Creonte, Emone
Creonte
Ad ascoltarti eccomi presto, o figlio.
Udir da te cose importanti io deggio,
dicesti; e udirne potrai forse a un tempo
tali da me.
Emone
Supplice vengo: il fero
del tuo sdegno bollente impeto primo
affrontar non doveva: or, ch’ei dà loco
alla ragione io (benché sol) di Tebe
pur tutta a nome, io ti scongiuro, o padre,
di usar pietade. A me la negheresti?
Tua legge infranto han le pietose donne;
ma chi tal legge rotta non avrebbe?...
Creonte
Qual mi ardiria pregar per chi la infranse,
altri che tu?
Emone
Né in tuo pensier tu stesso
degna di morte la lor santa impresa
estimi; ah! no; sì ingiusto, snaturato
non ti credo, né il sei.
Creonte
Tebe, e il mio figlio,
mi appellin crudo a lor piacer, mi basta
l’esser giusto. Obbedire a tutte leggi,
tutti il debbono al par, quai che sien elle:
rendono i re dell’opre loro ai soli
Numi ragione; e non v’ha età, né grado,
né sesso v’ha, che il rio delitto escusi
del non sempre obbedir. Pochi impuniti
danno ai molti licenza.
Emone
In far tua legge,
credesti mai, che dispregiarla prime
due tai donne ardirebbero? una sposa,
una sorella, a gara entrambe fatte
del sesso lor maggiori?...
Creonte
Odimi, o figlio;
nulla asconder ti deggio. – O tu nol sappi,
ovvero nol vogli, o il mio pensier tu finga
non penetrar finora, aprirtel bramo. –
Credei, sperai; che dico? a forza io volli,
che il mio divieto in Tebe a infranger prima,
sola, Antigone fosse; al fin l’ottenni,
rea s’è fatt’ella; omai la inutil legge
fia tolta...
Emone
Oh cielo!... E tu, di me sei padre?...
Creonte
Ingrato figlio;... o mal esperto forse;
che tale ancora crederti a me giova:
padre ti sono: e se tu m’hai per reo,
il son per te.
Emone
Ben veggio arte esecranda,
onde inalzarmi credi. – O infame trono,
mio non sarai tu mai, se mio de’ farti
sì orribil mezzo.
Creonte
Io ’l tengo, è mio tuttora,
mio questo trono, che non vuoi. – Se al padre
qual figlio il dee non parli, al re tu parli.
Emone
Misero me!... Padre,... perdona;... ascolta;... –
Oh ciel! tuo nome oscurerai, né il frutto
raccorrai della trama. In re tant’oltre
non val poter, che di natura il grido
a opprimer basti. Ogni uom della pietosa
vergine piange il duro caso: e nota,
ed abborrita, e non sofferta forse
sarà tal arte dai Tebani.
Creonte
E ardisci
tu il dubbio accor, finora a tutti ignoto,
se obbedir mi si debba? Al poter mio,
altro confin che il voler mio non veggio.
Tu il regnar non m’insegni. In cor d’ogni uomo
ogni altro affetto, che il terrore, io tosto
tacer farò.
Emone
Vani i miei preghi adunque?
Il mio sperar di tua pietade?...
Creonte
Vano.
Emone
Prole di re, donne, ne andranno a morte,
perché al fratello, ed al marito, hann’arso
dovuto rogo?
Creonte
Una v’andrà. – Dell’altra
poco rileva; ancor nol so.
Emone
Me dunque,
me pur con essa manderai tu a morte.
Amo Antigone, sappi; e da gran tempo
l’amo; e, più assai che la mia vita, io l’amo.
E pria che tormi Antigone, t’è forza
tormi la vita.
Creonte
Iniquo figlio!... Il padre
ami così?
Emone
T’amo quant’essa; e il cielo
ne attesto.
Creonte
Ahi duro inciampo! – Inaspettato
ferro mortal nel cor paterno hai fitto.
Fatale amore! al mio riposo, al tuo,
e alla gloria d’entrambi! Al mondo cosa
non ho di te più cara... Amarti troppo
è il mio solo delitto... E tal men rendi
tu il guiderdone? ed ami, e preghi, e vuoi
salva colei, che il mio poter deride;
che me dispregia, e dirmel osa; e in petto
cova del trono ambizïosa brama?
Di questo trono, oggi mia cura, in quanto
ei poscia un dì fia tuo.
Emone
T’inganni: in lei
non entra, il giuro, alcun pensier di regno:
in te, bensì, pensier null’altro alligna.
Quindi non sai, né puoi saper per prova
l’alta possa d’amor, cui debil freno
fia la ragion tuttora. A te nemica
non estimavi Antigone, che amante
pur n’era io già: cessar di amarla poscia,
non stava in me: tacer poteami, e tacqui;
né parlerei, se tu costretto, o padre,
non mi v’avessi. – Oh cielo! a infame scure
porgerà il collo?... ed io soffrirlo?... ed io
vederlo? – Ah! tu, se rimirar potessi
con men superbo ed offuscato sguardo
suo nobil cor, l’alto pensar, sue rare
sublimi doti; ammirator tu, padre,
sì, ne saresti al par di me; tu stesso,
più assai di me. Chi, sotto il crudo impero
d’Eteòcle, mostrarsi amico in Tebe
di Polinice ardì? l’ardia sol ella.
Il padre cieco, da tutti diserto,
in chi trovò, se non in lei, pietade?
Giocasta infin, già tua sorella, e cara,
dicevi allor; qual ebbe, afflitta madre,
altro conforto al suo dolore immenso?
Qual compagna nel piangere? qual figlia
altra, che Antigon’, ebbe? – Ella è d’Edippo
prole, di’ tu? ma, sua virtude è ammenda
ampia del non suo fallo. – Ancor tel dico;
non è di regno il pensier suo: felice
mai non sperar di vedermi a suo costo:
deh, lo fosse ella al mio! Del mondo il trono
darìa per lei, non che di Tebe.
Creonte
– Or, dimmi
sei parimente riamato?
Emone
Amore
non è, che il mio pareggi. Ella non m’ama;
né amarmi può: s’ella non mi odia, è quanto
basta al mio cor; di più non spero: è troppo,
al cor di lei, che odiar pur me dovrebbe.
Creonte
Di’; potrebb’ella a te dar man di sposa?
Emone
Vergin regal, cui tolti a un tempo in guisa
orribil sono ambo i german, la madre,
e il genitor, darìa mano di sposa?
e la darebbe a chi di un sangue nasce
a lei fatale, e a’ suoi? Ch’io tanto ardissi?
La mano offrirle, io, di te figlio?
Creonte
Ardisci;
tua man le rende in un la vita, e il trono.
Emone
Troppo mi é nota; e troppo io l’amo: in pianto
cresciuta sempre, or più di pria nel pianto
suoi giorni mena. Un tempo a lei men tristo
risorgerà poi forse, e avverso meno
al mio amor; tu il potrai poscia...
Creonte
Che al tempo,
ed a’ suoi dubbj eventi, il destin nostro
accomandare io voglia? invan lo speri. –
Al mio cospetto, olà, traggasi or tosto
Antigone. – Di morte ella é ben rea;
dargliela posso a dritto; e, per me forse,
dargliela fia più certo util partito...
Ma pur, mi sei caro così, ch’io voglio
lasciarla in vita, accoglierla qual figlia,
s’ella esser tua consente. Or, fia la scelta
dubbia, fra morte e fra regali nozze?
Emone
Dubbia? ah! no: morte, ella scerrà.
Creonte
Ti abborre
dunque.
Emone
Tropp’ama i suoi.
Creonte
T’intendo. O figlio!
Vuoi, che la vita io serbi a chi torrebbe
la vita a me, dove il potesse? A un padre,
che tanto t’ama, osi tu chieder tanto?