[Canto XIX, nel quale sgrida contra li simoniachi in persona di Simone Mago, che fu al tempo di san Pietro e di santo Paulo, e contra tutti coloro che simonia seguitano, e qui pone le pene che sono concedute a coloro che seguitano il sopradetto vizio, e dinomaci entro papa Niccola de li Orsini di Roma perché seguitò simonia; e pone de la terza bolgia de l'inferno.]
O Simon mago, o miseri seguaci che le cose di Dio, che di bontate deon essere spose, e voi rapaci |
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per oro e per argento avolterate, or convien che per voi suoni la tromba, però che ne la terza bolgia state. |
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Già eravamo, a la seguente tomba, montati de lo scoglio in quella parte ch'a punto sovra mezzo 'l fosso piomba. |
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O somma sapïenza, quanta è l'arte che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo, e quanto giusto tua virtù comparte! |
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Io vidi per le coste e per lo fondo piena la pietra livida di fóri, d'un largo tutti e ciascun era tondo. |
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Non mi parean men ampi né maggiori che que' che son nel mio bel San Giovanni, fatti per loco d'i battezzatori; |
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l'un de li quali, ancor non è molt' anni, rupp' io per un che dentro v'annegava: e questo sia suggel ch'ogn' omo sganni. |
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Fuor de la bocca a ciascun soperchiava d'un peccator li piedi e de le gambe infino al grosso, e l'altro dentro stava. |
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Le piante erano a tutti accese intrambe; per che sì forte guizzavan le giunte, che spezzate averien ritorte e strambe. |
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Qual suole il fiammeggiar de le cose unte muoversi pur su per la strema buccia, tal era lì dai calcagni a le punte. |
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«Chi è colui, maestro, che si cruccia guizzando più che li altri suoi consorti», diss' io, «e cui più roggia fiamma succia?». |
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Ed elli a me: «Se tu vuo' ch'i' ti porti là giù per quella ripa che più giace, da lui saprai di sé e de' suoi torti». |
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E io: «Tanto m'è bel, quanto a te piace: tu se' segnore, e sai ch'i' non mi parto dal tuo volere, e sai quel che si tace». |
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Allor venimmo in su l'argine quarto; volgemmo e discendemmo a mano stanca là giù nel fondo foracchiato e arto. |
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Lo buon maestro ancor de la sua anca non mi dipuose, sì mi giunse al rotto di quel che si piangeva con la zanca. |
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«O qual che se' che 'l di sù tien di sotto, anima trista come pal commessa», comincia' io a dir, «se puoi, fa motto». |
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Io stava come 'l frate che confessa lo perfido assessin, che, poi ch'è fitto, richiama lui per che la morte cessa. |
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Ed el gridò: «Se' tu già costì ritto, se' tu già costì ritto, Bonifazio? Di parecchi anni mi mentì lo scritto. |
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Se' tu sì tosto di quell' aver sazio per lo qual non temesti tòrre a 'nganno la bella donna, e poi di farne strazio?». |
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Tal mi fec' io, quai son color che stanno, per non intender ciò ch'è lor risposto, quasi scornati, e risponder non sanno. |
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Allor Virgilio disse: «Dilli tosto: "Non son colui, non son colui che credi"»; e io rispuosi come a me fu imposto. |
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Per che lo spirto tutti storse i piedi; poi, sospirando e con voce di pianto, mi disse: «Dunque che a me richiedi? |
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Se di saper ch'i' sia ti cal cotanto, che tu abbi però la ripa corsa, sappi ch'i' fui vestito del gran manto; |
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e veramente fui figliuol de l'orsa, cupido sì per avanzar li orsatti, che sù l'avere e qui me misi in borsa. |
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Di sotto al capo mio son li altri tratti che precedetter me simoneggiando, per le fessure de la pietra piatti. |
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Là giù cascherò io altresì quando verrà colui ch'i' credea che tu fossi, allor ch'i' feci 'l sùbito dimando. |
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Ma più è 'l tempo già che i piè mi cossi e ch'i' son stato così sottosopra, ch'el non starà piantato coi piè rossi: |
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ché dopo lui verrà di più laida opra, di ver' ponente, un pastor sanza legge, tal che convien che lui e me ricuopra. |
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Nuovo Iasón sarà, di cui si legge ne' Maccabei; e come a quel fu molle suo re, così fia lui chi Francia regge». |
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Io non so s'i' mi fui qui troppo folle, ch'i' pur rispuosi lui a questo metro: «Deh, or mi dì: quanto tesoro volle |
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Nostro Segnore in prima da san Pietro ch'ei ponesse le chiavi in sua balìa? Certo non chiese se non "Viemmi retro". |
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Né Pier né li altri tolsero a Matia oro od argento, quando fu sortito al loco che perdé l'anima ria. |
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Però ti sta, ché tu se' ben punito; e guarda ben la mal tolta moneta ch'esser ti fece contra Carlo ardito. |
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E se non fosse ch'ancor lo mi vieta la reverenza de le somme chiavi che tu tenesti ne la vita lieta, |
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io userei parole ancor più gravi; ché la vostra avarizia il mondo attrista, calcando i buoni e sollevando i pravi. |
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Di voi pastor s'accorse il Vangelista, quando colei che siede sopra l'acque puttaneggiar coi regi a lui fu vista; |
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quella che con le sette teste nacque, e da le diece corna ebbe argomento, fin che virtute al suo marito piacque. |
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Fatto v'avete dio d'oro e d'argento; e che altro è da voi a l'idolatre, se non ch'elli uno, e voi ne orate cento? |
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Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre!». |
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E mentr' io li cantava cotai note, o ira o coscïenza che 'l mordesse, forte spingava con ambo le piote. |
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I' credo ben ch'al mio duca piacesse, con sì contenta labbia sempre attese lo suon de le parole vere espresse. |
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Però con ambo le braccia mi prese; e poi che tutto su mi s'ebbe al petto, rimontò per la via onde discese. |
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Né si stancò d'avermi a sé distretto, sì men portò sovra 'l colmo de l'arco che dal quarto al quinto argine è tragetto. |
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Quivi soavemente spuose il carco, soave per lo scoglio sconcio ed erto che sarebbe a le capre duro varco. |
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Indi un altro vallon mi fu scoperto. | 133 |