Filosofia, che vuoi da me?
Il tuo scopo è di dimostrarci che il matrimonio unisce per tutta la vita due esseri che non si conoscono?
Che la vita è nella passione, e che niuna passione resiste al matrimonio?
Che il matrimonio è una istituzione necessaria al mantenimento della società, ma che è contrario alle leggi della natura?
Che il divorzio, quest’ammirabile palliativo ai mali del matrimonio, sarà unanimemente ridomandato?
Che, malgrado tutti i suoi inconvenienti, il matrimonio è la prima sorgente della proprietà?
Che egli offre incalcolabili pegni di sicurezza ai governi?
Che vi è qualche cosa di commovente nella associazione di due esseri per sopportar le pene della vita?
Che v’è qualche cosa di ridicolo nel volere che un medesimo pensiero diriga due volontà?
Che la donna è trattata da schiava?
Che non vi è matrimonio intieramente felice?
Che il matrimonio è pieno di delitti, e che gli assassini conosciuti non sono i peggiori?
Che la fedeltà è impossibile, almeno nell’uomo?
Che una perizia, se si potesse fare, proverebbe più disordine che sicurezza nella trasmissione patrimoniale delle proprietà?
Che l’adulterio produce più mali di quel che il matrimonio non procura beni?
Che la infedeltà della donna rimonta ai primi tempi delle società, e che il matrimonio resiste a questa perpetuità di frodi?
Che le leggi dell’amore uniscono tanto fortemente due esseri, che niuna legge umana potrebbe separarli?
Che se vi sono matrimonii scritti sui registri ufficiali, ve ne sono dei formati dai voti della natura, per una dolce conformità o per una intiera dissomiglianza nel pensiero, e per conformazioni personali, e che anco il cielo e la terra si contrariano senza tregua?
Che vi sono dei mariti ricchi di struttura e di spirito superiore, le cui mogli hanno degli amanti bruttissimi, piccini e stupidi?
Tutte queste dimande fornirebbero dei libri al bisogno; ma questi libri sono fatti e le questioni sono perpetuamente risolute.
Fisiologia, che vuoi da me?
Riveli tu dei principii nuovi? Vieni a pretendere che bisogna metter le mogli in comune? Licurgo ed alcune greche popolazioni, certi Tartari e certi selvaggi lo hanno provato.
Sarebbe forse per dire che bisogna chiuder le donne? Gli Ottomani lo hanno fatto, e le rimettono oggi in libertà.
Sarebbe forse per dire che bisogna maritar le fanciulle senza dote ed escluderle dal diritto di succedere? Alcuni autori inglesi e alcuni moralisti hanno provato che ciò era, assieme al divorzio, il mezzo più sicuro per render felici i matrimonii.
Sarebbe per dire che abbisogna un piccolo Agar in ogni famiglia? Non c’è bisogno di legge per questo. – L’articolo del Codice che pronunzia le pene contro la donna adultera, in qualunque luogo sia commesso il delitto, e quello che non punisce un marito se non finchè la sua concubina abiti sotto il tetto conjugale, ammettono implicitamente delle mantenute fuori di casa.
Sanchez ha dissertato su tutti i casi penitenziarii del matrimonio; egli ha anco argomentato sulla legittimità, sulla opportunità di ogni piacere: egli ha tracciati tutti i doveri morali, religiosi e corporali degli sposi; in una parola, il suo lavoro formerebbe dodici volumi in-8.°, se si ristampasse quel grosso in-folio intitolato: De Matrimonio.
Al diciannovesimo secolo la fisiologia del matrimonio, è dunque una insignificante compilazione o l’opera di un grullo scritta per altri grulli: alcuni vecchi preti hanno prese le loro bilance d’oro e pesato i menomi scrupoli; dei vecchi giureconsulti si sono messi i loro occhiali ed hanno distinto l’una dall’altra tutte le specie; de’ vecchi medici hanno preso il coltello e l’hanno fatto passare su tutte le piaghe; dei vecchi giudici sono saliti sui loro sedili ed hanno giudicato tutti i casi redibitorii: delle intiere generazioni sono passate gettando il loro grido di gioja o di dolore; ogni secolo ha gettato il suo voto nell’urna; lo Spirito Santo, i poeti, gli scrittori hanno tutto registrato da Eva fino alla guerra di Troja, da Elena fino alla signora di Maintenon, dalla moglie di Luigi XIV, fino alla contemporanea.
Fisiologia, che vuoi tu dunque?
Vorresti tu, per caso, presentarci quadri più o meno ben disegnati per convincerci che un uomo si ammoglia:
Per Ambizione... ciò è ben conosciuto;
Per Bontà, per sottrarre una figlia alla tirannia di sua madre;
Per Collera, per diseredare dei collaterali;
Per Disdegno d’una amante infedele;
Per Noja della deliziosa vita di scapolo;
Per Follia, che è sempre tale;
Per Scommessa, è il caso di lord Byron;
Per Onore... come Giorgio Dandin;
Per Interesse, come succede quasi sempre;
Per Gioventù, all’uscir dal collegio, storditamente;
Per Bruttezza, temendo mancar un giorno di moglie;
Per Machiavellismo, per ereditare prontamente da una vecchia;
Per Necessità, per dare una posizione a nostro figlio;
Per Obbligo, la signorina essendo stata debole;
Per Passione, per guarire più sicuramente;
Per Questione, per finire un processo;
Per Riconoscenza, che è un dare più di quel che si è ricevuto;
Per Saggezza, il che succede anche ai dottrinari;
Per Testamento, quando uno zio morto v’impone nella sua eredità l’obbligo d’una ragazza da sposare;
Per Uso, ad imitazione de’ proprii avi;
Per Vecchiezza, per fare una fine
(La X manca, e forse dipende dall’esser pochissimo adoperata, come testa di parola che hanno presa per segno dell’ignoto.)
Per Jatidi, che è l’ora di coricarsi e significa tutti i bisogni fra i turchi;
Per Zelo, come il duca di Saint-Aignan, che non voleva commettere peccati.
Ma questi accidenti hanno fornito argomento a trentamila commedie e a centomila romanzi.
Fisiologia, per la terza ed ultima volta, che vuoi da me?
Qui tutto è volgare come il lastrico d’una strada, triviale come un crocicchio. Il matrimonio è più conosciuto che Barabba della passione; tutte le vecchie idee che risveglia, corrono nella letteratura da che il mondo è mondo, e non vi è utile opinione o strampalato progetto che non siano andati a trovar un autore, uno stampatore, un librajo e un lettore.
Permettetemi di dirvi come Rabelais, maestro a noi tutti: «Genti dabbene, Dio vi salvi e vi preservi! Dove siete? Non posso vedervi. Aspettate che mi metta i miei occhiali. Ah! ah! io vi vedo. Voi, le vostre mogli, i vostri bambini, siete in buona salute? Ne sono contento.»
Ma non è per voi che io scrivo. Dal momento che avete dei figli grandi, tutto è detto.
«Ah! siete voi, bevitori illustrissimi, voi, preziosissimi podagrosi, e voi, infaticabili parassiti, ganimedi impepati, che pantagruelizzate tutto il giorno, che avete delle gazze private ben vispe, e andate a terza, a sesta, a nona e similmente a vespro, e a compieta.»
Non è a voi che si dirige la Fisiologia del matrimonio, poichè non siete ammogliati. Così sia sempre!
«Voi, massa di baciapile, ipocriti, scarafaggi, che vi siete travestiti come maschere per ingannare il mondo! Addietro, mastini, fuori di qui! Fuori di qui, cervelli a ciabatta! Da parte del diavolo, ci siete ancora?»
Non mi rimangono forse che delle buone anime vogliose di ridere.
Non di quei piagnucoloni che vogliono annegarsi ad ogni momento in versi e in prosa, che fanno i malati nelle odi, nei sonetti, nelle meditazioni; non di quei visionarii in ogni cosa, ma qualcuno di quegli antichi pantagruelisti, che non ci guardano tanto davvicino quando si tratta di banchettare e di mormorare, che trovano del buono nel libro dei Piselli al lardo, cum commento di Rabelais, e in quello della Dignità delle brachette, e che stimano questi bei libri.
Non si può più nemmen rider del governo, amici miei, da che ha trovato il mezzo di aggravarci con millecinquecento milioni d’imposte. I papati, i vescovati, le fraterie e i monasteri non sono ancora tanto ricchi perchè si possa andar a ber da loro; ma che arrivi san Michele scacciatore del diavolo dal cielo, e vedremo forse tornare il buon tempo! Intanto, in questo momento, non ci rimane che il matrimonio in Francia, come argomento da ridere. Discepoli di Panurgio, io voglio voi soli per lettori. Voi sapete prendere e lasciare a proposito un libro, fare il vostro comodo, capire a mezz’aria e trar nutrimento da un osso midollare.
Queste genti da microscopio, che non vedono che un punto, i censori infine, hanno forse tutto detto, tutto passato in rivista? Hanno essi pronunziato in ultimo appello che un libro sul matrimonio è tanto impossibile ad eseguire, quanto a render nuova una brocca rotta?
— Sì, mastro pazzo. – Pigliate il matrimonio. Non ne uscirà mai niente che non sia piacere per gli scapoli e noja per i mariti. È la morale eterna. Un milione di pagine stampate non avrebbero altra sostanza.
Nondimeno ecco la mia prima proposizione. Il matrimonio è un combattimento ad oltranza, prima del quale i due sposi chiedono al cielo la sua benedizione, perchè amarsi sempre è la più temeraria delle imprese. Il combattimento non tarda a incominciare, e la vittoria, vale a dire la libertà, rimane al più destro.
Siamo d’accordo. Dove vedete una concezione nuova?
Ebbene! io mi dirigo agli ammogliati di jeri e d’oggi; a coloro che uscendo di chiesa o dal municipio, concepiscono la speranza di conservar le loro mogli per essi soli; a quelli cui non so quale egoismo o qual sentimento indefinibile fa dire, all’aspetto delle sventure altrui: «Ciò non mi succederà.»
Io mi rivolgo a quei marinari, i quali, dopo aver veduto affondar parecchi vascelli, si pongono in mare; a quei giovani, che dopo aver causato il naufragio di più d’una virtù conjugale, osano ammogliarsi. Ed ecco il soggetto, eternamente nuovo, ed eternamente vecchio.
Un giovinotto, un vecchio fors’anco, innamorato o no, ha acquistato per mezzo d’un contratto, bene e debitamente registrato al municipio, nel cielo e sui controlli del demanio, una giovinetta dai lunghi capelli, dagli occhi neri ed umidi, dai piedini gentili, dalle dita delicate e affusate, dalla bocca vermiglia, dai denti d’avorio, ben fatta, fremente, appetente e provocante, bianca come un giglio, colmata dei tesori i più desiderabili della bellezza: le sue ciglia abbassate somigliano i dardi dalla corona di ferro; la sua pelle, tessuto tanto fresco quanto la corolla d’una camellia, è sparsa vagamente della porpora delle camellie rosse; sopra il suo virgineo incarnato, l’occhio crede vedere il fiore di un giovine frutto e la impercettibile peluria d’una pesca duracina; l’azzurro delle vene distilla un ricco calore attraverso quella rete trasparente; ella dimanda e dà la vita; ella è tutta gioja e tutta amore, tutta gentilezza e tutta ingenuità. Ella ama il suo sposo, o almeno crede di amarlo...
L’innamorato marito ha detto, nel fondo del suo cuore: «Quegli occhi non vedranno che me, quella bocca non fremerà d’amore che per me, quella dolce mano non verserà i provocanti tesori della voluttà che su di me, quel seno non palpiterà che alla mia voce, quell’anima addormentata non si sveglierà che sotto la mia volontà. Io solo immergerò le mie dita in quelle trecce brillanti: solo io farò scorrere pensierose carezze su quella testa tremante. Io farò vegliar la Morte al mio capezzale per impedir l’accesso al letto nuziale all’estranio rapitore; quel trono dell’amore nuoterà nel sangue degli imprudenti o nel mio. Riposo, onore, felicità, legami paterni, fortuna de’ miei figli, tutto è lì, io voglio tutto difendere, come una leonessa difende i suoi piccini. Sciagura a chi porrà il piede nel mio antro!»
— Ebbene! coraggioso atleta, noi plaudiamo al tuo disegno. Fin qui nessun geometra ha osato toccare le linee della longitudine, sul mare conjugale. I vecchi mariti, hanno avuto vergogna d’indicare i banchi di sabbia, gli scogli, i frangenti, i monsoni e le correnti, che hanno distrutto le loro barche, tanto si sentivano umiliati dai loro naufragi. Mancava una guida, una bussola ai pellegrini ammogliati... e quest’opera è destinata a servir loro come tale.
Senza parlar dei droghieri, dei mercanti di panno, esiste tanta gente che è troppo occupata per perdere il tempo nel cercare le segrete ragioni che fanne agir le donne, sì da farci parere un’opera di carità il classificare ad essi per titoli e capitoli tutte le situazioni segrete del matrimonio. Una buona tavola delle materie permetterà a queste persone di porre il dito sui moti del cuore delle loro mogli, come la tavola dei logaritmi mostra loro il prodotto d’una moltiplicazione.
Ebbene, che ve ne pare? Non è forse un’impresa nuova e alla quale ogni filosofo ha rinunziato, il mostrare in qual modo si può impedire ad una donna d’ingannare suo marito? Non è la commedia delle commedie? Non è forse un altro speculum vit æ human æ ? Non si tratta più di quelle quistioni oziose delle quali abbiamo fatto giustizia nella presente Meditazione. Oggi in morale, come nelle scienze esatte, il secolo chiede dei fatti, delle osservazioni. E noi ne portiamo.
Cominciamo dunque dall’esaminare il vero stato delle cose, per analizzare le forze d’ogni partito. Prima di armare il nostro immaginario campione, calcoliamo il numero de’ suoi nemici, e contiamo i cosacchi che vogliono invader la sua piccola patria.
S’imbarchi chi vuole con noi: riderà chi lo potrà. Levate l’áncora, issate le vele! Voi sapete da qual piccolo punto tondo partite. È un gran vantaggio che abbiamo sopra parecchi libri.
Quanto alla nostra fantasia di rider piangendo e di pianger ridendo, come il divino Rabelais beveva mangiando e mangiava bevendo; quanto alla nostra mania di mettere Eraclito e Democrito nella medesima pagina, di non aver nè stile, nè premeditazione di frase... se qualcuno dell’equipaggio ne mormora!... Fuori della tolda i vecchi cervelli a ciabatta, i classici in maglia, i romantici nel lenzuolo, e voga la galera!
Tutta quella gente ci rimprovera forse di assomigliare a coloro che dicono con aria gioviale: «Sto per raccontarvi un’istoria che vi farà ridere!» Si tratta proprio di scherzare quando si parla di matrimonio! Non indovinate che noi lo consideriamo come una leggera malattia, alla quale siamo tutti esposti, e che questo libro ne è la monografia?
— Ma voi, la vostra galera e il vostro lavoro sembrate quei postiglioni che, partendo da una fermata fanno scoppiettar le loro fruste perchè conducono degli inglesi. Non avrete corso al gran galoppo durante mezz’ora, che discenderete da cavallo per rimettere a posto una tirella o per far respirare i vostri corridori. Perchè suonar la trombetta prima della vittoria?
— Eh! cari pantagruelisti – basta oggidì aver qualche pretensione a un successo per ottenerlo; e siccome, dopo tutto, i grandi lavori non sono forse che piccole idee lungamente sviluppate, non vedo il perchè non cercherei di coglier il lauro, non foss’altro che per coronare quei tanti sucidi presciutti che ci ajuteranno a sorbire il vino.
Un momento, pilota! Non partiamo senza fare una piccola definizione.
Lettore, se voi incontrate, di distanza in distanza, come nel mondo, le parole virtù o donne virtuose in questo lavoro, conveniamo che la virtù sarà quella penosa facilità, con la quale una sposa riserba il suo cuore a un marito; a meno che la parola sia adoperata in un senso generale, distinzione che è abbandonata alla sagacità naturale di ognuno.