III.

Un giorno, e non seppe né dove né come, Riccardo perdette l'anello; e n'ebbe grande dolore, e solo dopo assai tempo poté darsi pace di questa sventura. Ma perduto l'oggetto del ricordo perdette anche la tenacia e la virtú del ricordo, ed il freno di sé. Meditò l'adulterio a pena s'avvide che la moglie d'un suo amico e compagno di traffici lo adocchiava proterva; e, avendo agio a praticarsi, dopo poco e facilmente essi s'intesero fra di loro.

Quando, nell'abbraccio dell'adulterio, ecco che dalla attitudine disonesta e incomposta di quella donna il pensiero di Riccardo fu respinto a vedere la moglie nella sommissione vergognosa e pudica delle prime strette nuziali, ed ecco che il raffronto gli ridestò vivo, preciso, sensibile tutto che della moglie aveva smarrito e obliato: le sembianze, la voce, lo sguardo, il respiro. Egli sobbalzò repugnando; e di meraviglia la donna rise, salace. Ma Riccardo riudiva la moglie raccomandarsi al suo amore e raccomandargli la fede in lei mentre piangeva e gli porgeva l'anello, e nello spirito, respinto da quel ricordo d'amore alla fede antica di Dio, egli ebbe anche l'allucinazione dell'antico portento: - Torna a Dio ed in patria. Va!

Cosí quella voce che l'aveva ammonito con visibile segno ad andare al passaggio, l'ammoniva ora, oscura nell'animo, e sembrava che gli dicesse quest'altre parole: - Se la tua donna potrà riconoscerti e ti sarà rimasta fedele, Dio t'avrà perdonato. - Riccardo fuggí dalla donna e recatosi da un cavaliere dell'Ospedale, uomo di probità conosciuta, l'impegnò a distribuire fra i poveri di Tolomeide le sue ricchezze male acquistate: né di quanto aveva acquistato con onesta fatica ritenne piú del bisogno ad imbarcarsi in una nave che quel giorno stesso salpava da Acri.

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