Roma cattolica – Corte vaticana – Politica e diplomazia ecclesiastica – Segreteria di Stato e Accademia dei Nobili – Rapporti gerarchici.

Carissime,

...Io non mi dissimulo le difficoltà di vario genere inerenti a un tentativo di ricognizione dell'organismo dell'Italia cattolica. Innanzi tutto è sempre malagevole giudicare della vita interiore di una collettività, come è malagevole intuire e rappresentare la vita interiore dell'individuo. In questo come in quella una quantità di sentimenti indefinibili, di aspirazioni non confessate, di tendenze inconsapevoli sfuggono al controllo dell'osservatore. Tutto ciò è vero poi in maniera eminente per una riunione di uomini, determinata da una professione religiosa. Il cattolicismo, come gruppo sociale, non è un fatto che si svolge fuori della vita nazionale di un paese: esso getta le sue ramificazioni in tutti gli organi dello Stato, insinua le sue preoccupazioni nelle manifestazioni della psicologia generale, fa sentire le sue ripercussioni sulla stampa, sulla volontà del paese, sullo stesso potere direttivo. Come fare a calcolare queste invisibili e imponderabili efficacie? Come tener conto della loro maggiore o minore intensità, per giudicare della vitalità o meno della società che ne è principio? Ma un'altra difficoltà temo: ed è quella di veder prendere alle mie lettere i caratteri di un continuato pamphlet. Senza dubbio è umanamente impossibile che una pagina di storia non risenta, per fatalità, l'influsso delle passioni e delle antipatie di chi la scrive; ed è anche più impossibile descrivere un ambiente in cui tutti ci muoviamo e che provoca ad ogni istante i nostri entusiasmi o i nostri sdegni, senza imprimere ai fatti narrati quel colore e quella significazione che il proprio giudizio preferisce.

E allora come evitare l'accusa di libellista, se una constatazione sarà fatta con qualche crudezza, se una previsione sembrerà funerea, se una pittura avrà contorni di caricatura? Epperò io lo dichiaro lealmente: cercherò con ogni cura di non mescolare alle mie osservazioni alcuna simpatia o antipatia personale, di rimanere estraneo col mio spirito ai dibattiti di cui verrò rintracciando lo svolgimento e raccogliendo l'eco. Se ci riuscirò, se farò in modo da far esulare dalle mie pagine ogni velleità partigiana, ogni accenno di pettegolezzo, indegno di figurare nel racconto delle lotte grandiose onde è intessuta la vita religiosa di quest'alba di secolo, lo dirai tu a lettura finita.

Di un'altra qualità delle mie lettere mi preoccuperò: della chiarezza. La vita spirituale di un popolo, in ogni momento, ma sopratutto nelle ore di crisi, quando vecchie e nuove concezioni cozzano rabbiosamente fra loro, è fenomeno di una complessità straordinaria. Deve quindi essere studiato con delicata circospezione, deve esser lentamente analizzato nei suoi coefficienti molteplici. Io penso che della vita cattolica italiana attuale, delle sue crisi profonde, avremo un'idea non del tutto inadeguata, se esamineremo successivamente quel che è, come vegeta e tenacemente si sostiene la vecchia impalcatura del regime infallibile del pontificato, con la sua legislazione disciplinare e con i suoi tentativi parziali, e in realtà così contradittori, di riforma iniziati da Leone XIII, abbandonati o trasformati da Pio X e gli altri, molto più alacri, molto più significativi, che salendo impetuosamente dai bassi strati del clero e del laicato, sono sulla via di modificare, non sappiamo precisamente fino a qual punto, tutta l'atmosfera religiosa onde è saturo il cattolicismo tradizionale.

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Innanzi tutto, ti darò un breve cenno della condizione di Roma cattolica. Roma è una città ben singolare. Erede di un civiltà magnifica, la classica, precipitata sotto la furia dei barbari e occultamente corrosa dall'assenteismo ascetico dei cristiani; sviluppatasi per le cure del nuovo cesarismo, risorto vivo e presuntuoso nei papi; strappata violentemente al potere civile dei pontefici, che hanno accumulato in lei capolavori d'arte, ma poco senno pratico e niente idealità, Roma, nella vita moderna delle grandi capitali, è un anacronismo, un non senso. Essa non ha alcun carattere ieratico; ma, d'altra parte, essa non palpita all'unisono coi grandi propulsori della vita industriale e commerciale del mondo moderno: Londra, Parigi, Berlino, Vienna. Il suo popolo gaudente e superlativamente scettico, rimane freddo alla sferza dei grandi fatti e delle grandi lotte che sconvolgono la vita europea: l'eco delle memorabili lotte che si disegnano al di là dei confini fra il passato e l'avvenire, giunge alla capitale del giovane regno italico e si perde senza essere raccolta. La vita industriale non vi esiste: dicono che non vogliano che esista, pavidi delle nuove idee che fermentano spontaneamente in ogni centro di forza e di lavoro; la vita intellettuale è piena di compromessi e di sottintesi; la vita pubblica è vita di bizantinismo e di pettegolezzo. E Roma, anche dopo la breccia, è rimasta città dei papi, città clericale. Io ricorderò sempre la grande impressione che provai, quando, giovinetto, venni a Roma per la prima volta; rimasi attonito per il gran numero di chiese, per lo sterminato esercito di preti e di frati che attraversano e riempiono le sue vie; e sì, che venivo da luoghi dove la religiosità cattolica ha raggiunto le forme più basse della superstizione. Adagio, adagio io mi sono preoccupato di osservare come fosse possibile a Roma una casta così numerosa di ecclesiastici, quali fossero le sue risorse, quale la sua efficacia sulla vita cittadina. Le conclusioni cui giunsi sono ben desolanti per uno spirito liberale. Il clero romano è straordinariamente ricco. Secoli di potere, di sfruttamento, di generosità mondiali hanno impinguato fino all'inverosimile quelle congregazioni romane la cui potenza è grande come il mondo cattolico, e inappellabile come l'ordine di un sovrano assoluto. Esse raccolgono un numero sterminato di preti, dalle lautissime prebende e dalle scarsissime occupazioni, la cui vita non ha nulla di sacerdotale, spesso nulla di spirituale. Ma il potere del clero sarebbe forse ben limitato, se esso si restringesse nelle mani degli ecclesiastici. Già è chiaro che il prete ricco e fannullone alimenta intorno a sè parecchie persone, le quali sono economicamente vincolate a lui, e, in lui, a tutto il vecchio regime. Ma di più, nelle stesse congregazioni romane, ci sono impiegati in gran numero che sono laici e che per necessità finanziarie, sono fedelissimi partigiani del clericalismo. Tutto ciò costituisce un magnifico terreno dove cresce e si sviluppa lo spirito gretto e reazionario il quale predomina nella città. Tale stato di cose durerà finchè lo Stato non interverrà per regolare lui le rendite vistosissime ecclesiastiche, che sono sfuggite e sfuggono quotidianamente al controllo pubblico: finchè lo Stato non imporrà i suoi gravami a queste rendite e a queste prebende, che sfuggono perfino alle tasse, a cui invece sono sottoposti i miserrimi stipendi dell'impiegato. Finchè ciò non sarà, Roma resterà profondamente clericale, ribelle allo spirito moderno, pesante come una cappa di piombo su tutto lo sviluppo delle energie nazionali, forse anche ingombro al progresso europeo.

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Ma per darti un'idea dell'organizzazione potente per mezzo della quale il clericalismo s'insinua nella vita romana e italiana, bisognerà che io ne analizzi partitamente i centri d'azione. E cominciamo dal Vaticano.

Vaticano! parola quasi magica per l'effetto che produce nell'anima dei fedeli, in quanto significa il cervello e insieme il cuore della Chiesa, l'organo centrale da cui sgorga e si disperde attraverso tutto il mondo l'insegnamento e la disciplina della Chiesa; mirabile documento di unità e di forza morale, artisticamente simboleggiato dall'immensa cupola michelangiolesca che immersa nell'azzurro, e ampiamente dominatrice di tutto l'orizzonte romano, sembra voglia concentrare nel suo immenso vuoto tutti gli spiriti e tutte le aspirazioni della Chiesa!

Ma oggi tutto questo è semplicemente della poesia sentimentale. La realtà è distante, tristemente distante dal fantasma ideale che i tre quarti del popolo cristiano vagheggiano nella propria fantasia.

Per persuadersene basta gettare uno sguardo indagatore sull'ambiente vaticano, sul quel formicolio vario e multiforme che si aggira per le undicimila stanze, di cui non riesce che a sollevare la vecchia polvere secolare senza risuscitare nemmeno un fantasma di gloria, nemmeno un raggio della luce antica.

Intorno alla persona del papa si stende come una rete molteplice di persone che ne monopolizzano l'accesso, salvo ad aprirlo al migliore offerente, che ne assediano e ne imprigionano la volontà, persuadendo lui, ignaro, alle mire quasi sempre corte della loro anima piccola, che ne offuscano l'intelligenza perchè non gli lasciano mai conoscere la verità intiera, ma una verità ad usum delphini, perfettamente consona agl'interessi delle cricche imperanti e prementi su l'organismo della Chiesa. Maggiordomo e maestro di camera, ora riuniti in una sola persona, ma senza per questo raggiungere il fine dell'economia prefissosi dal Santo Padre, camerieri segreti, cappellano segreto, tutta questa gente mai uscita dalla cerchia delle mura vaticane circonda la persona del Papa e dirige nascostamente ma abilissimamente le mosse e le idee del Santo Padre.

Giacché non v'è persona più intimamente schiava, sebbene all'esterno goda dei titoli e degli attestati delle maggiori onorificenze, che il Papa. Si dice e si crede dai gonzi che egli sia prigioniero dello Stato italiano: in realtà esso è prigioniero dei suoi familiari che gli fan vedere, sentire e sapere soltanto quello che a loro fa comodo. Ciò è tanto vero che qui a Roma si sa benissimo che per ottenere dal papa una qualche cosa bisogna dirigersi al mons. A o al mons. B, il quale basta che voglia, (e perchè voglia ci sono tanti persuasivi argomenti) potrà farvi avere dal Santo Padre tutto quello che desiderate.

Intorno a queste persone è naturalmente un continuo viavai di gente, piccoli e grandi adepti della borghesia o del patriziato nero che si affannano su per le scale marmoree a fine di brigare, di pregare, di ottenere, che stendono così tutt'intorno al Vaticano e in tutta la Chiesa una fitta rete d'interessi piccini e miopi che soffocano le grandi iniziative, che uccidono necessariamente le grandi intraprese altruistiche e riducono la Chiesa alle proporzioni di una società di mutuo soccorso tra padroni, snaturandone lo spirito e la missione.

Questo per la vita di tutt'i giorni, per lo svolgimento degli affari che si agitano continuamente nel mondo nero. V'è poi la vita politica della Chiesa, la quale ha la sua sede diretta in Vaticano nello appartamento del Cardinale Segretario di Stato, come la vita più strettamente ecclesiastica ha la sua sede presso le varie congregazioni.

La politica della Chiesa è la più meschina che si possa immaginare, sia per gli uomini che la dirigono, sia quindi per gli effetti che produce.

Quanto agli effetti è inutile parlarne: i giornali sono ancora pieni dei documenti del dossier Montagnini, la prova più triste della nostra miseria diplomatica. Qui in Italia tutta la politica della Chiesa è stata un continuo errore: prima del 70 per le repressioni inconsulte di ogni moto liberale, per l'incredulità verso il magnifico sogno della redenzione civile d'Italia, per la speranza cieca nella Francia dirigente, quasichè dietro di essa non fosse stato in piedi e vigilante quel popolo che aveva intonato la Marsigliese, e il Çaira; dopo il '70 per l'attitudine spiccatamente ostile contro il Governo italiano che le ha fatto perdere le ottime condizioni di favore che questi le aveva fatto e che poteva benissimo accettare, anche senza venire ad un accordo ufficiale, che avrebbe nuociuto al suo prestigio di fronte alle nazioni estere. La novissima attitudine poi, che data dal pontificato di Pio X, è anche più disastrosa dell'altra, perchè infeuda direttamente la Chiesa al partito moderato e fa di essa un elemento strettamente conservatore. Pio X ha cancellato l'Enciclica Rerum Novarum, e con le sue simpatie conservatrici ha tagliato la Chiesa fuori dell'avvenire d'Italia.

Solo in Germania e in America il Cattolicismo rappresenta ancora politicamente qualche cosa: ma tu sai meglio di me che in Germania e in America i cattolici hanno le mani libere e si muovono secondo le loro spontanee e naturali energie e secondo i propri interessi senza che la diplomazia vaticana riesca ad impicciarsi molto direttamente degli affari loro Ma veniamo alle persone.

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In tal caso la lacrimevole commedia si fa più ridicola, giacchè dove vuoi tu mai trovare cosa più goffa, e più infantile della diplomazia ecclesiastica?

Sai quale cardinale presieda al suo funzionamento: il cardinale Merry del Val. Sotto la direzione di costui, i frutti più dolorosi per la diplomazia ecclesiastica non tardarono ad apparire: la rottura diplomatica con la Francia, la soppressione del Concordato, la legge di separazione, e poi come se non bastasse, lo scandalo del dossier Montagnini, il quale scandalo se materialmente si deve al prelato piemontese, moralmente si deve al card. Merry del Val che aveva dato al suo inviato ordini così meschini e ne aveva fatto, memore delle gesta diplomatiche di Filippo II, un orditore di intrighi.

E del resto se anche la direzione non fosse così meschina, frutti molto buoni non si potrebbero mai avere, dato il miserabile corpo diplomatico che abbiamo.

Fino a qualche tempo fa il semenzaio della nostra diplomazia è stato l'Accademia ecclesiastica, il cui ultimo presidente è stato appunto l'attuale Segretario di Stato. Essa è una specie di Collegio dove giovani sacerdoti di nobiltà vera o quasi, frequentano scuole interne adatte a renderli un giorno abili diplomatici. Una istituzione, quindi, come vedi sbagliata nel suo scopo stesso perchè l'abilità diplomatica è cosa che non si crea con l'educazione fittizia: ma dipende da tante circostanze – prima di lutto l'ingegno – che certo non si acquistano a scuola. E che di spiccato ingegno abbiano dato prova i diplomatici ecclesiastici, non lo dirò a te che conosci gl'insuccessi loro nel tuo paese.

Con il Papa attuale tuttavia, vista la sterilità perenne dell'aristocratica istituzione e le tendenze pastorali del supremo Gerarca, i diplomatici si scelgono piuttosto tra i vescovi che abbiano esercitato il loro ministero in qualche diocesi e siano quindi pieni di spirito ecclesiastico, attinto alle sorgenti feconde dell'azione. Ma la sostituzione di metodo non ha dato migliori frutti. Questo personale diplomatico reclutato con criteri ascetici è lungi le mille miglia dall'avere quella rapidità ed agilità di concezioni, quel tatto nel trattare gli affari, quella dottilità alle varie circostanze, quella esteriore squisitezza di modi che sono qualità indispensabili del diplomatico e la cui mancanza fa ridere tutti i diplomatici esteri alle spalle dei nostri nunzi. Qualche neo-cardinale ne deve saper qualche cosa.

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Tutto questo ambiente che io chiamo superiore solo perchè collocato più in alto, guarda – per il solo fatto dalle sue propine maggiori e dei colori smaglianti delle sue vesti, – con occhio di supremo disprezzo il clero inferiore.

Io non esagero; dovresti semplicemente trovarti a un colloquio tra un graduato e un semplice milite della gerarchia. Le parole sono secche o gentili a seconda dell'umore o delle abitudini del prelato, ma il desiderio, anzi la volontà di essere ubbidito è ferma e incrollabile e non ammette eccezioni. Che se l'inferiore osasse obbiettare o sottrarsi, allora s'invoca lo spirito di umiltà, lo spirito di ubbidienza, il dovere del rispetto ai superiori che rappresentano il voleredi Dio e tante altre idee simili che imprigionano la libertà dello spirito in catene volontariamente indistruttibili.

E in basso per converso tu troverai un servilismo umile, quasi abbietto, un desiderio di piacere in tutto e per tutto al superiore anche a scapito della propria dignità, anche a prezzo della più vile ipocrisia. Il clero inferiore ha così deformato il concetto di libertà dello spirito che non ammette la possibilità di pensare con la propria testa o sentire con il proprio cuore: tutto deve essere regolato e prescritto dai superiori, tutto si deve fare a loro piacere.

In tal guisa il senso della personalità si perde, quell'amore sano e santo che l'uomo deve portare al proprio io morale, a fine di aver tra i suoi simili quella parte che gli spetta, sparisce e il prete, il ministro di Dio, l’alter Christus, come lo chiamava Tertulliano, curva ignobilmente la schiena innanzi ai nuovi farisei e non sente nè pure più fischiare sul suo dorso lo staffile del Redentore....

20 gennaio 1907

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