SCENA PRIMA

Creonte, Emone

Creonte

Ma che? tu sol nella mia gioja, o figlio,

afflitto stai? Di Tebe al fin sul trono

vedi il tuo padre; e tuo retaggio farsi

questo mio scettro. Onde i lamenti? duolti

d’Edippo forse, o di sua stirpe rea?

Emone

E ti parria delitto aver pietade

d’Edippo, e di sua stirpe? A me non fia,

nel dì funesto in cui vi ascendi, il trono

di così lieto augurio, onde al dolore

chiuda ogni via. Tu stesso un dì potresti

pentito pianger l’acquistato regno.

Creonte

Io piangerò, se pianger dessi, il lungo

tempo, che a’ rei nepoti, infami figli

del delitto, obbedia. Ma, se l’orrendo

lor nascimento con più orrenda morte

emendato hanno, eterno oblio li copra.

Compiuto appena il lor destin, più puro

in Tebe il sol, l’aer più sereno, i Numi

tornar più miti: or sì, sperar ne giova

più lieti dì.

Emone

Tra le rovine, e il sangue

de’ più stretti congiunti, ogni altra speme,

che di dolor, fallace torna. Edippo,

di Tebe un re, (che tale egli é pur sempre)

di Tebe un re, ch’esul, ramingo, cieco,

spettacol nuovo a Grecia tutta appresta:

duo fratelli che svenansi; fratelli

del padre lor; figli d’incesta madre

a te sorella, e di sua man trafitta:

vedi or di nomi orribile mistura,

e di morti, e di pianto. Ecco la strada,

ecco gli auspicj, onde a regnar salisti.

Ahi padre! esser puoi lieto?

Creonte

Edippo solo

questa per lui contaminata terra,

col suo più starvi, alla terribil ira

del ciel fea segno; era dover, che sgombra

fosse di lui. – Ma i nostri pianti interi,

figlio, non narri. Ahi scellerato Edippo!

che non mi costi tu? La morte io piango

anco d’un figlio; il tuo maggior fratello,

Menéceo; quegli, che all’empie e stolte fraudi,

ai vaticinj menzogneri e stolti

di un Tiresia credé: Menèceo, ucciso

di propria man, per salvar Tebe; ucciso,

mentre pur vive Edippo? Ai suoi delitti

poca è vendetta il suo perpetuo esiglio. –

Ma, seco apporti ad altri lidi Edippo

quella, che il segue ovunque i passi ei muova,

maledizion del cielo. Il pianger noi,

cosa fatta non toglie; oggi il passato

obliar dessi, e di Fortuna il crine

forte afferrare.

Emone

Instabil Dea, non ella

forza al mio cor farà. Del ciel lo sdegno

bensì temer, padre, n’è d’uopo. Ah! soffri,

che franco io parli. Il tuo crudel divieto,

che le fiere de’ Greci ombre insepolte

varcar non lascia oltre Acheronte, al cielo

grida vendetta. Oh! che fai tu? di regno

e di prospera sorte ebbro, non pensi,

che Polinice è regio sangue, e figlio

di madre a te sorella? Ed ei pur giace

ignudo in campo: almen lo esangue busto

di lui nepote tuo, lascia che s’arda.

Alla infelice Antigone, che vede

di tutti i suoi l’ultimo eccidio, in dono

concedi il corpo del fratel suo amato.

Creonte

Al par degli empj suoi fratelli, figlia

non è costei di Edippo?

Emone

Al par di loro,

dritto ha di Tebe al trono. Esangue corpo

ben puoi dar per un regno.

Creonte

A me nemica

ell’è...

Emone

Nol creder.

Creonte

Polinice ell’ama,

e il genitor; Creonte dunque abborre.

Emone

Oh ciel! del padre, del fratel pietade

vuoi tu ch’ella non senta? In pregio forse

più la terresti, ove spietata fosse?

Creonte

Più in pregio, no; ma, la odierei pur meno. –

Re gli odj altrui prevenir dee; nemico

stimare ogni uom, che offeso ei stima. – Ho tolto

ad Antigone fera ogni pretesto,

nel torle il padre. Esuli uniti entrambi,

potean, vagando, un re trovar, che velo

fosse all’innata ambizïon d’impero

di mentita pietade; e in armi a Tebe,

qual venne Adrasto, un dì venisse. – Io t’odo

biasmare, o figlio, il mio divieto, a cui

alta ragion, che tu non sai, mi spinse.

Ti fia poi nota; e, benché dura legge,

vedrai, ch’ella era necessaria.

Emone

Ignota

m’è la ragion, di’ tu? ma ignoti, parmi,

ten son gli effetti. Antigone può in Tebe

dell’esul padre, e del rapito trono,

e del fratello che giace insepolto,

non la cercando, ritrovar vendetta.

Mormora il volgo, a cui tua legge spiace;

e assai ne sparla, e la vorria delusa;

e rotta la vorrà.

Creonte

Rompasi; ch’altro

non bramo io, no; purché la vita io m’abbia

di qual primier la infrangerà.

Emone

Qual fero

nemico a danno tuo ciò ti consiglia?

Creonte

– Amor di te, sol mi v’astringe: il frutto

tu raccorrai di quanto or biasmi. Avvezzo

a delitti veder ben altri in Tebe

è il cittadin; che può far altro omai,

che obbedirmi, e tacersi?

Emone

Acchiusa spesso

nel silenzio è vendetta...

Creonte

In quel di pochi;

ma, nel silenzio di una gente intera,

timor si acchiude, e servitù. – Tralascia

di opporti, o figlio, a mie paterne viste.

Non ho di te maggior, non ho più dolce

cura, di te: solo mi avanzi; e solo

di mie fatiche un dì godrai. Vuoi forse

farti al tuo padre, innanzi tempo, ingrato? –

Ma, qual di armati, e di catene suono?...

Emone

Oh! chi mai viene?... In duri lacci avvolte

donne son tratte?... Antigone! che miro?...

Creonte

Cadde l’incauta entro mia rete; uscirne

male il potrà.

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