II.

E vòto fratel fui della bisaccia
grinzuta ch’ebbe la cipolla e il tozzo
in coniugio. E non piú rempiuto al pozzo
fui, non udii crosciar la secchia diaccia,

ma dalla mamma copiosa udii
crosciare emunto il latte nel presepio
occluso. Per indúlgere al mio tedio
nova sorte mi fecero gli iddii.

Gonfio di latte, anch’io ubero parvi
piú capace e men roseo. Notturno
pendevo nel presepio taciturno,
come gli uberi sotto i materni alvi.

Ma non mai tanto l’otre ebbesi amica
la pace come allor che, in su lo scorcio
dell’autunno, s’apparentò con l’orcio
per favore di Pallade pudica.

Pacifera è l’oliva e tarda e pingue.
da poi che gemuto ha sotto la mola,
si raddolcisce e piú non fa parola;
mentre la garrula acqua ha mille lingue.

Or pieno fui di castità palladia
e di silenzio. Tacito ascoltava
pulsar la tempia fievole dell’ava
e il pane lievitare nella madia.

D’improvviso, una notte, mentre vòto
giacea sul palco fra i minori otrelli,
venne un bifolco tutto irto di velli
e seco trassemi a un officio ignoto.

Duro il suo pugno parvemi qual sasso
e l’ugna adunca qual branca di belva.
Tramontavano l’Orse. Ad una selva
orrida, in riva al fiume, arrestò il passo.

Quivi nel sangue prono era disteso
il suo nimico. Gli troncò la testa
con una falce; e quella mozza testa
prese à capegli, e me carcò del peso.

Subitamente mi rempiei del nero
sangue. E disse il falcato al teschio: «Avevi
tu sete? Orbè, se t’arde sete, bevi,
nell’otro che t’ho acconcio, il vin tuo mero».

E il teschio e il sangue dentro ei mi serrò.
Gonfio ero fatto, ed ei mi sollevò.
Su la riva del fiume ei mi portò.
In mezzo alla corrente ei mi scagliò.

Fervido era anco il buon licor doglioso.
O uom che m’odi, acqua di fonte, bianco
latte, olio lene, quanto ebbi nel fianco,
non vale il sangue tuo meraviglioso!

Entro di me fu breve e immensa guerra,
ismisurata e rapida tempesta.
Non parvemi serrar la tronca testa
ma contener l’orbe della Terra.

Poi nel gel fluviale in grumo e in sanie
si converse quel peso; e la corrente
mi voltò per le ripe, oscuramente
trassemi verso le contrade estranie.

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