male! Non camperà una settimana. Il dottore non capisce niente.

31 luglio.

Anzi il dottore ha capito subito la mia intenzione. Alla dimanda: — È molto peggiorata? —, s'è prima stretto nelle spalle, significandomi che talvolta la natura non s'appaga di vincer la scienza ma vuol anche corbellarla; poi ha detto: — È meglio che lei non la veda.

Consiglio disinteressato! La vista dolorosa potrebbe, infatti, guastarmi il sangue. Ma io, risolutamente, ho imposto a me stesso un aut-aut : domani o vederla o partire!

1 agosto.

E stamane la cuoca mi ha chiesto:

— Ha sentito? questa notte?

Anche le notti scorse, svegliandomi di soprassalto, ho teso l'orecchio, se mi giungesse qualche gemito, e non ho mai udito nulla.

— C'è stato il prete tutta notte.

Il prete? ad assisterla? Avrà dunque perduta la coscienza. La mia visita sarebbe ormai inutile...

Che sollievo!

Ma per tutto il giorno ho dubitato. — È morta? — La reggitora e il figliuolo mi sfuggivano; il vecchio m'ha parlato del tempo, e che non piove, e che mancherà presto il mangime alle bestie... Sempre disgrazie! Però nella faccia onesta leggevo una maggior pena: quella di non aver saputo e di non sapermi preparare all'evento. Egli e i suoi si sentono in colpa verso di me. Turbare la mia quiete così!

A sera ho scorso la vecchia salir frettolosa le scale con un bicchierino di vin santo...

2 agosto.

Tutto mio! tutto mio! È morta.

3 agosto.

Sono casi, ma strani e perciò notevoli. Ieri sera Reno — non ci fu verso — ha voluto salir con me, s'è accucciato presso il mio letto e v'è rimasto tutta notte. Abbiamo dormito poco e male.

Oggi ho chiamato Francesco, il giovine, e gli ho detto sottovoce:

— Non vi date pensiero. Quando la porterete via, andrò per il campo.

Egli mi ha sorriso e, al tempo stesso, ha lasciato scorrere per le guancie abbronzate due lagrimoni.

Ha detto:

— Lei badi a Reno. — Poi, come a un amico:

— Alla disgrazia ci eravamo preparati; ma adesso cominceranno i guai, per quel po' di roba...

***

Via! Il diavolo non è mai brutto come si dipinge, ossia la Provvidenza non manca mai. Non dico per me: io ho mantenuto la parola, nè mi sono afflitto troppo, per non dar dispiacere ai miei ospiti. Dal campo, lontano, ho sogguardato al trasparir delle fiammelle, tra gli alberi; e tenevo in chiacchiere Reno perchè non uggiolasse.

E dopo, anzi, mi sono quasi divertito.

Persiste in questi luoghi l'uso della cena funebre, a cui s'invita la parentela e che, con una bella scorpacciata, accorda in piena cordialità le necrologie. Però qui minacciava la questione del testamento, noto per l'indiscrezione dei testimoni. Anche coloro che nulla ne speravano temevano da un momento all'altro il conflitto fra la nipote vedova e sorda, o i suoi figliuoli, e i presunti eredi.

Dalli e dalli, chi con dire: — La poverina ha finito di soffrire — o: — Ha fatto il suo purgatorio in terra —; e chi con aggiungere: — Adesso sta meglio di noi — o: — È in Paradiso di sicuro — la sorda ha udito e non ha potuto contenersi.

— In Paradiso ci sarà andata se avrà fatto le cose giuste.

Le ha risposto Francesco, il giovinotto:

— Non sta a noi giudicare.

Ma ha ribattuto un figlio della vedova:

— Sta a chi ha nelle vene più sangue della sua gente, di lei. Gli eredi dobbiamo esser noialtri! Siamo noi i parenti più stretti!

E il reggitore, il vecchio:

— La roba si lascia a quelli che la meritano, a quelli che ci voglion più bene!

— Bravo! — ha esclamato un Tizio rompendo la neutralità.

— No! — ha esclamato un altro, il quale deve trovarsi in cattive acque: — Si aiuta chi ha bisogno! Se no, il diavolo ride!

Così il conflitto è presto diventato una mischia di voci virili e femminili. Già sormontava qualche bestemmia romagnola. Il sangue romagnolo ribolle per poco; e qui non si trattava di poco, ma di più che diecimila lire: nella Cassa! — Si sa! — Lo sappiamo! Dov'è il libretto?

— Il libretto — ha gridato Francesco — l'ho io in consegna e lo darò a chi di ragione!

Intanto anche Reno ringhiava. Il baccano degli uomini e delle donne offendeva il suo senso bestiale.

***

— Oh! reggitore! Francesco! correte!

E la voce del garzone ha soggiunto, anche più forte:

— Portate del sale! Correte!

Che cosa è successo? Che cosa succede?

Accorrono con la lanterna, col lume; anch'io accorro, tra gli altri, uomini e donne, nella stalla. Quivi le voci irose si mutano in esclamazioni di meraviglia o d'invidia... Una vacca ha partorito, zitta e quieta, un bel vitello! Com'è grande! Vedo il vecchio cosparger di sale il neonato e la madre lambirlo, leccarlo, tutto molle, con materna tenerezza.

— Chi va e chi viene — osserva il vecchio sorridendo e rialzandosi.

E le parole del saggio inspirano d'improvviso il padrone giovine. Francesco, in mezzo agli astanti, chiama la vedova. Dice:

— Sentite, Rosina. Non sta a noi giudicare la volontà di quella che se n'è andata. Avrà fatto le cose secondo la sua coscienza. Ma per amore di quella che se n'è andata, voi l'accetterete da noi, quando sarà da vendere, questo che è venuto proprio adesso, come mandato da Dio a metter pace tra di noi?

La sorda resta un po' estatica, con gli occhi fissi, quasi dubiti di aver male udito; poi si getta singhiozzando nelle braccia di Francesco.

Un brivido fugge per i rudi nervi degli astanti; a qualcuno s'arrossan gli occhi. Si mormora: bravo! bene! Parecchi si abbracciano.

***

... E andiamo a letto contenti tutti. Io ho in cuore una tenerezza...; e mi par di vedere la puerpera leccare e tener caldo col fiato il suo figliuolo.

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