I POETI
Commedia in un atto
recitata nel Teatro stesso, dopo la Cleopatra
scena prima Zeusippo, solo
ZEUSIPPO: Ah misero Zeusippo! e a che ti serve di esserti nell'accademia degli stupidi alteramente denominato, il Sofocléo, mentre si avvicina l'ora in cui ti sarà barbaramente discinto il coturno? io sudo e gelo nel pensare all'esito della mia povera tragedia. Ma che diavolo di capriccio fu questo, di voler balzar d'un salto in cima al Parnasso, e scrivere il poema il piú difficile a ben eseguirsi, prima quasi d'aver finito d'imparare gli elementi grammaticali della toscana favella? ardir veramente Poetico. – Ma queste riflessioni bisognava farle avanti; ora son tarde, e ridicole. – Eppure non mi posso far animo, e tremo come se io avessi fatto una bricconeria: ma è meglio assai di farla, che di scrivere una cattiva tragedia. Non tutti i bricconi tremano; è vero poi, che né anche tutti i cattivi poeti. Zeusippo, segui tracotante le orme dei poetastri, e se spiacerà la tragedia, concludi ad esempio loro, che il Publico non ha gusto, non ha discernimento; che giudica per invidia; e che tu sei un eccellente poeta. – Muse, castissime, benché da tanti profanate; biondo Apollo, la di cui cetra è assai miglior della mia; orgoglioso Pegaso, che sí sovente inciampi quando sei carico dal soverchio peso d'un cattivo cavalcatore; tu che sí raramente spieghi per noi le tue ale per innalzarti a volo: tutti, tutti v'imploro in queste penosissime circostanze. Affascinate gli occhi e gli orecchi de' spettatori, sí che l'infelice Cleopatra appaia lor degna almeno di compassione. – Ma voi, barbare Deità, sorde vi mostrate: io vi abbandono, non fo piú versi; siete troppo ingrate: dirò del male di voi, farò un madrigale; disonorerò tutta la vostra famiglia: tremate.
Apollo al par di me tristo, e meschino
dal cielo in bando, esule, e ramingo
ti festi pastorello, poverino,
in Tessaglia d'Admeto; e ognor solingo
non ne sapesti pur servare il gregge;
te l'involò Mercurio... te l'involò
Mercurio;... Te l'involò Mercurio...
diavolo, la rima in egge m'è mancata, e la non vuol venire. Va, che sei felice, Apollo; che se la rima veniva…
scena seconda Orfeo, Zeusippo
ORFEO: Amatissimo Zeusippo, che fai? mi par che tu sii turbato. Sempre nuovi pensieri, eh? componi componi...
ZEUSIPPO: Signore Orfeo straccione, la non mi corbelli. Io già ho rinunziato alla poesia; e stavo facendo qualche rime per vendicarmi d'Apollo; e poi finisco; non ne vo piú sapere...
ORFEO: Farete male, male assai. E qual disgrazia v 'obbliga a rotolar dal Parnasso? La vostra tragedia credo avrà un ottimo successo. Ho visto moltissima gente affollarsi all'entrata: questo è buon segno. Io ci sarei andato pure, se mi aveste regalato il viglietto; ma ve ne siete scordato. Eppure vi avrei potuto giovar molto, col battere delle mani a proposito, coll'esclamare con entusiasmo: Oh che bella parlata! Che scena! Che sentimenti! Siccome ho ancor io (non fo per dire) un qualche grido nella letteraria repubblica, quei pochi sciocchi che mi avrebbero circondato avrebbero anch'essi caldamente applaudito; e forse, forse...
ZEUSIPPO: No, caro Orfeo; questi son mezzi troppo vili; e, dovendovi regalare, amico, non vi darei un viglietto d'ingresso; non avete bisogno di pascervi lo spirito; sono altre necessità piú essenziali a noi poeti; e se fossi ricco, ricompenserei in altro modo la vostra sviscerata amicizia. Ma, credete', che pur troppo l'ingegno non fá fortuna; e nel vederci accoppiati, chiunque ci prenderebbe per la Discordia e l'Invidia, quali si dipingono dai poeti e pittori. Ah duro mestiere in vero è quello, che noi pratichiamo. Come fate voi, Orfeo, per avere una faccia cosí allegra e gioiosa? Credo che né il Tasso, né il Petrarca, né alcun altro fra i piú celebri poeti d'Italia, avessero mai un viso, un portamento cosí altero, e cosí contento di sé medesimo. Io all'incontro poi, pallido, smunto, macilento, ed egro, porto scritti in fronte tutti i piú funesti attributi della poesia infelice.
ORFEO: Questo a voi stà benissimo. Cosí dev'essere il poeta tragico; sempre pensieroso, guardar bieco, trattar la fame eroicamente; lodar poco, o di nascosto: domandar mercede nelle dedicatorie; scegliere i piú alti signori per indirizzarli i suoi componimenti, sí perché meno degl'altri gli intendono, sí perché piú d'ogni altro si mostrano generosi. Io all'incontro, devo aver faccia di Lirico, e questa dev'essere gioviale, allegra, ridente, sardonica, ma non pingue, perché non sarebbe poetica. Io con un sonetto mi rendo amico un innamorato sciapito che vuoi lodar la sua Diva, ma che disgraziatamente non ha imparato nei suoi primi anni a leggere. Io con un epitalamio m'invito destramente ad un convito di nozze, e colà poeticamente mi sfamo per parecchi giorni. Io con un madrigaletto, con un epigramma, che sò io, con altre simili bagatelle, mi vò procurando giorni felici, riputazion mediocre; e dal mio basso inalzo ridendo gli sguardi temerari sino alle piú alte piume del cimiero de' tragici, e non li invidio.
ZEUSIPPO: Ah, non insultare cosí il coturno. Io, non volendo abbandonar la poesia, preferirei di gran lunga il morir di fame in compagnia de' miei attori al quint'atto di una mia mediocre tragedia, all'arricchirmi componendo madrigali e sonetti. – Ma qualcuno si appressa: io tremo di bel nuovo. Oh cielo! vien l'emulo Leone; egli ha un'aria soddisfatta; la Cleopatra non è piaciuta; io son perduto.
scena terza Leone, Zeusippo, Orfeo
LEONE: Amici, oh che felice incontro! Zeusippo, vi ho ascoltato con molto piacere: dovete trovarvi anche voi al teatro, avreste fatto sobissar la platea dagli applausi.
ZEUSIPPO: Via, signor Leone, voi mi dite troppo; non vi credo; e non ho ancora il viso bastantemente sciacquato da Ippocrene, per presentarmi al pubblico senza arrossire: credo sarei morto d'affanno, se io mi trovava alla rappresentazione.
LEONE: Eh, che rossore? questo non è color poetico; scacciate coteste fanciullesche imaginazioni. Componete, rappresentate voi stesso, seguite gl'impulsi del genio Febeo, e non arrossite mai.
ZEUSIPPO: Seguirò il consiglio, che voi mi predicate ancor piú efficacemente con l'esempio, che colle vostre lusinghiere parole. Ma, alle corte; noi due ci corbelliamo l'un l'altro; siamo entrambi, poeti, tragici entrambi, entrambi forse cattivi: noi non ci possiamo amare, potressimo però giovarci vicendevolmente, se volessimo francamente parlare l'uno dei componimenti dell'altro; e ciò, con quella pietosa fratellevole discrezione, che sogliono aver fra di loro gli autori ec.
E basta: perché non ce n'entra piú; e perché troppo ce n'è entrato fin qui.