Appendice settima(cap. XV)

CLEOPATRA TERZA

quale fu recitata nel Teatro Carignano

Atto primo

scena prima Cleopatra, Ismene

CLEOPATRA

Che farò?... Giusti Dei... Scampo non veggo

ad isfuggire il precipizio orrendo.

Ogni stato, benché meschino e vile,

mi raffiguro in mente; ogni periglio

stolta ravviso, e niun, fra tanti, ardisco

affrontare, o fuggir, dubbi crudeli

squarcianmi il petto, e non mi fan morire,

né mi lasciano pur riposo, e vita.

Raccapriccio d'orror; l'onore, il regno

prezzo non son d'un tradimento atroce;

ambo mi par di aver perduti; e Antonio,

Antonio, sí, vedo talor frall'ombre

gridar vendetta, e strascinarmi seco.

Tanto dunque, o rimorsi, è il poter vostro?

ISMENE

Se hai pietà di te stessa, i moti affrena

d'un disperato cuor; d'altro non temi,

che non piú riveder quel fido amante?

Ma ignori ancor, se vincitore, o vinto,

se viva, o no...

CLEOPATRA

E s'ei vivesse ancora,

con qual fronte, in qual modo, a lui davanti

presentarmi potrò, se l'ho tradito?

Della virtú qual è forza ignota,

se un reo neppur può tollerarne i guardi?

ISMENE

No, Regina, non è sí reo quel core,

che sente ancor rimorsi...

CLEOPATRA

Ah! sí, li sento:

e notte, e dí, e accompagnata, e sola,

sieguonmi ovunque, e il lor funesto aspetto

non mi lascia di pace un sol momento

Eppur, gridano invan; nell'alma mia

servir dovranno a piú feroci affetti;

né scorgi tu questo mio cuor qual sia.

Mille rivolgo altri pensieri in mente,

ma il crudel dubbio, d'ogni mal peggiore,

vietami ognor la necessaria scelta.

ISMENE

Cleopatra, perché prima sciogliesti

l'Egize vele all'aura, allor che d'Azio

n'ingombravano il mar le navi amiche?

E allor che il Mondo, alla gran lite intento,

pendea per darsi al vincitore in preda,

chi mai t'indusse a cosí incauta fuga?

CLEOPATRA

Amor non è, che m'avvelena i giorni;

mossemi ognor l'ambizion d'impero.

Tutte tentai, e niuna in van, le vie,

che all'alto fin trar mi dovean gloriosa:

ogni passione in me soggiacque a quella,

ed alla mia passion le altrui serviro.

Cesare il primo, il crin mi cinse altero

del gran diadema: e non al solo Egitto

leggi dettai, che quanta Terra oppressa

avea già Roma, e il vincitor di lei,

vidi talora ai cenni miei soggetta.

Era il mio cor d'alta corona il prezzo,

né l'ebbe alcun, fuorché reggesse il Mondo.

Un trono, a cui da sí gran tempo avea

la virtude, l'onor, la fè, donata,

non lo volli affidare al dubbio evento,

e alla sorte inegual dell'armi infide…

serbar lo volli: e lo perdei fuggendo;...

vacilla il piè su questo inerme soglio;

e a disarmare il vincitor nemico,

altro piú non mi resta che il mio pianto...

tardi m'affliggo, e non cancella il pianto

un tanto error, anzi lo fa piú vile.

ISMENE

Regina, il tuo dolor desta pietade

in ogni cor, ma la pietade è vana.

Rientra in te, riasciuga il pianto, e mira

con piú intrepido ciglio ogni sventura;

né soggiacer: ch'alma regale è forza

si mostri ognor de' mali suoi maggiore.

I mezzi adopra che parran piú pronti

alla salute, od al riparo almeno

del tuo regno.

CLEOPATRA

Mezzi non vedo, ignoto

della gran pugna essendo ancor l'evento:

né error novello, ai già commessi errori

aggiunger sò, finché mi sia palese.

D'Azzio lasciai l'instabil mar coperto,

di navi, e d'armi, e d'aguerrita gente,

sí che l'onda in quel dí vermiglia, e tinta

di sangue fu, di Roma a danno ed onta.

Era lo stuol piú numeroso, e forte,

quel ch'Antonio reggea, e le sue navi,

ergendo in mar i minaccievol rostri,

parean schernir coll'ampia mole i legni

piccioli, e frali del nemico altero;

sí, questo è ver; ma avea la Sorte,

e i Numi da gran tempo per lui Augusto amici;

e chi amici non gli ha, gli sfida invano.

Or che d'Antonio la fortuna è stanca,

or che d'Augusto mal conosco i sensi,

or che, tremante, inutil voti io formo,

né sò per chi, della futura sorte

fra i dubbi orror, solo smaniando e in preda

a un mortal dolor, che piú sperare

mi lice omai? tutto nel cuor mi addita,

che vinta son, che non si scampa a morte,

e a morte infame.

ISMENE

Non è tempo ancora

di disperare appien del tuo destino.

Chi può saper, s'alle nemiche turbe

non avrà volto la fortuna il tergo;

ovver se Augusto vincitor pietoso

a te non renderà quanto ti diero

un dí, Cesare, e Antonio.

CLEOPATRA

Il cor nutrirmi

potrò di speme, allor che ben distinti

ravviserò dal vincitore il vinto;

ma in fin che ondeggia infra i rivai la sorte

trapasserò miei dí mesti e penosi,

in vano pianto; e di dolor non solo

io piangerò, ma ancor di sdegno, e d'onta.

Ma Diomede s'appressa…, il cuor mi palpita.

scena seconda Diomede, Cleopatra, Ismene

CLEOPATRA

Fedel Diomede, apportator di vita,

o di morte mi sei?... Che rintracciasti?

Si compí il mio destin?... parla –

DIOMEDE

Regina,

i cenni tuoi ad adempir n'andava,

quando scendendo alla marina in riva

vidi affollar l'insana plebe al porto,

confuse grida udii, s'eran di pianto,

di gioia, o di stupor, nulla indagando,

v'andai io stesso, e la cagion funesta

di tal romor, purtroppo a me fu nota.

Poche sdruscite, e fuggitive navi,

miseri avanzi dell'audaci squadre,

eran l'oggetto de' perversi gridi

del basso volgo, che schernisce ognora

quei, che non teme.

CLEOPATRA E in esse eravi Antonio?
DIOMEDE

Canidio, Duce alla fuggiasca gente

credea trovarlo, cc. ec.

E su questo andare proseguiva tutta intera, piuttosto lunghetta, essendo di versi 1641. Numero al quale poi non sono quasi mai piú arrivato nelle susseguenti tragedie che ho scritte sino in venti, allorché forse mi trovava poi aver qualcosa piú da dire. Tanto vagliono per l'esser breve i mezzi del poter dire in un modo piuttosto che in un altro.

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