Prefazione

Abbiamo già dato la biografia di Balzac, allorquando si pubblicarono i volumi contenenti Mercadet l'affarista, Il lutto, Fisiologia del matrimonio, Gl'impiegati. Quale prefazione a questo volume che si sta pubblicando, il quale contiene La pace domestica, L'elisir di lunga vita, La borsa, reputiamo opportuno citare il giudizio che dello stesso Balzac hanno pronunziato quei due grandi luminari della letteratura francese, che furono Vittor Hugo e Lamartine.

Victor Hugo ha scritto: «Il nome di Balzac lascierà una traccia luminosa alla nostra epoca ed a quella che vi seguirà. Egli era dei primi fra i grandi, dei più alti fra i migliori. Tutti i suoi libri ne formano un solo, un libro vivo, luminoso, profondo, ove si vede il viavai, il camminare, il moversi, con un non so che di sgomento e di terribile, misto alla realtà dell'intero nostro incivilimento contemporaneo; un libro maraviglioso che il poeta intitolò commedia e che avrebbe potuto intitolare storia; che prende tutte le forme e tutti gli stili; che supera Tacito e tocca Svetonio; che attraversa Beaumarchais e giunge fino a Rabelais; un libro che è tutto osservazione ed imaginazione; che prodiga il vero, l'intimo, il borghese, il triviale, il materiale e che, in certi momenti, attraverso tutte le realtà della vita repentinamente e largamente strappate, lascia tutto ad un tratto scorgere l'ideale più tetro e tragico. A sua insaputa, il voglia o no, consenziente o no, l'autore di quest'opera immensa e strana è della forte stirpe degli scrittori rivoluzionarii. Egli va dritto alla meta. Afferra pel corpo la società moderna; strappa a tutti un brandello, agli uni l'illusione, agli altri la speranza, a questo un grido, a quello una maschera; fruga il vizio, disseca la passione, scruta, scandaglia l'uomo, l'anima, il cuore, le viscere, il cervello, l'abisso che ciascuno ha in sè.»

E Lamartine scrisse di lui:

«I tre caratteri predominanti del talento di Balzac sono: la verità, il patetico e la moralità. Bisogna aggiungervi l'invenzione drammatica, che lo rende in prosa eguale e spesso superiore a Molière. So che a questa parola si leverà un grido di scandalo e di sacrilegio da tutta la Francia; ma, senza punto detrarre all'autore del Misantropo di ciò che la perfezione del suo verso aggiunge all'originalità del suo talento e proclamandolo, come tutti, incomparabile e inimitabile, il mio entusiasmo per il gran commediografo del secolo di Luigi XIV non mi renderà mai ingiusto ed ingrato verso un altro, inferiore in locuzione; eguale, se non superiore, in convinzione; pure incomparabile in fecondità: Balzac! Quante volte leggendolo e svolgendo con lui i prodigiosi ed inesauribili meandri della sua inventiva, ho esclamato fra me e me: «La Francia ha due Molière; il Molière in versi e il Molière in prosa!» Balzac è anzitutto il gran geografo delle passioni. Non so che istinto rivelatore ed osservatore gli ha insegnato che i luoghi e gli uomini sono vincolati da legami segreti; che il tal sito è un'idea, la tal muraglia è un carattere, e che per ben riuscire in un ritratto fa d'uopo dipingere una camera. Quest'analogia e fedeltà stanno ai suoi romanzi come il paesaggio alle grandi scene del dramma. Gl'imbecilli si lagnano della minuziosità apparente di descrizione; gl'intelligenti l'ammirano. In lui tutto incomincia con un simile ambiente de' suoi personaggi, prefazione dell'uomo. Anzi è appunto in ciò ch'egli spiegò il maggior estro. Ecco, per esempio, il principio di Eugenia Grandet, ecco l'avaro, assai diversamente concepito da quello di Plauto, di Terenzio e di Molière. La commedia di carattere va fino al riso nelle caricature di questi grandi commediografi. In Balzac va fino al pianto. Gli uni si burlavano ridevolmente dell'avaro nel motto famoso: Che fare in quella galera? L'altro fa detestare il vizio e odiare il vizioso.»

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