La borsa

Per le anime facili alle espansioni vi è un'ora deliziosa che giunge al momento in cui la notte non è fatta ed il giorno se n'è ito. La luce crepuscolare getta allora le sue molli tinte od i suoi riflessi bizzarri su tutti gli oggetti e favorisce una fantasticheria che si sposa vagamente agli effetti di luce ed ombra. Il silenzio che regna quasi sempre in quel momento lo rende specialmente caro agli artisti che si raccolgono, si piantano ad alcuni passi dai loro lavori cui non possono più attendere, e li giudicano inebriandosi del soggetto il cui intimo significato si appalesa allora alla seconda vista del genio. Favoriti dal chiaroscuro i ripieghi materiali dell'arte per far credere alla realtà scompajono completamente. Se si tratta di un quadro, le persone che rappresenta, pare camminino e parlino: l'ombra si fa ombra, il giorno è giorno, la carne è viva, gli occhi si muovono, il sangue scorre per le vene, le stoffe hanno dei fruscii. L'imaginazione viene in ajuto della naturalezza d'ogni particolare, e non si vedono più che le bellezze dell'opera. A quell'ora l'illusione regna dispotica; forse sorge colla notte; l'illusione non è per il pensiero una specie di notte che noi popoliamo di sogni?

L'illusione spiega allora le sue ali, trascina l'anima nel mondo delle fantasie, mondo fertile di voluttuosi capricci, in cui l'artista dimentica il mondo positivo, la vigilia, il domani, l'avvenire, tutto, perfino le sue miserie, le buone come le cattive. In quell'ora magica un giovine pittore, uomo di talento, e che nell'arte non vedeva che l'arte, era salito sulla scala addoppiata che gli serviva a dipingere una tela grande, alta, pressochè finita. Là, criticandosi, ammirandosi in buona fede, abbandonandosi al corso dei suoi pensieri, si ingolfava in una di quelle meditazioni che rapiscono l'anima e la fanno più grande, accarezzandola e consolandola. Certo la sua fantasticheria durò a lungo. La notte sopraggiunse. Sia ch'egli volesse discendere dalla scala, sia che avesse fatto un movimento imprudente credendosi sul tavolato, il fatto non gli permise un esatto ricordo del suo accidente, cadde, battè la testa sopra uno sgabello, restò privo di sensi e senza moto per un lasso di un tempo la cui durata non potè conoscere. Una voce soave lo destò dalla specie di assopimento in cui era immerso. Allorchè schiuse gli occhi, prontamente li richiuse sotto l'impressione di una viva luce; ma attraverso il velo che avviluppava i suoi sensi udì il bisbiglio di due donne e sentì la testa riposare fra due giovani, timide mani. Riprese in breve i sensi ed alla luce di una di quelle lampade antiche, che diconsi a doppia corrente d'aria, potè scorgere la più deliziosa testa di giovinetta che mai avesse veduto, una di quelle teste che passano ben spesso per un capriccio del pennello, ma che tutto ad un tratto realizzò per lui le teorie di quel bello ideale che ogni artista si crea e dal quale ha origine il suo talento. Il volto della sconosciuta apparteneva, per così dire, al tipo fino e delicato della scuola di Proudhon, e possedeva pure quella poesia che Girodet dava alle sue figure fantastiche. La freschezza, delle tempie, la regolarità delle sopraciglia, la purezza delle linee, la verginità fortemente scolpita in tutti i tratti di quella fisionomia facevano della fanciulla una creazione perfetta. La taglia era svelta e sottile, le forme delicate. I suoi abiti, benchè semplici e puliti, non annunziavano nè ricchezza nè miseria. Ritornando in sè il pittore espresse la sua ammirazione con uno sguardo di sorpresa e balbettò confusi ringraziamenti.

Trovò che la sua fronte era stata stretta con un fazzoletto, e ad onta dell'odore particolare agli studi di pittore, riconobbe l'acre sentore dell'etere, senza dubbio adoperato per farlo riavere dallo svenimento. Poi finì per vedere una vecchia che rassomigliava alle marchese dell'antico regime, e che teneva la lampada dando dei consigli alla giovine sconosciuta.

— Signore, rispose la giovinetta ad una delle domande fattele dal pittore in quel momento in cui era tuttora nella confusione di idee prodotte dalla caduta, mia madre ed io abbiamo udito il rumore del vostro corpo sul pavimento, ci parve di udire un gemito. Il silenzio susseguito alla caduta ci ha spaventate e ci siamo affrettate a salire. Trovando la chiave alla porta ci siamo per buona sorte permesso d'entrare, e vi abbiamo visto steso a terra senza movimento. Mia madre andò a cercare quanto occorreva per fare una compressa e rianimarvi. Voi siete ferito alla fronte, là, ve ne accorgete?

— Adesso sì, egli disse.

— Oh non sarà nulla, osservò la vecchia. La vostra testa, per buona sorte, è caduta su questo mannichino.

— Mi sento infinitamente meglio, rispose il pittore, non ho più altro bisogno all'infuori d'una carrozza per restituirmi a casa. La portinaia andrà a cercarmene una.

Egli voleva rinnovare i suoi ringraziamenti alle due incognite, ma ad ogni frase la vecchia l'interrompeva dicendo: - Domani, signore, abbiate cura di applicarvi delle sanguisughe, o farvi fare un salasso, bere qualche tazza di decotto vulnerario; curatevi, le cadute sono pericolose.

La giovinetta guardava di soppiatto il pittore ed i quadri dello studio. Il suo contegno ed i suoi sguardi erano di una perfetta decenza; la sua curiosità rassomigliava a distrazione ed i suoi occhi sembravano esprimere quell'interesse che le donne prendono, con una spontaneità tutta grazia, ad ogni nostra sfortuna. Le due sconosciute alla presenza del pittore sofferente sembravano dimenticare le opere sue. Allorchè egli le ebbe tranquillate sul proprio conto, uscirono esaminandole con una sollecitudine priva ad un tempo di enfasi e di famigliarità, senza fargli domande indiscrete nè cercare di inspirargli il desiderio di conoscerle. Le loro azioni ebbero l'impronta di una natura squisita e del buon gusto. I loro modi nobili e semplici produssero dapprima poco effetto sul pittore; ma più tardi, quando si risovvenne di tutte le circostanze di questo avvenimento, ne fu vivamente colpito. Arrivando al piano inferiore a quello in cui si trovava lo studio del pittore, la vecchia sclamò con dolcezza: - Adelaide, tu hai lasciata aperta la porta.

— Era per venire in mio soccorso, rispose il pittore con un sorriso di riconoscenza.

— Mamma mia, voi siete discesa appena adesso, replicò la giovinetta arrossendo.

— Volete che vi accompagniamo fino abbasso? disse la mamma al pittore. La scala è scura.

— Grazie, signora, mi sento molto meglio.

— Tenetevi fermo alla sbarra.

Le due donne restarono sul pianerottolo per far lume al giovane ascoltando i suoi passi.

Per comprendere tutto ciò che questa scena poteva avere di curioso e di inatteso per il pittore, è d'uopo aggiungere che solo da alcuni giorni egli aveva collocato il suo studio negli abbaini di quella casa, nel luogo più oscuro e più pantanoso della via Suresne, quasi dirimpetto alla chiesa della Maddalena, a due passi dal suo appartamento che si trovava in via dei Campi Elisi. La celebrità che il suo talento gli aveva acquistata, avendolo fatto uno degli artisti più cari alla Francia, cominciava a non più sentire le strette del bisogno e godeva, a dir suo, delle sue ultime miserie. Invece di andare a lavorare in uno di quegli studii situati presso le barriere ed il cui modico affitto era altra volta in rapporto colla modestia dei suoi guadagni, aveva soddisfatto ad un desiderio che si rinnovava tutti i giorni evitando una lunga corsa e la perdita di un tempo divenuto per lui più prezioso che mai. Nessuno al mondo avrebbe inspirato tanto interesse come Ippolito Schinner, se avesse acconsentito a farsi conoscere; ma egli non confidava con leggierezza i segreti della sua vita. Era l'idolo di una madre povera che l'aveva educato a costo delle più grandi privazioni. La signorina Schinner, figlia d'un fittabile alsaziano, non era mai stata maritata. La sua anima tenera era stata crudelmente oltraggiata da un uomo ricco che non vantava troppa delicatezza in fatto d'amore. Il giorno in cui, ancora ragazza, ed in tutto lo splendore della sua bellezza, subì, a spese del suo onore e dei suoi ideali, quella disillusione che ci colpisce così lentamente e così presto, giacchè crediamo il più tardi possibile al male e ci sembra arrivi sempre troppo presto, quel giorno fu un secolo di riflessioni, e fu pure il giorno de' pensieri religiosi e della rassegnazione. Ella rifiutò l'elemosina di colui che l'aveva ingannata, rinunziò al mondo e si fece una gloria del suo fallo. Si dedicò tutta all'amore materno chiedendogli le sue delizie in compenso dei godimenti sociali cui rinunciava. Visse del suo lavoro accumulando nel figlio un tesoro. Così, più tardi, un giorno, un'ora, la compensò dei lunghi e lenti sacrificii della sua indigenza. All'ultima esposizione suo figlio aveva ottenuto la croce della legione d'onore. Nei giornali, unanimi in favore di un talento sconosciuto, risonavano ancora le lodi sincere. Gli artisti stessi riconoscevano Schinner per un maestro ed i negozianti coprivano d'oro i suoi quadri.

A venticinque anni Ippolito Schinner, cui sua madre aveva trasmessa l'anima sua di donna, aveva, meglio che mai, compresa la sua posizione nel mondo. Volendo rendere a sua madre le gioje di cui l'aveva privata la società per tanto tempo, viveva per lei, sperando, mercè la gloria e la fortuna, di vederla un giorno felice, ricca, considerata, attorniata dagli uomini più celebri. Schinner aveva quindi scelto i suoi amici fra gli uomini più onorevoli e più distinti. Difficile nella scelta delle sue relazioni, voleva sempre più inalzare la sua posizione, già così elevata per il suo talento. Costringendolo alla solitudine, questa madre dei grandi pensieri, il lavoro cui si era dedicato nella sua gioventù l'aveva mantenuto nelle belle credenze che sono il decoro del primi giorni della vita. La sua anima adolescente non sconosceva alcuno di quei mille pudori che fanno del giovane un essere a sè il cui cuore abbonda di felicità, di poesia, di speranze vergini, deboli agli occhi dei disillusi, ma profonde perchè semplici. Era stato dotato di quelle maniere dolci e gentili che si addicono così bene all'anima e seducono anche quelli che non le comprendono. Era ben fatto. La sua voce che partiva dal cuore ne palesava agli altri i nobili sentimenti, ed attestava nell'accento una vera modestia, un certo candore. Chi lo vedeva, si sentiva attratto a lui da una di quelle influenze morali che i dotti non hanno ancora esaminate a fondo; essi vi troverebbero qualche fenomeno di galvanismo, o l'azione di non so qual fluido e formulerebbero i nostri sentimenti con certe proporzioni di ossigeno e di elettricità. Questi particolari faranno forse comprendere alle persone ardite per carattere ed agli uomini bene incravattati perchè, durante l'assenza del portinaio che aveva mandato a cercare una carrozza in fondo alla via della Maddalena, Ippolito Schinner non fece alla portinaja interpellanza qualsiasi sulle due persone che gli avevano dimostrato il loro buon cuore. Ma, quantunque egli rispondesse con dei sì e dei no alle domande, naturali in simile circostanza, che gli vennero rivolte da questa donna sul suo accidente e sull'intervento officioso delle inquiline del quarto piano, non potè impedirle di obbedire all'istinto dei portinaj: essa gli parlò delle due sconosciute secondo gli interessi della sua politica ed i giudizii sotterranei della portineria.

— Ah! disse, è senza dubbio la signorina Leseigneur e sua madre! Sono qui da quattro anni e non sappiamo ancora che cosa facciano. La mattina, solo però fino a mezzodì, una vecchia servente, mezzo sorda, e che non parla più di un muro, viene a far loro i servizii. La sera, due o tre vecchi signori, decorati come voi, signore, di cui uno ha carrozza e servitori ed al quale si danno da cinquanta mila lire circa di rendita, vengono da lei e vi restano spesso molto tardi. Sono, del resto, inquilini molto tranquilli, come voi, signore. E poi, economi, vivono di nulla. Appena arriva una lettera, la pagano. È strano, signore, la madre ha un nome diverso della figlia. Ah! quando vanno alle Tuileries, la signorina è molto attraente, e non esce una volta senza essere inseguita da giovinotti ai quali chiude la porta in faccia, e fa bene. Il padrone di casa non permetterebbe.

La carrozza era arrivata. Ippolito non volle saperne di più e tornò a casa sua. Sua madre, cui raccontò la sua avventura, tornò a medicargli la ferita e non gli permise di tornare il dì dopo allo studio. Sentito un medico, vennero date diverse prescrizioni ed Ippolito restò in casa per tre giorni. Durante questa reclusione la sua imaginazione disoccupata gli ricordò con vivacità, e quasi a frammenti, i particolari della scena che aveva avuto sotto gli occhi dopo il suo svenimento. Il profilo della giovinetta si delineava nettamente sulle tenebre della sua visione interna: rivedeva il volto appassito della madre e sentiva ancora lo mani di Adelaide; ricordava un gesto, che a primo tratto l'aveva poco colpito, ma le cui grazie squisite erano messe in rilievo dal ricordo; poi venne un momento in cui i suoni d'una voce melodiosa abbellita a distanza dalla memoria, si ripresentarono d'un tratto, come oggetti che dal fondo dell'acqua emergono alla superficie. Così, il giorno in cui gli fu permesso di riprendere i suoi lavori, tornò per tempo al suo studio; ma la visita, che aveva incontestabilmente il diritto di fare alle sue vicine, era la vera causa della sua premura; dimenticava già i suoi quadri incominciati.

Nel momento in cui una passione rompe i suoi ritegni, si trovano del piaceri inesplicabili che comprendono quelli che hanno amato. Così alcuni comprenderanno perchè il pittore salì lentamente gli scalini del quarto piano, ed avranno la chiave del segreto delle pulsazioni che si succedettero nel suo cuore al momento in cui vide la porta bruna del modesto appartamento abitato dalla signorina Leseigneur. Quella ragazza che non portava il nome di sua madre aveva destate mille simpatie nel giovine pittore; voleva vedere fra loro certe analogie di posizione e le regalava le sventure della sua origine. Lavorando, Ippolito si lasciò andare colla massima compiacenza a pensieri d'amore, e, per uno scopo che non sapeva bene spiegarsi, fece molto strepito per obbligare le due dame ad occuparsi di lui come egli si occupava di loro. Si trattenne fino tardi nello studio, vi pranzò; indi verso le sette discese dalle sue vicine.

Nessun pittore di costumi ha osato iniziarci, forse per pudore, ai secreti veramente curiosi di certe esistenze parigine, ai misteri di quelle abitazioni d'onde escono toelette così fresche e così eleganti, donne brillanti che, ricche in apparenza, lasciano in casa vedere dappertutto i segni di una fortuna equivoca. Se la pittura è qui disegnata con troppa franchezza, se vi trovate delle lungaggini, non ne accusate la descrizione che forma, per così dire, corpo colla storia; giacchè l'aspetto dell'appartamento abitato dalle due vicine ebbe una grande influenza sui sentimenti e sulle speranze di Ippolito Schinner.

La casa apparteneva ad uno di quei proprietarii in cui è insito un orrore profondo per le riparazioni e gli abbellimenti, uno di quegli uomini che considerano la loro posizione di proprietario parigino come uno stato. Nella gran catena delle specie morali questa gente tiene il mezzo fra l'avaro e l'usurajo. Ottimisti per calcolo, sono fedeli allo statu quo dell'Austria. Se parlate di smuovere un infisso od una porta, di praticare la più necessaria delle innovazioni, i loro occhi brillano, la loro bile si commuove, si impennano come cavalli spaventati.

Quando il vento ha rovesciato qualche comignolo dei loro camini, sono ammalati e si privano di una serata al Ginnasio od alla Porta San Martino, a motivo delle riparazioni. Ippolito, che a proposito di certi abbellimenti da praticare nel suo studio aveva avuto gratis la rappresentazione di una scena comica col signor Molineux, non si meravigliò delle intonazioni nere ed untuose, delle tinte oliacee, delle macchie ed altri accessorii abbastanza disgustosi che decoravano le stanze. Quelle stigmate di miseria non sono del resto senza poesia agli occhi di un artista.

La signorina Leseigneur venne ella stessa ad aprire la porta. Vedendo il giovine pittore, lo salutò; poi, nello stesso tempo, con quella destrezza parigina e con quella presenza di spirito che è un dono della fierezza, si rivolse per chiudere la porta di una tramezza a vetri attraverso la quale Ippolito avrebbe potuto vedere alcune biancherie stese sopra corde al di sopra di fornelli economici, un vecchio letto di cinghie, la bragia, il carbone, i ferri da stirare, la fontana filtrante, il vasellame e tutti gli utensili necessarii all'economia domestica di una casa ristretta. Alcune cortine di mussolina abbastanza pulite nascondevano questo cafarnao, parola d'uso per designare famigliarmente questa specie di laboratorio, del resto male illuminato dalla scarsa luce presa a prestito da una corte vicina. Col rapido colpo d'occhio degli artisti, Ippolito vide la destinazione, i mobili, l'assieme e lo stato di questa prima camera divisa in due. La parte rispettabile, che serviva contemporaneamente d'anticamera e di sala da pranzo, era coperta da una vecchia tappezzeria color aurora ad orli vellutati, senza dubbio fabbricata da Reveillon, i cui buchi e le macchie erano stati accuratamente dissimulati mediante ostie da suggellare. Delle incisioni che rappresentavano le battaglie d'Alessandro, lavoro di Lebrun, ma colle cornici dalle dorature scolorite, decoravano simmetricamente le pareti. Nel mezzo di questa camera vi era un tavolo d'acajù massiccio, di forma antica e dagli orli logori. Una piccola stufa, il cui tubo dritto e senza gomito era appena visibile, si trovava dinanzi al camino il cui focolare conteneva un armadio.

Per uno strano contrasto, le sedie presentavano qualche traccia di uno splendore passato: erano di acajù scolpito; ma il marocchino rosso del sedere, i chiodi dorati e la passamanteria mostravano cicatrici numerose come quelle dei vecchi sergenti della guardia imperiale. Questa stanza serviva da museo a certe cose che non si incontrano se non in tale specie di famiglie anfibie, oggetti senza nome che partecipano ad un tempo al lusso ed alla miseria. Fra le altre curiosità Ippolito vide un cannocchiale magnificamente ornato, sospeso al di sotto del piccolo specchio verdastro che decorava il camino. Per fare il pajo con questo strano mobile vi era tra il camino e la tramezza una misera credenza dipinta in acajù, quello fra tutti i legnami che meno si riesce a simulare. Ma il pavimento rosso e sdrucciolevole, ma i logori tappetini collocati davanti alle sedie, ma i mobili, tutto risplendeva per quella proprietà di manutenzione che da un falso bagliore alle cose vecchie, meglio rilevandone i difetti, l'età, i lunghi servizii. Regnava in quella stanza un sentore indefinibile risultante dalle esalazioni del cafarnao mescolate ai vapori della sala da pranzo ed a quelli della scala, benchè la finestra fosse semiaperta e l'aria della strada agitasse le tende di percallo, accuratamente distese, in modo da nascondere gli stipiti in cui gli inquilini precedenti avevano segnata la loro presenza con diverse incrostazioni, specie di affreschi domestici. Adelaide aprì prontamente l'uscio dell'altra camera in cui introdusse il pittore con certo piacere. Ippolito, che aveva già veduto presso sua madre gli stessi sintomi d'indigenza, li osservava colla singolare vivacità d'impressione che caratterizza i primi acquisti della nostra memoria, ed entrò meglio che altri non l'avrebbe fatto nei particolari di questa esistenza. Riconoscendo gli oggetti della sua età infantile, questo buon giovine non sentì di questa miseria occultata disprezzo, nè orgoglio del lusso che aveva conquistato per sua madre.

— Ebbene, signore! spero che non sentirete più gli effetti della vostra caduta? gli disse la vecchia, levandosi da una vecchia poltrona collocata all'angolo del camino, e presentandogli una sedia.

— No, signora. Vengo a ringraziarvi delle premure che mi avete usato, e sopratutto la signorina che m'ha udito cadere.

Dicendo questa frase, satura dell'adorabile stupidità che danno all'anima i primi turbamenti dell'amor vero, Ippolito guardava la giovinetta. Adelaide accendeva la lampada a doppia corrente d'aria, allo scopo di far scomparire una candela inastata sopra una gran bugia di rame e adorna di scanalature sporgenti per l'abbondanza dello scolo.

Fece un lieve saluto, andò a riporre la bugia nell'anticamera, ritornò per collocare la lampada sul camino e sedette presso sua madre, un po' indietro del pittore, per poterlo guardare, con suo comodo dandosi l'aria di essere occupatissima del contegno della lampada la cui fiamma sotto l'influenza dell'umidità di un vetro sporco, gettava faville dibattendosi con un lucignolo nero e mal tagliato. Vedendo il gran specchio che ornava la caminiera, Ippolito vi gettò prontamente gli occhi per ammirare Adelaide. La piccola astuzia della giovinetta non servì dunque che ad imbarazzarli ambedue. Discorrendo colla signora Leseigneur, giacchè Ippolito le dava a caso questo nome, esaminò la sala, ma con prudenza e di soppiatto. Il focolare era così pieno di ceneri, che si vedevano appena le figure egiziane degli alari in ferro. Due tizzoni cercavano di riunirsi avanti un ceppo, interrato con tanta cura come fosse il tesoro d'un avaro. Un vecchio tappeto d'Aubusson, ben rattoppato, ben ripulito, logoro come l'abito di un invalido, non copriva tutto il pavimento smorzandone appena il freddo. I muri avevano per ornamento una tappezzeria rossastra che figurava una stoffa di damasco a disegni gialli. Nel mezzo della parete opposta a quella in cui si trovavano le finestre, il pittore vide una apertura segreta e le pieghe fatte nella tappezzeria dalle due porte di un'alcova ove senza dubbio andava a dormire la signora Leseigneur. Un canapè situato dinanzi a questa apertura segreta la mascherava imperfettamente. In faccia al camino v'era un tavolo d'acajù molto bello, i cui ornati non mancavano nè di ricchezza nè di buon gusto. Un ritratto appeso al di sopra rappresentava un militare d'alto grado: ma la scarsità della luce non permise al pittore di distinguere a quale arma appartenesse. Quell'orribile sgorbio pareva, del resto, fatto in China anzichè a Parigi. Alle finestre alcune tende di seta rossa erano scolorite come i mobili tappezzati in giallo e rosso che guarnivano questa sala a doppio uso. Sul marmo del tavolo, una preziosa guantiera di malachite sosteneva una dozzina di tazze da caffè magnificamente dipinte e senza dubbio fatte a Sèvres. Sul camino troneggiava l'eterna pendola dell'Impero, un guerriero che guida i quattro cavalli d'un carro la cui ruota porta ad ogni raggio la cifra di un'ora. Le candele dei candelabri erano gialle pel fumo, e ad ogni angolo dell'intelajatura si vedeva un vaso di porcellana nel quale si trovava un mazzo di fiori artificiali, pieni di polvere ed ammuffiti. Nel mezzo della stanza Ippolito osservò un tavolo da giuoco in pieno assetto e delle carte nuove. Per un osservatore vi era un non so che di desolante nello spettacolo di questa miseria imbellettata come una vecchia che vuol far dire il falso al suo viso. A questo spettacolo ogni uomo di buon senso si sarebbe proposto in segreto e di primo acchito questa specie di dilemma: O queste due donne sono la stessa probità, o vivon d'intrighi e di giuoco. Ma, vedendo Adelaide, un giovane puro come Schinner doveva credere all'innocenza la più perfetta e dare le cause più onorevoli all'incoerenza del mobilio.

— Figlia mia, disse la vecchia alla giovinetta, ho freddo, fateci un po' di fuoco e datemi il mio scialle.

Adelaide andò in una camera attigua alla sala e ritornò portando a sua madre uno scialle di cascemir che, nuovo, aveva dovuto essere di gran valore, essendone indiani i disegni; ma, vecchio, senza freschezza e tutto a rattoppi, armonizzava coi mobili. La signora Leseigneur vi si avviluppò in modo assai artistico e coll'abilità di una vecchia che vuol far credere alla verità delle sue parole. La giovinetta corse lestamente al cafarnao e ritornò con una manciata di legna minuta che gettò bravamente sul fuoco per riattizzarlo.

Sarà molto difficile tradurre la conversazione che ebbe luogo fra queste tre persone. Guidato dal tatto che si acquista colle disgrazie provate dall'infanzia, Ippolito non osava permettersi la menoma osservazione relativa alla posizione delle sue vicine, vedendo intorno a sè i sintomi di un imbarazzo così mal celato. La più semplice domanda sarebbe stata indiscreta, e non doveva essere fatta che dopo un'amicizia già antica. Tuttavia il pittore era profondamente preoccupato di questa miseria celata, la sua anima generosa ne soffriva; ma sapendo ciò che ogni specie di pietà, anche la più amica, può avere di offensivo, si trovava impacciato nel disaccordo che esisteva fra i suoi pensieri e le sue parole. Le due donne parlarono dapprima di pittura indovinando benissimo gli imbarazzi segreti che produce una prima visita; esse forse li provavano e la natura del loro spirito fornì loro mille risorse per farli cessare. Interrogando il giovine sui procedimenti materiali dell'arte sua, sui suoi studii, Adelaide e sua madre l'incoraggiarono a discorrere. Gli indefinibili nonnulla della loro conversazione, animati dalla benevolenza, condussero in modo affatto naturale Ippolito a fare alcune osservazioni o riflessioni che dipingevano la natura dei suoi costumi e dell'animo suo. I dispiaceri avevano prematuramente avvizzito il volto della vecchia, che una volta senza dubbio era stata bella; ora non le rimanevano più che i tratti salienti, i contorni, in una parola lo scheletro di una fisionomia il cui insieme indicava una gran finezza, molta grazia nel muovere gli occhi nei quali si trovava l'espressione particolare alle dame dell'antica corte e che non si saprebbe definire. Questi lineamenti, così fini, così delicati, potevano ben anche denotare dei cattivi sentimenti, far supporre l'astuzia e l'inganno femminile portato ad un alto grado di perversità anzichè mostrare le delicatezze di un'anima bella. In fatto il volto delle donne ha una cosa che mette in imbarazzo l'osservatore volgare, che cioè vi è impercettibile la differenza fra la franchezza e la doppiezza, il genio dell'intrigo e il genio del cuore. L'uomo dotato di vista penetrante indovina queste gradazioni inafferrabili, prodotte da una linea più o meno curva, da una fossetta più o meno marcata, da una sporgenza più o meno tonda o prominente.

L'apprezzamento di questi diagnostici è tutto riservato all'intuizione, che sola può far scoprire quello che altri ha interesse ad occultare. Il volto di questa signora era il fac simile dell'appartamento che abitava; pareva altrettanto difficile sapere se quella miseria occultava dei vizii od un'alta probità, come il riconoscere se la madre d'Adelaide era un'antica civetta abituata a tutto pesare, tutto calcolare, tutto vendere, o una donna piena di nobiltà e di qualità amabili. All'età di Schinner il primo movimento del cuore è di credere al bene. Quindi, contemplando la fronte nobile e quasi sdegnosa di Adelaide, guardando quegli occhi pieni d'anima e di pensieri, respirò, per così dire, i soavi e modesti profumi della virtù. Nel mezzo della conversazione colse il destro di parlare dei ritratti in generale, per avere il diritto di esaminare l'orribile pastello di cui tutte le tinte erano impallidite, e da cui era in gran parte caduta la polvere.

— Senza dubbio voi avete affetto a questa pittura a motivo della rassomiglianza, mie signore, giacchè il disegno è orribile, disse guardando Adelaide.

— È stato fatto a Calcutta in gran fretta, rispose la madre con voce commossa.

Contemplò lo schizzo informe con quell'abbandono profondo che deriva dai ricordi di felicità quando si ridestano e piombano sul cuore come una rugiada benefica alle cui fresche impressioni amiamo abbandonarci; ma nell'espressione del volto della vecchia signora apparvero altresì le traccie di un eterno cordoglio. Almeno il pittore volle interpretare così l'attitudine o la fisionomia della sua vicina, presso la quale andò a sedersi.

— Madama, aggiunse, qualche tempo ancora, ed i colori di questo pastello saranno scomparsi. Il ritratto non esisterà più che nella vostra memoria. Là voi vedrete una figura che vi è cara, gli altri non ne capiranno più nulla. Volete permettermi di riportare quella figura sulla tela? Vi sarà fissata più durevolmente che sulla carta. Accordatemi, in grazia della nostra vicinanza, il piacere di farvi questo servizio. Vi sono momenti in cui un artista ama sollevarsi dalle sue grandi composizioni con lavori di minore portata: il rifare questa testa sarà per me una distrazione.

La vecchia udendo queste parole trasalì, e Adelaide gettò sul pittore uno di quelli sguardi concentrati che pajono uno zampillo dell'anima.

Ippolito voleva appartenere alle sue due vicine con qualche vincolo ed acquistarsi il diritto di mescolarsi alla loro esistenza. La sua offerta rivolgendosi alle più vive affezioni del cuore, era la sola che gli fosse possibile fare; accontentava il suo orgoglio d'artista, e non aveva nulla d'offensivo per le due dame. Madama Leseigneur accettò senza entusiasmo nè rammarico, ma con quella conscienza delle grandi anime che sanno l'importanza dei vincoli che si stringono con simili obbligazioni e che ne fanno un magnifico elogio, una prova di stima.

— Sì, ella disse; è quello dei capitani di vascello. Il signor De Ruville, mio marito, è morto a Batavia in seguito ad una ferita ricevuta in un combattimento contro un vascello inglese che incontrò sulle coste d'Asia. Egli montava una fregata di cinquantasei cannoni e la Revenge era un vascello di novantasei. La lotta fu affatto ineguale, ma egli si difese così coraggiosamente che vi durò fino alla notte e potè mettersi in salvo. Quando tornai in Francia, Bonaparte non era ancora al potere, e mi fu rifiutata una pensione. Allorchè ultimamente la sollecitai di nuovo, il ministro mi disse con durezza che se il barone De Ruville fosse emigrato, l'avrei conservato! che oggi sarebbe senza dubbio contrammiraglio; finalmente Sua Eccellenza finì per oppormi non so qual legge sulle prescrizioni. Questo passo, al quale alcuni amici mi avevano spinta, non lo feci che per la mia povera Adelaide. Ho sempre provato ripugnanza a stendere la mano in nome di un dolore che toglie ad una donna la voce e le forze. Non amo questa stima pecuniaria di un sangue versato irreparabilmente...

— Mamma mia, la conversazione su questo soggetto ti fa sempre male.

A queste parole d'Adelaide la baronessa Leseigneur De Rouville chinò la testa e tacque.

— Signore, disse la giovinetta ad Ippolito, io credevo che il lavoro dei pittori in generale non facesse gran fracasso.

A tale questione, Schinner arrossì pensando al rumore che aveva fatto. Adelaide non insistè e gli risparmiò una bugia, alzandosi d'un tratto allo strepito d'una carrozza che si fermava alla porta; passò nella sua camera, dalla quale ritornò tosto con due candellieri dorati guerniti di candele incominciate che prestamente accese, e senza attendere il suono del campanello aprì l'uscio della prima stanza di cui abbassò la lampada. Il suono di un bacio ricevuto e dato rimbombò fino nel cuore di Ippolito. L'impazienza che il giovine provava di vedere colui che trattava così famigliarmente Adelaide non fu soddisfatta tanto presto. I sopraggiunti ebbero colla giovinetta una conversazione a voce bassa che egli trovò molto lunga. Finalmente la signorina De Rouville ricomparve seguita da due uomini, il cui abito, la fisionomia e l'aspetto erano tutta una storia. In età di circa sessanta anni il primo portava uno di quegli abiti, inventati credo da Luigi XVIII allora regnante, e nel quale il più difficile problema abbigliativo era stato risolto da un sarto che doveva restare immortale. Questo artista conosceva, per certo l'arte delle transizioni che costituì tutto il genio di quell'epoca politicamente così mobile. Non è forse merito assai raro quello di saper giudicare i proprii tempi?

Questo abito, che i giovani d'oggi possono ritenere una favola, non era nè civile nè militare e poteva passare a volta a volta per militare e per civile. Dei fiori di giglio ornavano le risvolte delle due falde posteriori.

I bottoni dorati erano pur essi a fiori di giglio. Sulle spalle, due striscie vuote aspettavano delle spalline inutili. Questi due sintomi di milizia eran là come una petizione senza postilla. Nel vecchio, sulla bottoniera del suo abito di panno turchino fiorivano diversi nastri. Egli aveva senza dubbio in mano il suo tricorno guernito di un nastro d'oro, giacchè i nivei ricci dei suoi capelli incipriati non presentavano traccia della pressione d'un cappello. Pareva non avesse più di cinquant'anni e sembrava godere di una robusta salute. Pure accusando il carattere leale e franco dei vecchi emigrati, la sua fisionomia dinotava anche i costumi libertini e facili, le gaje passioni e la noncuranza di quei moschettieri una volta così celebri nei fasti della galanteria. I suoi gesti, il suo portamento, le sue maniere, annunziavano che non voleva correggersi, nè del suo realismo, nè della sua religione, nè dei suoi amori.

Una figura veramente fantastica teneva dietro a queste pretensioso voltigeur de Louis XV (era il nomignolo dato dai bonapartisti a questi nobili avanzi della monarchia) ma per ben dipingerla bisognerebbe farne la parte principale del quadro di cui non è che un accessorio. Figuratevi un individuo secco e magro, vestito come il primo, ma che non ne era, per così dire, che il riflesso o l'ombra. L'abito nuovo nell'uno era vecchio e sdruscito nell'altro.

La cipria del capelli sembrava meno bianca nel secondo, l'oro dei fiori di giglio meno splendente, i tentativi di spalline più disperati e più raggrinzati, l'intelligenza più fiacca, la vita più di quella del primo inoltrata preso il termine fatale. Finalmente, realizzava quel motto di Rivarol su Champenetz: «È il mio Chiaro di luna.» Egli non era che il bis dell'altro, un bis pallido e meschino, giacchè correva fra i due tutta la differenza che esiste fra la prima e l'ultima tiratura di una litografia. Questo vecchio muto fu un mistero pel pittore e restò sempre un mistero. Il cavaliere - era cavaliere - non parlò e nessuno parlò a lui. Era un amico, un parente povero, un uomo che si attaccava al vecchio galante come una damigella di compagnia presso una vecchia signora? Teneva il mezzo fra il cane, il pappagallo e l'amico? Aveva salvato le sostanze o soltanto la vita del suo benefattore? Era il Trim di un altro capitano Tobia? Altrove, come dalla baronessa De Rouville, eccitava la curiosità senza mai soddisfarla. Chi poteva, sotto la Ristorazione, ricordarsi l'attaccamento che prima della Rivoluzione legava questo cavaliere alla donna del suo amico, morta da vent'anni?

Il personaggio che pareva il più nuovo di questi due avanzi, si inoltrò con galanteria verso la baronessa De Rouville, le baciò la mano, e si sedette presso di lei. L'altro salutò e si collocò presso il suo tipo, ad una distanza rappresentata da due sedie. Adelaide venne ad appoggiare i gomiti sullo schienale della poltrona occupata dal vecchio gentiluomo, imitando, senza saperlo, la posa che Guérin ha data alla sorella di Didone nel celebre suo quadro. Benchè la famigliarità del gentiluomo fosse quella di un padre, pel momento parve che le sue libertà spiacessero alla giovinetta.

— Ebbene, mi fai il broncio? disse gettando su Schinner uno di quegli sguardi obliqui pieni di finezza e di malizia, sguardi diplomatici la cui espressione tradiva la prudente inquietudine, la curiosità cortese delle persone bene educate che vedendo uno sconosciuto sembra domandino: - È dei nostri?

— Ecco il nostro vicino, gli disse la vecchia mostrandogli Ippolito. Il signore è un celebre pittore il cui nome vi deve essere noto malgrado la vostra indifferenza per le arti.

Il gentiluomo riconobbe la malizia della sua vecchia amica nell'omissione del nome, e salutò il giovane.

— Certamente, egli disse, ho inteso parlar molto dei suoi quadri all'ultima esposizione. Il talento ha dei bei privilegi, signore, aggiunse guardando il nastro rosso dell'artista. Questa distinzione, che noi dobbiamo conquistare al prezzo del nostro sangue e di lunghi servizii, voi l'ottenete da giovani; ma tutte le glorie sono sorelle, aggiunse portando la mano alla sua decorazione di San Luigi.

Ippolito balbettò alcune parole di ringraziamento, e ricadde nel suo silenzio accontentandosi di rimirare con entusiasmo la bella testa della giovinetta che l'aveva incantato. In breve si immerse in quella contemplazione senza più pensare alla miseria profonda dell'appartamento. Per lui il volto di Adelaide si staccava da un'atmosfera luminosa. Rispose brevemente alle domande che gli furono rivolte e che fortunatamente capì, grazie a una facoltà singolare dell'anima nostra, il cui pensiero può, qualche volta, in certo modo raddoppiarsi. A chi non è accaduto d'essere assorto in una meditazione voluttuosa o triste, di ascoltarne nell'interno la voce ed assistere ad una conversazione o ad una lettura? Ammirabile dualismo che spesso ajuta a compatire i nojosi. Feconda e ridente la speranza gli versò mille pensieri di felicità, e non volle più nulla osservare intorno a sè. Dopo un certo lasso di tempo si accorse che la vecchia dama e sua figlia giocavano col vecchio gentiluomo. Quanto al satellite di colui, fedele alla sua condizione di ombra, si teneva in piedi dietro l'amico, il cui giuoco lo preoccupava, rispondendo alle mute domande che gli faceva il giuocatore con delle piccole smorfie approvative, che ripetevano i movimenti interrogatorii dell'altra fisionomia.

— Du Holga, perdo sempre, diceva il gentiluomo.

— Scartate male, riprese la baronessa De Rouville.

— Ecco tre mesi che non ho potuto guadagnarvi una partita sola, egli riprese.

— Ha gli assi il signor conte? domandò la vecchia dama.

— Sì, ancora uno segnato, egli disse.

— Volete che vi dia un consiglio? diceva Adelaide.

— No, no, resta dinanzi a me. Perbacco! sarebbe perdere troppo il non averti in faccia.

Finalmente la partita finì. Il gentiluomo estrasse la sua borsa, e gettando due luigi sul tappeto, non senza mal umore: - Quaranta franchi, giusti come l'oro, disse. Eh diavolo! sono le undici!

— Sono le undici, ripetè il personaggio muto guardando il pittore.

Il giovine, intendendo questa parola un po' più distintamente di tutte le altre, pensò che era tempo di ritirarsi. Ritornando allora nel mondo delle idee volgari, trovò alcuni luoghi comuni per prendere la parola, salutò la baronessa, sua figlia, i due sconosciuti, ed uscì in preda alle prime felicità dell'amor vero, senza cercare di analizzare i piccoli avvenimenti di quella serata.

Il giorno dopo il giovine pittore provò il desiderio più violento di rivedere Adelaide. Se avesse dato ascolto alla sua passione, sarebbe andato dalle sue vicine fino dalle sei del mattino, arrivando allo studio. Fu però ancora tanto ragionevole da attendere fin dopo mezzodì. Appena credette poter presentarsi a madama De Rouville, discese, suonò, ed arrossendo come una ragazza domandò timidamente il ritratto del barone De Rouville alla signorina Leseigneur che era venuta ad aprirgli.

— Ma entrate, gli disse Adelaide che senza dubbio l'aveva udito discendere dal suo studio.

Il pittore la seguì, timido, sconcertato, non sapendo proferir parola tanto la felicità lo rendeva stupido. Vedere Adelaide, udire il fruscio della sua veste, dopo aver desiderato per tutta una mattina di essere presso di lei, dopo essersi alzato cento volte dicendo: - Vado abbasso, e non essere ancora disceso; era per lui vivere con tale esuberanza, che simili sensazioni troppo prolungate gli avrebbero logorata l'anima. Il cuore ha la potenza singolare di dare un prezzo straordinario ai nonnulla. Che gioja non è per un viaggiatore il raccogliere un filo d'erba, una foglia sconosciuta, se in quella ricerca ha rischiata la vita. I nonnulla dell'amore sono così: la vecchia non era nella sala. Quando la giovinetta vi si trovò sola col pittore, portò una sedia per staccare il ritratto, ma accorgendosi che non poteva toglierlo via senza mettere il piede sul tavolo, si volse ad Ippolito e gli disse arrossendo: - Non sono abbastanza grande. Vorreste prenderlo voi?

Un sentimento di pudore, rivelato dall'espressione della sua fisionomia e dall'accento della sua voce, era il vero motivo della sua dimanda, ed il giovine, così comprendendola, le gettò uno di quegli sguardi intelligenti che sono il linguaggio più dolce dell'amore. Adelaide vedendo che il pittore l'aveva indovinata, abbassò gli occhi per un movimento di fierezza il cui segreto appartiene alle vergini.

Non trovando una parola, e quasi intimidito, il pittore prese allora il quadro, l'esaminò con gravità e mettendolo in luce presso la finestra, se ne andò senza dir altro alla signorina Leseigneur che: - Ve lo restituirò presto. Tutti e due in quel rapido istante avevano provata una di quelle vive commozioni i cui effetti sull'animo possono paragonarsi a quelli che produce un sasso gettato nel fondo di un lago. Le riflessioni più dolci nascevano e si succedevano, indefinibili, moltiplicate, senza meta, agitando il cuore come le rughe circolari che piegano per lungo tempo l'onda diramandosi dal punto dove è caduto il sasso. Ippolito tornò al suo studio, armato di quel ritratto. Il suo cavalletto era già stato munito di una tela; una tavolozza era carica di colori; i pennelli erano puliti, il luogo e l'ora opportuni.

Quindi fino all'ora del pranzo lavorò al ritratto con quell'ardore che gli artisti mettono nei loro capricci. Ritornò la sera stessa dalla baronessa De Rouville, e vi rimase dalle nove alle undici. All'infuori dei differenti soggetti di conversazione, quella sera somigliò esattamente alla precedente.

I due vecchi arrivarono alla stessa ora, ebbe luogo la stessa partita a picchetto, dai giocatori furono dette le stesse frasi, la somma perduta dall'amico di Adelaide fu dello stesso importo di quella perduta il giorno prima; soltanto Ippolito, un po' più incoraggiato, osò discorrere colla giovinetta.

Passarono così otto giorni, durante i quali i sentimenti del pittore e quelli di Adelaide subirono quelle deliziose e lente trasformazioni che conducono le anime all'accordo perfetto. Di giorno in giorno lo sguardo con cui Adelaide accoglieva l'amico era divenuto più intimo, più confidente, più gajo, più franco; la sua voce, le sue maniere ebbero qualche cosa di più molle, di più famigliare. Tutti e due ridevano, discorrevano, si comunicavano i loro pensieri, parlando di sè stessi coll'ingenuità di due fanciulli che nello spazio di un giorno hanno stretta amicizia, come se si fossero veduti da tre anni. Schinner giocava al picchetto. Ignorante e novizio, faceva naturalmente l'alunnato e, come il vecchio, perdeva tutte le partite. Senza essersi ancora confidato il loro amore, i due amanti sapevano di appartenersi l'un l'altro. Ippolito aveva esercitato con fortuna il suo potere sulla timida amica. Molte concessioni gli erano state fatte da Adelaide la quale, timida e devota aveva di quei falsi malumori che l'amante meno abile e la giovinetta più primitiva inventano e di cui si servono di continuo, come i fanciulli viziati abusano del potere che loro dà l'amore della madre. Ogni famigliarità era cessata fra il vecchio ed Adelaide. La giovinetta aveva naturalmente compresa la tristezza del pittore ed i pensieri occulti nelle pieghe della sua fronte, nell'accento brusco delle poche parole che pronunciava allorchè il vecchio baciava senza riguardo alcuno le mani od il collo di Adelaide. Dal canto suo la signorina Leseigneur chiedeva al suo amante stretto conto delle menome sue azioni. Era così infelice, così inquieta quando Ippolito non veniva; sapeva così bene rimproverarlo per le sue assenze, che il pittore cessò di trovarsi coi suoi amici e di andare in società.

Adelaide lasciò trapelare la gelosia naturale alle donne udendo che talvolta, uscendo da madama De Rouville alle undici, il pittore faceva ancora delle visite e si recava nei saloni più brillanti di Parigi. Da principio pretendeva che questo genere di vita fosse pernicioso alla salute: poi trovò modo di dirgli, con quella profonda convinzione alla quale danno tanta forza l'accento, il gesto, e lo sguardo d'una persona amata: «Che un uomo obbligato a prodigare a più donne in una volta il suo tempo e le grazie del suo spirito, non poteva essere oggetto di una viva affezione.» Il pittore fu dunque condotto, tanto dal dispotismo della passione che dalle esigenze di una fanciulla innamorata, a non vivere che in quel piccolo appartamento in cui tutto gli piaceva. Mai vi fu amore più puro e più ardente. Da una parte e dall'altra la stessa fede, la stessa delicatezza, fecero crescere quella passione senza l'ajuto dei sagrifizi coi quali molti cercano di provarsi il loro amore. Fra essi esisteva uno scambio continuo di sensazioni dolci, e non sapevano chi più ne dava e più ne riceveva. Una involontaria tendenza rendeva sempre più stretta l'unione delle anime loro. Il progresso di questo sentimento vero fu così rapido, che due mesi dopo l'accidente cui il pittore doveva la felicità di avere conosciuta Adelaide, la loro vita era diventata una vita sola. Cominciando dal mattino la giovinetta udendo il passo del suo innamorato poteva dire a se stessa: è là! Quando Ippolito tornava da sua madre, all'ora del pranzo, non mancava mai di venire a salutare le sue vicine, e la sera, all'ora solita, accorreva colla puntualità d'innamorato. La donna più tirannica e più ambiziosa in amore non avrebbe quindi potuto fare il menomo rimprovero al giovine pittore. Anche Adelaide godeva una felicità, affatto pura ed illimitata vedendo realizzarsi in tutta la sua estensione l'ideale che alla sua età è tanto naturale sognare. Il vecchio gentiluomo veniva meno di frequente; il geloso Ippolito l'aveva la sera sostituito al tappeto verde, nella sua costante sfortuna al giuoco. Tuttavia, in mezzo alla sua felicità, pensando alla disastrosa situazione di madama De Rouville, giacchè aveva avuto più di una prova della sua miseria, non poteva spacciare un pensiero importuno. Già più volte ritornando a casa si era detto: - Come! Venti franchi tutte le sere! E non osava confessarsi i suoi sospetti odiosi. Impiegò due mesi a fare il ritratto, e quando fu finito, verniciato, messo in cornice, lo contemplò come una delle sue opere migliori. Madama la baronessa De Rouville non gliene aveva più parlato. Era noncuranza o fierezza? Il pittore non voleva spiegarsi questo silenzio.

Fece con Adelaide il lieto complotto di mettere il ritratto al suo posto durante la passeggiata che sua madre faceva ordinariamente alle Tuileries. Adelaide salì sola, per la prima volta, allo studio di Ippolito, col pretesto di vedere il ritratto nella luce favorevole sotto la quale era stato dipinto. Restò muta ed immobile, in preda ad una contemplazione deliziosa in cui fondevansi in un solo tutti i sentimenti della donna. Non si riassumono essi tutti in una giusta ammirazione dell'uomo amato? Allorchè il pittore, inquieto di quel silenzio, si chinò per vedere la giovinetta, essa gli stese la mano, senza poter dire una parola; ma due lagrime eranle cadute dagli occhi. Ippolito prese quella mano, la coperse di baci, e per un momento si guardarono in silenzio, essendo ambedue per confessarsi il loro amore e non osandolo. Il pittore teneva nelle sue la mano d'Adelaide ed uno stesso calore, uno stesso movimento loro appresero che i loro cuori battevano ambedue colla stessa forza. Troppo commossa, la giovinetta si allontanò dolcemente da Ippolito, e disse gettandogli un'occhiata piena d'ingenuità:

— Voi farete ben felice mia madre!

— Che? vostra madre soltanto? egli domandò.

— Oh, io lo sono anche troppo.

Il pittore abbassò la testa e rimase silenzioso, stordito dalla violenza dei sentimenti che l'accento di questa frase svegliò nel suo cuore. Comprendendo allora tutto il pericolo di quella situazione, essi discesero e misero il ritratto al suo posto. Ippolito pranzò per la prima volta colla baronessa e con sua figlia. Fu festeggiato, complimentato da madama De Rouville con una rara bonomia. Nella sua tenerezza, tutta in lagrime, la vecchia dama volle baciarlo. La sera, il vecchio emigrato, aulico camerata del barone De Rouville, col quale aveva vissuto fraternamente, fece alle sue due amiche una visita per annunziar loro che era stato nominato vice-ammiraglio. Le sue navigazioni terrestri attraverso la Germania e la Russia gli erano state contate come campagne navali. All'aspetto del ritratto strinse cordialmente la mano al pittore ed esclamò: - In fede mia! benchè la mia vecchia carcassa non valga la pena di essere conservata, darei ben volontieri cinquecento pistole per vedermi così somigliante come il mio vecchio Rouville.

A questa proposta la baronessa guardò il suo amico e sorrise lasciando scaturire dal suo volto i sintomi di una subita riconoscenza. Ippolito credette indovinare che il vecchio ammiraglio voleva offrirgli il prezzo dei due ritratti pagando il suo. La sua fierezza d'artista, forse tanto come la sua gelosia, si offese di quell'idea e rispose: - Signore, se fossi ritrattista non avrei fatto questo qui.

L'ammiraglio si morse le labbra e si mise a giocare. Il pittore restò presso Adelaide, che gli propose di fare una partita; accettò. Giocando, osservò in madama De Rouville un ardore pel giuoco che lo sorprese. Mai quella vecchia baronessa aveva dimostrato un desiderio così ardente di guadagno, nè un piacere così vivo palpando le monete d'oro del gentiluomo. Durante la serata, brutti sospetti vennero a turbare la felicità di Ippolito e gli inspirarono la diffidenza. Madama De Rouville viveva dunque del giuoco? Non giocava essa in quel momento per soddisfare qualche debito, o spinta da qualche necessità? Forse non aveva pagato l'affitto. Quel vecchio pareva abbastanza fino per lasciarsi prendere impunemente il danaro. Quale poteva dunque essere l'interesse che lui, ricco, attirava in quella povera casa? Perchè una volta era così famigliare con Adelaide, e perchè ad un tratto aveva rinunziato ai privilegi acquistati, forse dovuti? Queste riflessioni gli vennero involontariamente, e l'eccitarono ad esaminare con nuova attenzione il vecchio e la baronessa. Fu malcontento delle loro arie d'intelligenza e degli sguardi obliqui che gettavano su Adelaide e su lui. «Mi ingannerebbero?» fu per Ippolito un'ultima idea, orribile, demoralizzante, ed alla quale credette quel tanto che bastava per esserne torturato. Volle restare dopo la partenza dei due vecchi per confermare i suoi sospetti o dissiparli. Aveva cavata la sua borsa per pagare Adelaide; ma, in preda ai suoi pensieri tumultuosi, mise la borsa sulla tavola e cadde in una fantasticheria che durò poco; indi, vergognandosi del suo silenzio, si alzò, rispose ad una interrogazione banale fattagli da madama De Rouville e si avvicinò a lei per potere, discorrendo, meglio esaminare quel vecchio volto. Uscì in preda a mille incertezze. Appena aveva fatti alcuni gradini, si ricordò di avere dimenticato il danaro sul tavolo e ritornò.

— Vi ho lasciato la mia borsa? disse alla giovinetta.

— No, rispose ella arrossendo.

— La credeva là, egli riprese, mostrando il tavolo da giuoco; ma, vergognoso per Adelaide e per la baronessa di non vedervela, le guardò con aria inebetita che le fece ridere, impallidì e continuò tastando il gilè: «Mi sono ingannato; l'ho senza dubbio.» Salutò ed uscì. In uno dei lati di quella borsa vi erano quindici luigi, nell'altro degli spiccioli. Il furto era così flagrante, così sfrontatamente negato, che Ippolito non poteva più conservare dubbio sulla moralità delle sue vicine. Si fermò sulla scala, la discese con pena: le gambe gli tremavano, aveva le vertigini, sudava, gelava, e si trovava impotente a lottare coll'atroce commozione cagionatagli dalla rovina di tutte le sue speranze. In quel momento raccapezzò nella memoria una quantità di osservazioni, futili in apparenza, ma che corroboravano i terribili sospetti ai quali era stato in preda, e che servivano a riprova della verità dell'ultimo fatto, aprendogli gli occhi sul carattere e sulla vita di quelle due donne. Avevano dunque aspettato che fosse consegnato il ritratto per rubare la borsa? Combinato, il furto era ancora più odioso. Il pittore si ricordò, per sua sventura, che da due o tre sere Adelaide, mentre sembrava esaminare con una curiosità di ragazza il lavoro speciale della rete di seta usata, probabilmente verificava il danaro contenuto nella borsa, con scherzi in apparenza innocenti, ma che senza dubbio avevano lo scopo di spiare il momento in cui la somma fosse abbastanza rilevante per essere sottratta. - Il vecchio ammiraglio ha forse delle eccellenti ragioni per non sposare Adelaide, ed allora la baronessa avrà cercato di... A quella supposizione si fermò non completando nemmeno il suo pensiero che fu distrutto da una riflessione assai giusta. - Se la baronessa, pensò, spera di farmi sposare sua figlia, esse non m'avrebbero derubato. Poi, per non rinunciare alle sue illusioni, al suo amore già così saldamente radicato, tentò di cercare qualche giustificazione nel caso. - La mia borsa sarà cascata per terra, diceva; sarà restata sulla mia poltrona. Forse l'ho; sono tanto distratto! Si frugò convulsivamente e non trovò la maledetta borsa. La sua memoria crudele gli raffigurava tratto tratto la fatale verità. Vedeva distintamente la sua borsa distesa sul tappeto; ma, non dubitando più del furto, scusava Adelaide, dicendo che non si dovevano giudicare così lestamente i disgraziati. Vi era senza dubbio un segreto in quell'azione così degradante. Non voleva che quella fiera e nobile figura fosse una maschera. Tuttavia quell'appartamento così miserabile gli parve spoglio della poesia dell'amore che tutto abbellisce; lo vide sporco e indecente, lo considerò come il simbolo di una vita intima senza nobiltà, disoccupata e viziosa. I nostri sentimenti non sono, per così dire, scritti sulle cose che ne circondano? Il mattino dopo si alzò senza aver dormito. Il dolore del cuore, questa grave malattia morale, aveva fatto in lui enormi progressi. Perdere una felicità sognata, rinunziare a tutto un avvenire, è un tormento più acuto di quello cagionato dalla rovina di una felicità provata, per quanto sia stata completa: la speranza non è forse migliore del ricordo? Le meditazioni in cui cade tutto ad un tratto l'anima nostra sono allora come un mare senza sponde nel seno del quale noi possiamo nuotare per un momento, ma in cui è necessario che il nostro amore si anneghi e muoja.

È una morte orribile. Non sono i sentimenti la parte più brillante della nostra vita? Da questa morte parziale derivano in certe organizzazioni delicate o forti le grandi rovine prodotte dalla disillusione, dalle speranze e dalle passioni tradite. Così fu del giovine pittore. Uscì per tempissimo, assorto nelle sue idee, dimenticando tutto il mondo. Per un caso che non aveva nulla di straordinario, incontrò uno dei suoi amici più intimi, camerata di collegio e di studio, col quale aveva vissuto meglio che con un fratello.

— Ebbene, Ippolito, cos'hai? gli disse Francesco Souchet, giovine scultore che aveva allora ottenuto il gran premio e doveva partire per l'Italia.

— Sono sfortunatissimo, rispose gravemente Ippolito.

— Non è che un affare di cuore che ti possa dare affanno. Danaro, gloria, considerazione, nulla ti manca.

A poco a poco le confidenze cominciarono, ed il pittore confessò il suo amore. Quando parlò della via Suresne e d'una giovinetta alloggiata ad un quarto piano: - Alto là! gridò allegramente Souchet. È una giovinetta che vedo tutte le mattine all'Assunzione ed alla quale fo la corte. Sua madre è una baronessa! Ci credi tu alle baronesse alloggiate al quarto piano? Brrr!... Ah! tu sei un uomo dell'età dell'oro; ma essa ha una figura, un'aria che dicono tutto. Come! Non hai indovinato che cosa è alla maniera con cui tiene il suo scialle?

I due amici passeggiarono a lungo, e loro si unirono parecchi giovani che conoscevano Souchet e Schinner. L'avventura del pittore, giudicata di poca importanza, fu loro contata dallo scultore.

— Ed anch'esso ha veduto quella ragazza!

Furono osservazioni, risa, burle, fatte innocentemente e con tutto il brio degli artisti, ma delle quali Ippolito soffriva orribilmente. Un certo intimo pudore lo metteva in triste posizione vedendo il segreto del suo cuore trattato con tanta leggierezza, la sua passione lacerata, fatta in brandelli, una giovinetta sconosciuta e la cui vita pareva così modesta, sottoposta a giudizii veri o falsi, pronunciati con tanta indifferenza. Affettò di essere spinto da uno spirito di contraddizione; chiese seriamente a ciascuno le prove delle sue asserzioni, e gli scherzi ripresero da capo.

— Ma, caro amico, hai veduto lo scialle della baronessa? diceva Souchet.

— Hai seguito la piccina, la mattina, quando trotta all'Assunzione? diceva Giuseppe Bridau, un birichino dello studio di Gres.

— Ah! la madre ha, fra le altre virtù, un certo abito grigio che considero come un tipo, disse Bixiou, il caricaturista.

— Ascolta, Ippolito, riprese lo scultore, vieni qui verso le quattro ed analizza un po' gli andamenti della madre e della figlia. Se dopo hai dei dubbii, ebbene! da te non si caverà mai nulla. Sarai capace di sposare la figlia della tua portinaja.

In preda ai sentimenti più opposti, il pittore abbandonò i suoi amici. Adelaide e sua madre gli sembravano esseri superiori a queste accuse, ed in fondo al cuore provava rimorso di avere sospettata la purezza di quella giovane così semplice e così bella.

Andò al suo studio, passò davanti alla porta dell'appartamento in cui si trovava Adelaide, e provò il senso di dolore al cuore che non lascia luogo ad esitanze. Amava la signorina De Rouville con tanta passione che, ad onta del furto della borsa, l'adorava ancora. Il suo amore era quello del cavaliere Des Grieux che ammira e purifica la sua bella perfino sulla carretta che conduce alla prigione le donne perdute. - Perchè il mio amore non la renderebbe la più pura di tutte le donne? Perchè abbandonarla al male, al vizio, senza porgerle una mano amica? Questa missione gli piacque. L'amore trae profitto da ogni cosa. Nulla più seducente per un giovane che fare la parte del genio del bene presso una donna. Vi è qualche cosa di romanzesco in tale impresa che s'addice alle anime esaltate. Non è forse la massima devozione sotto la forma più elevata, più gentile? Non vi è della grandezza nel sapere che si ama abbastanza per amare ancora là ove l'amore degli altri si estingue e muore? Ippolito si assise nel suo studio, contemplò il suo quadro senza punto lavorarvi, non vedendo le figure che attraverso alcune lagrime che gli ondeggiavano negli occhi, tenendo sempre la tavolozza alla mano, avanzandosi verso la tela come per raddolcire una tinta, ma non toccandola. La notte lo colse in quell'attitudine. Svegliato dalla sua fantasticheria dall'oscurità, discese, incontrò il vecchio ammiraglio sulle scale, gli gettò una triste occhiata salutandolo, e fuggì. Aveva avuta l'intenzione di entrare dalle sue vicine, ma l'aspetto del protettore d'Adelaide gli gelò il cuore e fece svanire la sua risoluzione. Si chiese per la centesima volta quale interesse poteva condurre quel vecchio libertino, ricco di ottantamila lire di rendita, in quel quarto piano ove perdeva circa quaranta franchi tutte le sere; e quell'interesse credette indovinarlo. Il giorno dopo ed i seguenti Ippolito si ingolfò nel lavoro per cercare di combattere la sua passione, colla foga delle idee e della concezione. Riescì a mezzo. Lo studio lo consolò senza però arrivare a soffocare i ricordi di tante ore carezzevoli passate presso Adelaide. Una sera, nel lasciare il suo studio, trovò la porta dell'appartamento delle due signore semichiusa. Vi era una persona in piedi nel vano della finestra. La disposizione della porta e della scala non permettevano al pittore di passare senza vedere Adelaide; la salutò freddamente, lanciandole una occhiata indifferente; ma, giudicando dalle sue le sofferenze di quella giovinetta, provò un sussulto interno nel pensare all'amarezza che quello sguardo e quella freddezza dovevano gettare in un cuore innamorato. Coronare le più dolci feste che mai abbiano rallegrate anime pure con un dispetto di otto giorni, collo sprezzo più profondo, più completo!... triste scioglimento! Forse la borsa era stata trovata, e forse ogni sera Adelaide aveva aspettato il suo amico. Questo pensiero così semplice, così naturale, fece provare nuovi rimorsi all'innamorato. Si domandò se le prove d'attaccamento che la giovinetta gli aveva date, se le incantevoli conversazioni, improntate da un amore che l'aveva entusiasmato, non meritavano almeno un'inchiesta, non valevano una giustificazione. Vergognandosi di aver resistito per una settimana ai voti del cuore e trovandosi quasi reo per quella lotta, la sera stessa andò da madama De Rouville. Tutti i suoi sospetti, tutti i suoi cattivi pensieri, svanirono all'aspetto della giovinetta pallida e dimagrata.

— Mio Dio, che avete? le disse dopo avere salutata la baronessa.

Adelaide non gli rispose, ma gli lanciò un'occhiata piena di malinconia, un'occhiata triste, scoraggiata, che gli fece male.

— Avete senza dubbio lavorato molto, disse la vecchia, siete cambiato. Noi siamo la causa della vostra reclusione. Questo ritratto avrà ritardato alcuni quadri importanti per la vostra riputazione.

Ippolito fu felice di trovare una scusa così buona alla sua indelicatezza.

— Sì, disse, sono stato molto occupato, ma ho sofferto...

A quelle parole Adelaide alzò la testa, guardò il suo amante, ed i suoi occhi inquieti non gli rimproverarono più nulla.

— Voi ci supponevate molto indifferenti a ciò che di bene e di male vi può accadere? disse la vecchia.

— Ebbi torto, egli rispose. Tuttavia vi sono dolori che non si potrebbero confidare ad alcuno, nemmeno ad un sentimento meno recente di quello di cui voi mi onorate...

— La sincerità, la forza dell'amicizia non si devono misurare dal tempo. Ho visto dei vecchi amici non scambiarsi una lagrima nella sventura, disse la baronessa crollando la testa.

— Ma che avete dunque? chiese il giovine ad Adelaide.

— Oh! nulla, rispose la baronessa. Adelaide ha passato alcune notti per finire un lavoro femminile e non ha voluto darmi ascolto quando le dicevo che un giorno più un giorno meno poco importava...

Ippolito non ascoltava. Vedendo quelle due figure così nobili, così calme, arrossiva dei suoi sospetti ed attribuiva la perdita della sua borsa a qualche caso inesplicabile.

Quella serata fu deliziosa per lui, e fors'anche per lei. Vi sono segreti che le anime giovani comprendono così bene! Adelaide indovinava ciò che pensasse Ippolito. Senza volere confessare i suoi torti, il pittore li riconosceva; ritornava alla sua amante più invaghito, più affettuoso, cercando così di guadagnare un tacito perdono.

Adelaide gustava gioje così perfette, così dolci, che non le parevano pagate troppo con tutta la sciagura che aveva così crudelmente straziato l'anima sua.

L'accordo così vero dei loro cuori, quell'intimità piena di magia, fu però turbata da una parola della baronessa De Rouville.

— Facciamo la nostra partitina? ella disse, giacchè il mio vecchio Kergarouët mi tiene il broncio.

Questa frase risvegliò tutti i sospetti del giovine pittore, che arrossì guardando la madre di Adelaide; ma non vide su quel volto che l'espressione di una bonomia sincera; nessuna seconda intenzione ne distruggeva la piacevolezza; la finezza non era perfida, la malizia pareva dolce, e nessun rimorso ne alterava la calma.

Allora si mise alla tavola da giuoco.

Adelaide volle dividere la sorte del pittore, pretendendo che non conoscesse il picchetto, ed avendo bisogno d'un socio.

Madama De Rouville e sua figlia si fecero durante la partita dei segni d'intelligenza che inquietavano tanto più Ippolito, inquantochè guadagnava; ma poi alla fine un ultimo colpo rese i due amanti debitori della baronessa.

Volendo cercare delle monete nelle tasche, il pittore ritirò le mani da sopra la tavola, ed allora vide davanti a sè una borsa che Adelaide vi aveva fatto scivolare senza ch'egli se ne accorgesse; la povera ragazza teneva l'antica, e per darsi contegno si occupava a cercarvi del danaro per pagare sua madre.

Il sangue di Ippolito affluì tutto al suo cuore con impeto sì grande che fu sul punto di venir meno.

La borsa nuova sostituita alla sua e che conteneva i suoi quindici luigi, era ricamata in perle d'oro.

I cappii, le nappine, tutto attestava il buon gusto di Adelaide, che senza dubbio aveva esaurito il suo peculio negli ornamenti di quel grazioso lavoro.

Era impossibile dire con maggior delicatezza che il dono del pittore non poteva essere ricompensato che con un attestato d'affezione.

Quando Ippolito, soprafatto dalla felicità, volse gli occhi su Adelaide e sulla baronessa, le vide tremanti di gioja e felici dell'amabile soperchieria.

Egli si trovò piccolo, meschino, babbeo; avrebbe voluto punirsi, lacerarsi il cuore.

Alcune lagrime gli spuntarono negli occhi, si alzò con un moto irresistibile, prese Adelaide fra le braccia, la strinse al seno, le rapì un bacio, poi, con una buona fede d'artista:

— Ve la chiedo in moglie! sclamò guardando la baronessa.

Adelaide gettava sul pittore degli sguardi mezzo corrucciati e madama De Rouville, un po' sorpresa, cercava una risposta, quando la scena fu interrotta dallo strepito del campanello.

Il vecchio ammiraglio comparve seguito dalla sua ombra e dalla signora Schinner.

Dopo avere indovinato la causa dei dispiaceri che suo figlio aveva inutilmente cercato di nasconderle, la madre di Ippolito aveva preso informazioni su Adelaide da alcuno dei suoi amici.

Giustamente allarmata dalle calunnie che pesavano su quella giovinetta all'insaputa del conte di Kergarouët, il cui nome gli fu detto dalla portinaja, era andata a narrarle al vice-ammiraglio, che nella sua collera diceva di «voler andare a tagliare le orecchie a quei furfanti.»

Animato dalla sua bile, aveva comunicato alla signora Schinner il segreto delle perdite volontarie che faceva al giuoco, giacchè la fierezza della baronessa non gli lasciava che quel mezzo ingegnoso per soccorrerla.

Allorchè madama Schinner salutò madama De Rouville, questa guardò il conte di Kergarouët, Ippolito, Adelaide, e disse colla grazia del cuore: - Pare che questa sera siamo in famiglia.

Fine.

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