II.

I segni del male declinavano lentamente in favore: succedeva ora il quarto settenario, succedeva al sopore stupido la quiete naturale del sonno, una quiete durevole in cui a poco a poco tutte le perturbazioni della coscienza si sedavano e le facoltà del senso si facevano meno torbide e la frequenza della respirazione diminuiva. Ma una tosse aspra scoppiava a tratti nel petto dell'inferma, facendo sussultare le vertebre; una distruzione dolorosa della pelle e dei tessuti molli si compiva ai gomiti, alle ginocchia, all'estremità della schiena, di giorno in giorno. Quando Camilla si chinava su 'l letto chiamando - Giuliana! - la sorella tentava aprire li occhi, volgersi verso la voce. Ma la debolezza la opprimeva; lo stupore torbido le occupava di nuovo il senso.

Ella aveva fame, ella aveva fame. Una bramosia bestiale di cibo le torturava le viscere vuote, le dava alla bocca quel movimento vago delle mandibole chiedenti qualche cosa da masticare, le dava talvolta alle povere ossa delle mani quelle contrazioni prensili che hanno le dita delle scimmie golose alla vista del pomo. Era la fame canina della convalescenza del tifo, quella terribile avidità di nutrimento vitale in tutte le cellule del corpo impoverite dal lungo malore. Una scarsa onda di sangue restava a pena circolante pei tessuti; nel cervello debolmente irrigato ogni attività ristagnava come in un machina a cui la forza motrice del liquido difetti. Soltanto, in quella materia disordinatamente ora si producevano certe vibrazioni determinanti certi arti che nella vita anteriore erano abituali; né di quel lavorìo meccanico aveva la convalescente coscienza. Ella per lo più diceva ad alta voce le letanie; divideva in sillabe parole senza senso; minacciava punizioni a discepoli; cantava le strofe quinarie di un inno a Gesù. Aveva per lo più nell'indice della mano sinistra un moto di indicazione scorrente su l'orlo del lenzuolo, come se ella con quel segno guidasse l'occhio dei discepoli su le righe del libro. Poi, talvolta, la sua voce si sollevava, prendeva una solennità quasi minacciosa, pronunciando le ammonizioni delle sette trombe, ricordando confusamente le parole di fra Bartolomeo da Saluzzo ai peccatori, avendo forse nelli occhi stupefatti la visione di quelle vecchie stampe impresse dal legno piene di deformi angeli tubanti e di demonii debellati. Ma nelli occhi non mai aveva uno sguardo. Le palpebre pesanti coprivano l'iride a metà, quell'iride senza colore spersa nella sclerotica che pareva come velata da un muco giallastro. Ella stava nel suo letto distesa, con il capo su due guanciali. Quasi tutti i capelli le erano caduti nella malattia; un pallor terreo, di quei pallori sotto cui pare non anche possa rimanere la vita, le occupava la faccia, le cavità della faccia; e il teschio ne traspariva e da tutta la restante aridezza della pelle lo scheletro traspariva, e intorno a tutto quell'ossame nei punti di pressione sul letto i tessuti aderenti degeneravano. Solo, un'immensa fame animava quella rovina, torturava gl'intestini ove le ulceri tifose si cicatrizzavano lentamente.

Fuori era la novena di Natale, la bella festività de' vecchi e de' fanciulli. Erano certi vespri chiari e rigidi, sotto cui tutto il paese di Pescara si popolava di marinari e si empiva dei suoni delle zampogne. L'odore acuto delle zuppe di pesce si propagava nell'aria dalle cantine aperte. Lentamente, alle finestre, alle porte, nelle vie, i lumi apparivano. Il sole indugiava roseo su i terrazzi di pietra della casa di Farina, sui comignoli della casa Memma, su 'l campanile di San Giacomo. Le altezze illustri dominavano come fari su 'l paese occupato dall'ombra. Poi, d'un tratto, la notte cominciava a constellare i firmamenti; sopra le case di Sant'Agostino una mezza luna si affacciava dal bastione tra il fanale rosso e il pino del telegrafo, crescendo.

Alla stanza di Giuliana tutta quell'animazione di vita saliva in un romorìo confuso di alveare che si sveglia.

Le pastorall delle zampogne si avvicinavano, di casa in casa, di porta in porta; avevano una religiosa e familiare letizia quei suoni che i ciociari di Atina traevano da un otre di pecora e da un gruppo di canne forate. La convalescente udiva, si sollevava su 'l letto; poiché quella sensazione le ridestava i fantasmi di altre sensazioni trascorse, e gli occhi gli si empivano tutti di visione sacra, di presepi raggianti e di bianchi peregrinaggi d'angeli in azzurri immacolati. Ella si metteva a cantare le laudi, tendendo le braccia, restando talvolta con la bocca aperta mentre la voce nelli organi le mancava; ella si metteva a laudare Gesù con una elevazione ardente e dolce di amore, trasportata dai suoni delle pastorali appressantisi, allucinata dalle imagini sante delle pareti. Ascendeva ai cieli, tra le musiche dei cherubini, tra i vapori della mirra e dell'incenso.

- Hosanna!

La voce le mancava. Ella tendeva le braccia. Camilla da presso, voleva riadagiarla su i guanciali; si sentiva come soggiogare da quel cieco entusiasmo di fede; le tremavano le mani, le labbra. Giuliana ricadeva stesa, con il capo abbandonato, scoperta la gola e il petto, mostrando delli occhi solo il bianco nel gran pallore, sorridente a qualche cosa invisibile, in un atteggiamento di vergine martire. Le zampogne passavano; tardi passavano le canzoni del vino gridate dai marinari nella notte tornanti alle barche della Pescara.

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