Le riforme sociali di Leone XIII – La Rerum novarum – Le origini, lo sviluppo e le trasformazioni della democrazia cristiana – La Graves de communi – Socialismo cristiano e nuove speranze religiose.

Carissime,

Oggi io ti parlerò dell'iniziative sociali di Leone XIII. Papa Pecci, malato così evidentemente di megalomania, sognò un pontificato che entrasse arbitro nell'aspro conflitto sociale, che sconvolge la società contemporanea. Ideò un programma vasto di azione e di dottrina democratica, verso il quale convergessero gli occhi desiderosi delle turbe anonime, che stentano quotidianamente il loro pane, e attendono fiduciosi, giorni migliori. Fu un'idea geniale, è innegabile. T'immagini tu, amico mio, il cristianesimo tornato ad essere quel che fu sulle labbra di Gesù e nella predicazione primitiva: annunzio di una palingenesi sociale, riscatto degli umili, liberazione di tutti gli oppressi? Ma ahimè! Leone questa volta incontrò le contrarietà di tutti gli interessi di casta, che come i tentacoli di un immenso mostro, si sono avviticchiati alla Chiesa, e alla sua predicazione di rassegnazione e di perdono han chiesto la tutela più efficace delle loro volontà dominatrici. Leone dovette ripiegare frettolosamente il suo programma, smentire la propria parola, se non volle vedere la Chiesa abbandonata da coloro che alimentano il suo fasto, e reggono con elargizioni non disinteressate le sue apparenze di maestà. L'episodio è il più espressivo argomento del fallimento completo che attende, fra le idealità moderne, ogni tentativo di progresso, fatto soltanto dall'autorità cattolica.

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Nel 1891 Leone XIII emanò l'enciclica Rerum novarum. Tu la conosci senza dubbio, e ricordi i commenti in vario senso di cui fu fatta oggetto da tutta la stampa mondiale. Il pontefice vi accennava brevemente alle condizioni economiche che han provocato la lotta a cui assistiamo; vi condannava aspramente la soluzione socialista; appellando alle idealità religiose d'oltre tomba, cercava di inculcare sentimenti di solidarietà e di fratellanza, fra operai e padroni; infine sanzionava e approvava gli sforzi dei salariati per elevare la loro condizione e indicava ai padroni alcuni precetti morali, in base ai quali essi hanno obbligo di provvedere alla condizione dei loro dipendenti con qualcosa di più che col salario della fame e la durezza del contratto di lavoro, fatto con una maestria da aguzzini. L'enciclica non era un grande proclama di liberazione degli umili; non era certo qualcosa di simile al manifesto dei comunisti: ma conteneva molto di buono: approvava fra l'altro le funzioni dello Stato in materia economica, e dichiarava espressamente che la mercede operaia non può esser pattuita prescindendo completamente dalle condizioni dell'operaio e dai bisogni della sua famiglia. Da una autorità costituita, da un organismo politico che ha accumulato in una tradizione secolare tanti interessi da conservare e da difendere, conveniamone, amico, non si poteva sperare di più.

Per tutto il mondo, nelle anime di quei cattolici che, fedeli alla Chiesa nel dominio dello spirito, amano tuttavia la libertà dei movimenti nel campo sociale; in quegli spiriti liberi per i quali il cristianesimo è ascensione di anime e di corpi verso il regno della giustizia, anche su questa terra, l'enciclica provocò un palpito ampio e sincero di entusiasmo. In Italia cominciò a disegnarsi quel movimento democratico cristiano che raccolse rapidamente in un fascio solo di energie operanti le migliori intelligenze e le migliori attività del clero e del giovane laicato cattolico. La democrazia cristiana italiana volle porsi tra il socialismo anticattolico, e le classi conservatrici: volle spiegare a favore del proletariato una funzione di tutela e di protezione, senza però organizzare le forze per la resistenza e per la pratica della lotta di classe. In un decennio, fra il 1890 e il 1900, la democrazia cristiana gettò le sue radici profonde e vaste nei grandi centri italiani. L'elemento operaio, è vero, non figurava molto numeroso nelle sue leghe di mestiere: ma in compenso la piccola borghesia, quel ceto medio di negozianti e di piccoli proprietari, che sentono le nuove idealità del lavoro e amano le tradizioni religiose, accorrevano ai suoi circoli di coltura e diffondevano la sua stampa sociale.

Il progresso della democrazia cristiana non poteva fare a meno di urtare tutte le suscettibilità dell'episcopato italiano: un episcopato in genere ignorante e fannullone, pieno di superbia e di neghittosità, legato a fil doppio con le classi ricche delle diocesi rispettive, spesso da esse mantenuto; un episcopato che vive lungi da ogni contatto con l'anima popolare, sordo ad ogni senso di simpatia verso gli ideali di questa nostra società, così volenterosa, così attiva, così piena di desideri e di speranze. E la reazione, da prima lenta, impercettibile, poi fatta audace e pubblica, cominciò. Nei seminari furono proibiti i periodici che rispecchiavano meglio e difendevano il programma democratico-cristiano. I giovani preti, rei di simpatizzare col movimento operaio, furono perseguitati, espulsi dai seminari, fatti segno al rancore dell'autorità. Tutto ciò provocò dell'impazienza e dell'indisciplina nelle file del clero: il laicato stesso affermò recisamente di volere, forte della parola pontificia, agire liberamente in fatto di organizzazione operaia. Ma la parola pontificia si mostrò labile e malsicura.

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Il malcontento della gerarchia e, attraverso ad essa, delle classi padronali, giunse fino al trono di Pietro. E Leone XIII stesso, il 18 gennaio 1901, disfaceva, con l'enciclica Graves de communi, tutta l'opera suscitata dalla Rerum novarum. Erano abili rimproveri all'audacia dei giovani, melati complimenti all'autorità episcopale; ipocriti sotterfugi per mascherare il ritiro completo delle nobili idee lanciate nel 1891: in realtà la Chiesa sottraeva al conflitto economico, in cui si trova posto il problema del salariato, la forza della sua parola, protettrice degli umili.

Emerson, tu lo sai amico mio, ha enunciato una grande verità, quando ha detto: beati i popoli che non hanno storia! Le tradizioni del passato, in verità, pesano sull'organismo di una nazione o di una istituzione, e ne inceppano i movimenti con una ferrea legge. Ecco, per esempio, la Chiesa cattolica, erede senza dubbio, – e continuatrice storica, – del vangelo di Gesù, della parola cioè più liberatrice che abbia suonato mai nell'universo, che rinnega praticamente le sue origini prime, per difendere il patrimonio di pensiero e di disciplina che le hanno trasmesso, non i primi padri della fede, ma il medio evo piangente e desolato, cupo di ascetismo pur nelle sue opere illustri di arte e di scienza. Io ti confesso che una profonda tristezza mi avvince, quando, da questo luogo in cui ti scrivo, guardando dalla finestra aperta sul Tevere il profilo maestoso del Vaticano penso al tragico destino che vieta al pontefice, a «quel di sè stesso antico prigioniero», di muoversi liberamente, di ritrovare nel fondo della sua anima uno scatto fiero di vero pastore di popoli, per benedire con sincerità e lealtà al mondo moderno, alla società che si rinnova, alla grande alba che tinge d'oro in questo momento così pieno d'avvenire, l'orizzonte delle nostre più belle speranze. Il papato medioevale che ha imposto ai popoli la terribile servitù del suo pensiero dogmatico, che ha stretto in ceppi il popolo cattolico con la sua teodicea addormentatrice – che ha essiccato la fonte del progresso umano, benedicendo le ineguaglianze della terra con il miraggio futuro del paradiso celeste – la Chiesa cattolica in una parola, oggi è un grande istituto di assicurazione per i beati della terra, per gli epuloni di ogni casta e di ogni paese, ed è destinata a morire sterile d'iniziative e di rinnovamenti.

Il buon Loisy, tu lo sai, aveva tentato di mostrare che lo spirito del Vangelo, spirito di fede e di speranza, vive ancora nel cattolicismo, ed è capace di fruttificarvi e di rinnovarvisi. La Chiesa ha cacciato da sè il grande apologista, che le riconosceva la validità del suo sviluppo avvenire. La Chiesa, che ha cambiato nei primi secoli, divenendo da libera fratellanza di anime nell'aspettazione del Messia glorioso, una società gerarchica in cui l'ortodossia teneva il posto dell'operosità personale, non vuol più mutarsi ora, per abbandonare il bagaglio della teocrazia medioevale, e tornare ad essere come nel primo secolo, una libera fratellanza di anime, in attesa del migliore avvenire.

L'Enciclica Graves de communi spense ogni entusiasmo e infranse, di un colpo, il giovane movimento democratico. I seguenti atti di repressione, lo scioglimento dell'opera dei Congressi, la riorganizzazione delle società cattoliche italiane, i fulmini lanciati contro la lega democratica autonoma, atti compiuti con inesorabile logica da Pio X, non hanno fatto che uccidere un morto.

Io non sono così sciocco da credere che questo sfacelo di una corrente sana di progresso sociale in seno al cattolicismo sia dovuto esclusivamente alla voce autorevole del pontefice. Credo piuttosto che la democrazia cristiana avesse in sè qualcosa di instabile, di incompleto, di opportunistico, che le vietava di raccogliere ampia solidarietà nei ceti operai, che la rendeva fiacca e in fondo contraddittoria nel suo sogno di alleanza di classi, l'esponeva a tutti i pericoli e la riduceva all'impotenza, qualora l'autorità ecclesiastica avesse voluto esercitare su di essa una pressione qualsiasi. Ti par possibile, amico mio, che il papato, abituato ad approfittare di ogni successo, avrebbe osato rigettare da sè la democrazia cristiana, se questa fosse riuscita a raccogliersi intorno folte schiere di popolo e simpatie intense di diseredati? A questo però gli organizzatori come il Murri non erano riusciti: e il papato ebbe ragione di loro facilmente.

Sicchè val la pena di osservare le ragioni interne dell'insuccesso. E io ti dirò subito che la democrazia cristiana è fallita in Italia, perchè non ha avuto le audacie di movimento e di pensiero che sono indispensabili ad ogni partito giovane. In tutti i momenti della storia, coloro che vogliono imprimere un'orma, un indirizzo, un sentiero, fra la lotta complicata degli interessi, bisogna che abbiano una fiducia incrollabile in una meta da raggiungere, e che questa meta, non importa se paradossale, se irraggiungibile, se superiore ad ogni ragionevole aspettativa, sia da loro nettamente e luminosamente indicata. La speranza, non importa se illusoria, è la grande leva che muove le società ad operare. Il socialismo, per esempio, in tanto è riuscito a conquistare le masse, a organizzarle così potentemente attraverso a tutti i paesi che hanno industrie fiorenti e campagne popolose, in quanto ha infiammato i loro desideri col miraggio di una grande e sicura felicità sulla terra. È così. La democrazia cristiana, nata invece timidamente da una calcolata parola pontificia, non ha avuto programma massimo, e perciò non ha avuto presa sulla psicologia incolta, ma facile all'entusiasmo e al sacrificio, della folla.

Si è baloccata in una ingenua arcadia sociale, falsamente credendo di poter risolvere il problema sociale, auspicando l'armonia delle classi e l'elevazione del proletariato secondo il beneplacito padronale. E non ha voluto persuadersi che tutta la storia è intessuta di lotte e di conflitti: che il progresso economico e l'elevazione degli umili non si guadagnano se non a prezzo di una guerra tenace, fra gli egoismi antagonistici. In questo modo ha reso sterile ogni propaganda, ed ha fallito alla sua missione, anche prima di essere colpita a morte dal Vaticano.

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In questi ultimi tempi il movimento democratico fuori della grazia... del pontefice, formatosi autonomo fra quei laici che amano la democrazia non meno della loro religiosità, ha acquistato la coscienza delle sue imperfezioni iniziali, e ha cercato di ripararvi. Ha capito, per esempio, che la sua posizione logica è a fianco del partito socialista: e Murri ha scritto due anni fa una lettera memorabile, a Filippo Turati, offrendo la sua cooperazione e quella dei suoi amici al socialismo riformista. Il Turati ha risposto con una lettera sdegnosa, affermando recisamente i postulati anti-cristiani del movimento operaio. E la risposta non poteva essere diversa. Non si combatte per anni contro la lotta di classe e il socialismo, per guadagnare poi d'un tratto, con un gesto che può sembrare un trucco, la fiducia di chi guida quella lotta e rappresenta nel paese il partito socialista. Ma io credo che col tempo gli equivoci possano essere chiariti, e la fusione dei cristiani autentici, quelli che amano il Vangelo di Gesù per il suo contenuto rivoluzionario, con i socialisti leali, quelli che ora combattono il Cristianesimo credendo che esso sia una cosa sola con il clericalismo, possa felicemente attuarsi. I sintomi di questo fatto, che sarebbe in realtà molto consolante, non mancano: molti socialisti oggi studiano con interesse i problemi religiosi, e confessano che il socialismo, lungi dall'essere areligioso è esso stesso un'incarnazione della religiosità. D'altra parte molti preti giovani proclamano, non tanto forte da farsi punire dal Vaticano, ma sufficientemente da capirsi fra loro, la loro schietta simpatia per il partito socialista. Io conosco dei giovani ecclesiastici, per esempio, che seguono con passione il movimento operaio italiano, e sono anzi fautori di quello speciale atteggiamento del socialismo, divenuto oggi di moda, e che ne rappresenta l'ala estrema: il sindacalismo.

Tutto ciò, tu amico lo capisci molto bene, può avere ed avrà le più singolari conseguenze.

Ricordi, amico, le nostre discussioni sull'essenza del sentimento religioso, fatte durante quelle deliziose passeggiate dell'agosto scorso, nella solitudine di S. Blasien, in quel lembo della Foresta Nera così pieno di suggestioni, che tu hai il merito di avermi fatto conoscere? Noi ci trovammo d'accordo su questa idea: che il sentimento religioso è una facoltà speciale dello spirito, per la quale noi, esaltandoci nelle nostre speranze, concepiamo un ideale di esistenza superiore alla nostra, e rivolgiamo verso di esso la nostra operosità e le nostre brame interiori. Noi giungemmo alla conseguenza che il pensiero dogmatico è una labile superstruttura, in confronto della religiosità iniziale, la quale nell'armonia delle funzioni dello spirito, è semplicemente una speranza intensa e operosa nel miglioramento di noi e della collettività. Che, secondo le vane specificazioni di questa speranza, la religiosità sarà individualistica, come quella dei mistici, o socialista, come quella dei cristiani primitivi. Io ricorderò, amico, per tutta la vita, quelle nostre passeggiate, perchè le idee che, attraverso di quelle, venne elaborando il nostro spirito, sono ormai traccie luminose di tutto il mio pensiero.

Ora, tu intendi benissimo, amico, che noi non abbiamo nella nostra anima due religiosità, come non abbiamo due cervelli o due attività muscolari; sicchè, se la nostra fiducia nell'avvenire migliore, che per noi è l'unico elemento costitutivo della religiosità autentica, è rivolta verso le idealità sognate dall'umanitarismo, non rimane in noi un'altra fiducia religiosa in quell'avvenire spirituale che il dogmatismo cattolico addita nel paradiso. Quindi, se il giovane clero comincia a palpitare per le idealità della democrazia, a interessarsi con profonda simpatia alle lotte del lavoro, al miglioramento reale del proletariato, a sognare quel grande rivolgimento economico che sta seguendo la progressiva socializzazione della produzione e della distribuzione della ricchezza, io credo che sia altrettanta fiducia e altrettanto entusiasmo sottratti alle sterili speranze del cattolicismo ascetico e dell'abnegazione monastica verso le pallide idealità d'oltre tomba.

E allora? Difficile è il prevedere la soluzione della grave crisi di anime, che travaglia in questo momento il cattolicismo. La democrazia cristiana è morta e sepolta. Io credo che in questo momento nelle anime di tanti preti giovani italiani, diffusi per le città e i borghi di questa vecchia terra “da le molte vite”, stia germogliando qualcosa di molto più vitale, di più sincero, e di più coerente: il socialismo cristiano, o meglio, il cristianesimo socialista. Una concezione cioè insieme sociale e religiosa che afferma risolutamente la identità del sentimento religioso e della speranza rinnovatrice sociale; una dottrina che fustigando tutti i cancrenosi fariseismi del cattolicismo, e tutti i falsi pudori dell'ascetismo etico, grida e acclama alla bellezza del mondo, della vita, di tutti gli esseri umani: proclama la santità del progresso; benedice al futuro dell'umanità.

La vecchia autorità vaticana lancierà, come una volta il sinedrio contro il rabbi di Nazaret, l'anatema contro le nuove speranze dei suoi figli traviati! Ma il suo anatema ricadrà sulla sua vecchiaia sterile. Nelle speranze sociali, noi vediamo con convinzione rinascere il migliore spirito di quel Vangelo, che divenne religione umana offrendo la bellezza della sua speranza agli occhi bramosi di tutti gli oppressi. Forse noi vedremo una nuova Chiesa (nel significato di questa bellissima e tanto bistrattata parola) sorgere presso l'antica.

Io non so se l'entusiasmo mi dà delle illusioni: ma a me pare già di vedere il sacerdozio assunto ad un'altra missione che non sia quella umiliante a cui è ridotto oggi, per esempio, con il freddo ministero della sua stereotipata parola. Io sogno un sacerdozio che adempia fra gli uomini la missione del magistero e del conforto; io sogno dei riti che simboleggino agli occhi di una società, sana e virile nelle sue speranze, le bellezze della vita e la luce del progresso instancabile. Laboremus...

17 febbraio, 1907

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