II.

Nacque allora in quelle due nature differenti un sentimento strano, misto di rammarico e di timore, in fondo a cui un sommovimento vago di bramosie cominciava a determinarsi; era come quando nel sonno dalle sedi interne, ove dormono fantasmi di passate sensazioni e frammenti d'immagini dimenticate, cominciano a salire le visioni confusamente; era come quando all'urto di un corpo nella quiete dell'acqua limpida si sollevano i detriti accumulati dal tempo. Allora certi piccoli fatti anteriori riapparirono nella memoria sotto una luce nuova, presero significazioni che innanzi non ebbero, atteggiamenti che innanzi non ebbero.

Da poco più di un mese Francesca era venuta in quella casa, per rimanerci durante l'assenza del marito; i sette anni del matrimonio li aveva passati quasi interamente a Napoli con Valerio. Francesca ricordava che il giorno dell'arrivo, dopo avere abbracciata Donna Clara, aveva porta la fronte a Gustavo, e Gustavo l'aveva baciata arrossendo in quella sua selvatichezza di eremita. Una mattina mentre ella e Gustavo sedevano nell'aranceto e Gustavo le leggeva un fatto di amore in una cronaca di giornale, ella ridendo e mostrando nel riso superiormente il roseo della gengiva aveva cominciato:

- Soli eravamo e senz'alcun sospetto...

Così, ridendo, con quella sua bella noncuranza sorvolante; e il riso dava un'espressione fine al volto, a quel puro ovale di miniatura indiana, dove li occhi erano tagliati leggermente salienti alli angoli verso le tempie, e le sopracciglia, arcuandosi forse troppo e allontanandosi dalle palpebre, mettevano nella fisonomia un'aria singolare d'infantilità.

Un'altra mattina Eva, presa da uno de' consueti inebriamenti di chiasso, aveva voluto che Gustavo la portasse pe 'l viale su le spalle correndo sotto i rami che cominciavano a rigermogliare; poi, a pena vide in fondo apparire la madre, un nuovo capriccio la prese; volle che ella intrecciasse le mani con Gustavo e su quell'intrecciamento sedette avvolgendo con le piccole braccia il collo dell'una e dell'altro, gittando loro nelle orecchie le strida acute.

Tutti questi fatti e altri insignificanti ora tornavano nel ricordo modificati, vivissimi. Francesca nella notte, dopo il primo turbamento e la prima resistenza contro la tentazione del fantasticare malsano, adescata da quel sottile profumo di colpa che dal fondo di tutto ciò saliva ad irritare il suo senso di donna giovine, a poco a poco si abbandonò per quel pendìo. E come cedeva all'abbraccio del sonno, ondeggiando in quel punto in cui l'attività della coscienza si affievolisce nel rilasciamento dei nervi e non ha più virtù di dirigere e di moderare le espansioni della fantasia, ella per quel pendio scese in fondo languida coldesiderio al dolce peccato della figliola di Guido. Né quello dei peccati di Francesca sarebbe stato il primo. Ella era giunta nel matrimonio allo stadio inevitabile in cui la pluralità delle donne, per le molte allegre ragioni che il medico Roudibilis espone al buon Panurge, cade. Ella era già passata fugacemente a traverso due o tre amori, emanando nel passaggio soltanto una irradiazione di giovinezza e seguitando oltre illesa. Ella era una di quelle nature muliebri in cui la mobilità dello spirito e la facilità delle sensazioni subitanee tengono lontana la passione; una di quelle nature ripugnanti dal soffrire per la stessa intima virtù che i metalli nobili hanno contro la corruzione dell'ossido. Portava nell'amore una sensualità fine e quasi ingenuamente curiosa all'apparenza; anzi appunto era questa curiosità il lato singolare del suo aspetto di amatrice. Quando gli uomini, quei due, quei tre, le profusero in ginocchio tutta la eloquenza così volgare del loro cuore, ella li guardò con i belli occhi d'oliva attentamente, non senza un'aria di ironia lieve, come ascoltando se per caso avessero una volta un accento nuovo, una espressione nuova. Poi sorrise, piegando, o meglio concedendosi con una specie di condiscendenza signorile. I grandi impeti allora e i grandi ardori la offendevano: ella non voleva la febbre, ella non capiva certe brutalità del piacere. Preferiva la commedia gaia, di buon gusto, scoppiettante, ben eseguita, al grave dramma declamato male. Era questa la conseguenza di una felice conformazione del suo organismo; ed anche di una educazione artistica non comune, poiché il sano gusto dell'arte nelle donne sane genera a poco a poco una specie di scetticismo amabile e di mobilità gioiosa, che ledifende dalla passione.

Gustavo per contro, non molto più che ventenne, era vissuto nelli ultii anni quasi sempre alla campagna, con Donna Clara, oscuramente, amando i cavalli vivaci e il grande levriere bianco ereditato dal padre. Aveva lo spirito incolto, oscillante, attraversato a tratti da malinconie vaghe, scosso da turbolenze improvvise. Perché in lui i rigogli amari della pubertà soffocati tornavano qualche volta a levarsi con la stessa ostinazione di vita che hanno le radici delle gramigne abbarbicate nel terreno. Così quando la scintilla scattò, tutte quelle forze latenti irruppero con una violenza nuova. E nella notte fu un'angoscia enorme sotto il cui peso il giovine rimase prostrato, un'angoscia ove già il rimorso aguzzava la punta, ove già un presentimento cupo di sciagure si affacciava, ove tutti i fantasmi insorgevano e ingigantivano e incalzavano senza tregua. Pareva a lui di soffocare; ascoltava tutta la stanza empirsi dei battiti del suo cuore, e in mezzo a quei colpi come delle voci passare, le voci della madre. Lo chiamava forse la madre dall'altra stanza? Lo aveva forse sentito soffrire?

Si levò sui gomiti, tenendo li orecchi al buio, senza poter distinguere in quell'intronamento alcun suono. Nel dubbio, accese il lume; traversò l’uscio, si avvicinò al letto dell'inferma. Ella a quella luce volse dall'altra parte li occhi feriti.

- Che vuoi, Gustavo?

- Non mi hai chiamato?

- No, figliuolo.

- Mi pareva, mamma, di aver sentito...

- Va, dormi. Che Dio ti benedica figliuolo mio.

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