MEDITAZIONE X. Trattato di politica maritale.

Quando un uomo giunge alla situazione in cui lo pone la prima parte di questo libro, noi supponiamo che l’idea di saper la propria moglie posseduta da un altro può fare ancora palpitare il suo cuore, e che la sua passione si riaccenderà, sia per amor proprio o per egoismo, sia per interesse, perchè se non si curasse più di sua moglie, sarebbe il penultimo degli uomini, e meriterebbe la sua sorte.

In questa lunga crisi, è ben difficile che un marito non commetta errori; perchè, per la maggior di essi, l’arte di governare una moglie è ancor meno conosciuta, che quella di sceglierla.

Nondimeno la politica maritale, non consiste che nella costante applicazione di tre principii, i quali debbono esser l’anima della vostra condotta. Il primo è di non creder mai a ciò che dice una moglie: il secondo di cercar sempre lo spirito delle sue azioni, senza fermarvi alla lettera; e il terzo, di non dimenticare che una donna non è mai più ciarlona di quando tace; e non agisce mai con maggiore energia di quando sta in riposo.

Da quel momento, voi siete come un cavaliere, che montato sopra un cavallo riottoso, deve sempre guardarlo fra le due orecchie per tema di vuotar l’arcione.

Ma l’arte sta molto meno nella conoscenza dei principii che nella maniera d’applicarli; rivelarli agli ignoranti, è lasciar il rasojo in mano ad una scimia. Perciò, il primo e il più vitale dei vostri doveri consiste in una dissimulazione perpetua, alla quale mancano quasi tutti i mariti. Accorgendosi di un sintomo troppo minotaurico, un poco troppo pronunciato nelle loro mogli, la maggior parte degli uomini manifestano ad un tratto insultanti diffidenze. I loro caratteri contraggono una acrimonia, che fa capolino o nei loro discorsi o nelle loro maniere; e il timore è, nella loro anima, come un becco di gaz sotto un globo di cristallo; esso illumina il loro volto tanto potentemente, che spiega la loro condotta.

Ora, una donna che ha più di voi dodici ore nella giornata per riflettere ed osservarvi, legge i vostri sospetti sulla vostra fronte al momento stesso in cui nascono.

Questa ingiuria gratuita, essa non la perdonerà mai. Lì, non esiste più rimedio; lì tutto è detto, l’indimani stesso, se occorre, essa sì schiera fra le mogli inconseguenti.

Voi dovete dunque, nella situazione rispettiva delle due parti belligeranti, cominciar per fingere verso vostra moglie quella confidenza senza limiti che avevate poco prima in lei. Se cercate di mantenerla nell’errore con melate parole, siete perduto; essa non vi crederà; perchè ha la sua politica come voi avete la vostra. Ora, occorre tanta scaltrezza quanta bonomia nelle vostre azioni, per inculcarle, a sua insaputa, quel prezioso sentimento di sicurezza, che la invita a muover le orecchie, e vi permette di non usar se non a proposito della briglia e dello sperone.

Ma come osar di paragonare un cavallo, il più candido fra tutte le creature, a un essere che gli spasimi del suo pensiero e le affezioni de’ suoi organi, rendono a momenti più prudente del servita frà Paolo, il più terribile consultore che i Dieci abbiano avuto a Venezia; più dissimulatore di un re; più scaltro di Luigi XI; più profondo di Machiavelli: sofistico quanto Hobb; fine come Voltaire; più arrendevole della fidanzata di Mamolino, e che nel mondo intiero, non diffida che di voi?

Quindi a questa dissimulazione, mercè la quale le molle della vostra condotta debbono diventar tanto invisibili quanto quelle dell’universo, vi è necessario aggiungere, un assoluto impero per voi stesso. La imperturbabilità diplomatica, tanto vantata da Talleyrand, sarà la minima delle vostre qualità; la più squisita cortesia, la grazia delle sue maniere, respireranno in tutti i vostri discorsi. Il professore vi proibisce qui espressamente l’uso della ferula, se volete pervenire a governar la vostra gentile Andalusa.

LXI.

Che un uomo batta la sua ganza... è una ferita; ma sua moglie!... è un suicidio.

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In qual modo dunque concepire un governo, senza guardie di polizia, una azione senza forza, un potere disarmato?

Ecco il problema che tenteremo di risolvere nelle nostre meditazioni future. Ma vi sono ancora due osservazioni preliminari da sottoporvi. Esse ci daranno due altre teorie, che entreranno nella applicazione di tutti i mezzi meccanici dei quali stiamo per proporvi l’impiego. Un esempio vivente rinfrescherà queste aride dissertazioni: non sarà forse un lasciare il libro per operar sul terreno?

L’anno 1822, in una bella mattinata del mese di gennajo, io risalivo i baluardi di Parigi, dalle pacifiche sfere del Marais, fino alle eleganti regioni delle Chaussée d’Antin, osservando per la prima volta, non senza una filosofica gioja, quelle singolari gradazioni di fisionomia e quelle varietà di tolette, le quali dalla via del Passo della Mula fino alla Maddalena, fanno d’ogni porzione del baluardo un mondo particolare, e di tutta quella zona parigina un largo saggio di costumi. Non avendo ancora alcuna idea delle cose della vita, e non dubitando che un giorno avrei l’oltracotanza d’erigermi a legislatore del matrimonio, andavo a far colezione da un mio amico di collegio, che si era di troppo buon’ora, forse, afflitto d’una moglie e di due figli. Il mio antico professore di matematiche, abitando a poca distanza dalla casa in cui dimorava il mio camerata, m’ero promesso di andare a fargli visita, prima di consegnare il mio stomaco, a tutte le leccornie dell’amicizia. Io penetrai facilmente fino al centro di un gabinetto, ove tutto era coperto da una polvere, che attestava la onorevole distrazione del sapiente. Mi era riserbata una sorpresa. Scorsi una bella signora seduta sul bracciuolo d’una poltrona, come se avesse montato un cavallo inglese; ella mi fece quella piccola smorfia di prammatica, riservata dalle padrone di casa alle persone che non conoscono, ma non seppe dissimular troppo bene l’aria di broncio, che al mio arrivo ne attristava la fisionomia, perchè io non indovinassi la inopportunità della mia presenza. Occupato senza dubbio in una equazione, il mio maestro non aveva ancora alzato la testa; allora agitai la mia mano destra verso la giovine signora, come un pesce che scuote la sua pinna, e mi ritirai in punta di piedi lanciandole un misterioso sorriso che poteva tradursi per un: «Non sarò certo io che v’impedirò di fargli commettere una infedeltà a Urania.» Ella si lasciò sfuggire uno di quei moti di testa la cui graziosa vivacità non può tradursi.

— Ehi! ehi! amico mio, non ve ne andate! sclamò il geometra. È mia moglie! Io salutai un’altra volta. O Coulon! Dov’eri tu per applaudire il solo de’ tuoi allievi, che comprese allora la tua espressione di anacreontica, applicata ad una riverenza! L’effetto doveva esserne ben penetrante, perchè la signora professora, come dicono i tedeschi, arrossì, e si alzò precipitosamente per andarsene, facendomi un leggero saluto, che pareva volesse dire: Adorabile! – Suo marito la fermò, dicendole: Resta, figlia mia. È uno de’ miei allievi.

La giovin donna sporse la testa verso il sapiente, come un uccello, che, appollajato sopra un ramo, tende il collo per avere un granello. — Questo non è possibile – continuò il marito sospirando, e vengo a provartelo per A più B. — Eh! signore, lasciamo questa discussione; ve ne prego! rispos’ella ammiccando degli occhi e accennando me. (Se fosse stata algebra, il mio maestro avrebbe potuto comprender quello sguardo, ma per lui si trattava di chinese; e quindi continuò : — Figlia mia, senti, lascio giudicare a te: Noi abbiamo diecimila franchi di rendita. A queste parole, mi ritirai verso la porta, come se fossi stato appassionato per alcuni acquarelli incorniciati, che mi posi ad esaminare.

La mia discrezione fu ricompensata da una eloquente occhiata. Ohimè! Ella non sapeva che avrei potuto rappresentare in Fortunio, la parte di Orecchio Fino che sentiva nascere i tartufi. — I principii dell’economia generale diceva il mio maestro, vogliono che non si impieghi nel prezzo dell’alloggio e nei salari dei domestici, altro che i due decimi della rendita; ora, il nostro appartamento e i nostri servitori costano assieme cento luigi. Ti do milleduecento franchi per la tua toletta. (E qui calcò sopra ogni sillaba). La tua cucina, continuò, consuma quattromila franchi; i nostri figli reclamano almeno venticinque luigi; ed io non mi prendo che ottocento franchi. Il bucato, la legna, l’illuminazione vanno a mille franchi circa; quindi non resta, come tu vedi, che una somma di seicento franchi, che non sono mai bastati alle spese impreviste. Per acquistar la croce di diamanti, bisognerebbe prelevare mille scudi dai nostri capitali; e una volta aperta questa strada, mia bella, non vi sarebbe ragione per non abbandonar questo Parigi che ami tanto: noi non tarderemmo ad essere obbligati di andare in provincia, a ristabilire il nostro patrimonio compromesso. I fanciulli e la spesa cresceranno assai! Andiamo, sii buona! — Bisogna che lo sia per forza — rispose lei, ma sarete il solo uomo di Parigi, che non avrete fatto un regalo a vostra moglie. E fuggì come uno scolaro che ha finito una penitenza. Il mio maestro scosse la testa in segno di gioja. Quando vide la porta chiusa, si stropicciò le mani; parlammo della guerra di Spagna, andai poi in via di Provenza, non pensando che avevo ricevuta la prima parte di una grande lezione conjugale, quanto non pensavo alla conquista di Costantinopoli fatta dal generale Diebitsch. Arrivai dal mio anfitrione, al momento in cui gli sposi si ponevano a tavola, dopo avermi aspettato durante la mezz’ora voluta dalla disciplina ecumenica della gastronomia. Fu, mi pare, aprendo un pasticcio di fegato grasso, che la mia vezzosa ospite disse con aria risoluta a suo marito: — Alessandro, se tu fossi amabile mi regaleresti quel pajo di pendenti che abbiamo veduti da Fossin. — Ammogliatevi dunque! sclamò allegramente il mio camerata, traendo dal suo portafogli tre biglietti da mille franchi che egli fece brillare agli occhi scintillanti di sua moglie. Io non resisto più al piacere di offrirteli – soggiunse, che tu a quello di accettarli. È oggi l’anniversario del giorno in cui ti ho veduta per la prima volta. I diamanti te ne faranno forse ricordare!... — Cattivo!... diss’ella con un seducente sorriso. Immerse due dita nel suo giubbetto; e togliendone un mazzetto di viole, lo gettò con un dispetto infantile sul naso del mio amico. Alessandro die’ il prezzo dei pendenti sclamando: Li avevo già veduti i fiori!...

Non dimenticherò mai il vivace gesto e l’avida allegria con la quale, simile a un gatto che pone la sua zampa macchiettata sopra un sorcio, la graziosa donna s’impadronì dei tre biglietti di banca. Li arrotolò arrossendo di piacere, e li pose al posto delle violette, che un momento prima le profumavano il seno. Non potei impedirmi di pensare al mio maestro di matematiche; e non vidi allora altra differenza fra il suo allievo e lui che quella che esiste fra un uomo economo ed uno prodigo, non dubitando certo, che quello dei due il quale in apparenza sapeva calcolar meglio, calcolava in realtà peggio. Riusciti poco dopo in un salottino molto elegante, seduti davanti ad un fuoco che solleticava dolcemente le fibre, e le faceva dilatare come in primavera, mi credei obbligato di foggiare per quella coppia innamorata, una frase da convitato, sul mobilio di quel piccolo oratorio: — È peccato che tutto ciò costi tanto caro!... disse il mio amico, ma è necessario che il nido sia degno dell’uccello! Perchè diavolo vieni a farmi dei complimenti per cose che non sono pagate? Tu mi fai ricordare, durante la mia digestione, che debbo ancora duemila franchi a un turco di tappezziere. A quelle parole, la padrona di casa inventariò con gli occhi quell’elegante salotto; e di raggiante la sua fisionomia divenne pensosa. Alessandro mi prese per la mano, e mi trasse nel vano di una finestra: — Avresti per caso, un migliajo di scudi da prestarmi? disse a voce bassa. Non ho che dieci o dodici mila lire di rendita, e quest’anno... — Alessandro, chiamò la bella creatura interrompendo suo marito e accorrendo a noi coi biglietti di banca in mano, che sporse a suo marito. — Alessandro, vedi bene che è una pazzia! — Di che t’impicci tu? rispose lui. Tieni il tuo danaro — Ma, amor mio: io ti rovino! Dovrei sapere che tu mi ami troppo, perchè io possa permettermi di confidarti tutti i miei desiderii... — Tienli, mia diletta; sono di buona presa. Bah! Giuocherò quest’inverno e li riguadagnerò. — Giuocare! sclamò con espressione di terrore. Alessandro! riprendi i tuoi biglietti! Andiamo, signore, lo voglio... — No, no, rispose il mio amico respingendo una manina bianca e delicata; non vai forse giovedì al ballo della signora di ...? — Penserò a quanto mi hai dimandato, dissi al mio camerata; e me ne andai salutando sua moglie; ma vidi bene dalla scena che si preparava, che le mie anacreontiche riverenze non produrrebbero in lei molto effetto.

— Bisogna che egli sia pazzo, pensavo andandomene, per parlare di mille scudi ad uno studente di legge!

Cinque giorni dopo mi trovai in casa della signora di ..., i cui balli diventavano alla moda. In mezzo alle più brillanti quadriglie, scorsi la signora del mio amico e quella del matematico.

La moglie di Alessandro, aveva una incantevole toletta: alcuni fiori e delle bianche mussoline ne facevano tutte le spese. Ella portava una piccola croce alla Jeannette, attaccata ad un nastro di velluto nero, che poneva in rilievo la bianchezza della sua pelle profumata; e lunghe pere d’oro affilate, ornavano i suoi orecchi. Sul collo della professora scintillava una superba croce di diamanti.

— Questo poi è strano! dissi ad un personaggio che non aveva ancora letto nel gran libro del mondo, nè decifrato un sol cuore di donna. Quel personaggio ero io. — Se ebbi allora il desiderio di far ballare quelle due donne, fu unicamente perchè intravidi un segreto di conversazione che rendeva ardita la mia timidità.

— Ebbene, signora, avete avuta la vostra croce? Dissi alla prima.

— Ma me la sono ben guadagnata, rispose con un indefinibile sorriso.

— Come? Senza i pendenti? chiesi alla moglie del mio amico.

— Ah! – disse – ne ho goduto durante tutta una colazione! Ma, come vedete, ho finito per convertire Alessandro...

— Egli si sarà facilmente lasciato sedurre? – Mi guardò con aria di trionfo.

Fu otto anni dopo, che questa scena, fino allora muta per me, mi ritornò ad un tratto in memoria; e alla luce delle candele, al fuoco dei diamanti, ne ho letto distintamente la moralità. Sì, la donna ha orrore della convinzione; quando la persuadono, subisce una seduzione e resta nella parte che la natura le assegna. Per essa lasciarsi conquistare, è accordare un favore; ma i ragionamenti esatti la irritano e la uccidono; per dirigerla bisogna dunque sapersi servire della potenza di cui ella fa uso tanto spesso: la sensibilità. È dunque, nella propria moglie, e non in sè stesso, che un marito troverà gli elementi del suo dispotismo: come pel diamante; bisogna opporla a sè stessa. Saper offrir dei pendenti per farseli rendere, è un segreto che si applica ai menomi dettagli della vita.

Passiamo ora alla seconda osservazione.

Chi sa amministrare un toman ne sa amministrar centomila ha detto un proverbio indiano; ed io amplio la saggezza asiatica dicendo: Chi può governare una donna, può governare una nazione. – Esiste, infatti, molta analogia fra questi due governi. La politica dei mariti non deve esser presso a poco quella dei re? Non li vediamo forse occupati a procurar di divertire il popolo per carpirgli la sua libertà? Gettargli commestibili a profusione durante una giornata, per fargli dimenticare la miseria d’un anno; predicandogli di non rubare, mentre lo spogliano; e dicendogli: «Mi pare che se fossi popolo sarei virtuoso?»

È l’Inghilterra che ci fornisce il precedente che i mariti debbono importare nel loro conjugal domicilio. Coloro che hanno occhi, debbono aver veduto che, dal momento in cui la governabilità si è perfezionata in quel paese, i wighs non hanno ottenuto che raramente il potere. Un lungo ministero tory è sempre successo a un effimero gabinetto liberale. Gli oratori del partito nazionale somigliano a sorci che consumano i loro denti a rodere un’asse marcita, della quale si tappa il buco al momento in cui sentono le noci e il lardo rinchiusi nel reale armadio. La donna è il whig del vostro governo. Nella condizione in cui l’abbiamo lasciata, ella deve naturalmente aspirare alla conquista di più di un privilegio. – Chiudete gli occhi sui suoi intrighi, permettetele di dissipare la sua forza a salir la metà de gradini del vostro trono; e quando ella crede di impadronirsi dello scettro, rovesciatela a terra, dolcemente e con infinita grazia, dicendole: «Brava!» e permettendole in pari tempo di sperare un prossimo trionfo. Le malizie di questo sistema dovranno corroborar l’impiego di tutti i mezzi che vi piacerà di scegliere nel nostro arsenale per domar vostra moglie.

Tali sono i principii generali che deve porre in pratica un marito, se non vuol commetter errori nel suo piccolo regno.

Adesso, malgrado la minoranza del concilio di Màcon (Montesquieu, che aveva forse indovinato il regime costituzionale, ha detto, non ricordo dove, che il buon senso nelle assemblee era sempre dalla parte della minoranza) distingueremo nella donna un’anima ed un corpo, e cominceremo dall’esaminare i mezzi di rendersi padroni del suo morale. L’azione del pensiero è, per quanto se ne dica, più nobile di quella del corpo, e noi daremo il passo alla scienza sulla cucina, all’istruzione sull’igiene.

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