La politica repubblicana in Francia e sue finalità anti-italiane – Le alleanze clerico-moderate – La reazione politico-religiosa.

Carissime,

Ma io devo anche parlarti di alcuni altri atti politico-sociali di Leone XIII, i quali, pur non riguardando direttamente l'Italia, hanno in questa provocato una potente ripercussione e lasciato durevoli tracce. Leone XIII, fedelmente coadiuvato da quell'abile politico che è, o meglio, che fu il cardinale Rampolla, ha avuto una grande idea fissa: continuare l'intransigenza di Pio IX verso lo Stato italiano, e prepararsi con una tenacia degna di miglior causa la révanche, sullo Stato invasore. A volte a volte egli ha accarezzato il sogno conciliatorista: il P. Tosti, mons. Carini ed altri son più volte partiti, dietro suo tacito consenso, alla conquista di un'intesa cordiale con il Governo italiano. Ma le loro trattative sono state sempre bruscamente interrotte, prima che approdassero a qualsiasi risultato. Questo atteggiamento di inconciliabilità con l'Italia una, ha suggerito e ispirato talora forse inconsapevolmente, tutte le mosse della diplomazia pontificia sotto Leone XIII. La sua benevolenza verso la repubblica francese; la sua remissività dinanzi al biondo sire germanico; i suoi complimenti alla grande potenza d'oltre Manica; tutti questi accorgimenti e questi ripieghi, così in contrasto con quella che dovrebbe essere la potenza continuativa della teocrazia medioevale, hanno avuto un unico scopo: raccattare all'estero un pizzico di simpatia e di solidarietà, contro il giovane Stato italiano, che frattanto lottava con le energie di un adolescente verso la conquista di un grande benessere economico e di una non disprezzabile influenza nella politica mondiale. Tu sai, amico mio, lo stupore che provocò l'enciclica ai francesi del 16 febbraio 1892, in cui Leone XIII dichiarava formalmente che i cattolici dovevano abbandonare ogni sogno di restaurazione monarchica, e, accettando lealmente la forma repubblicana che la volontà del popolo aveva dato al loro paese, cooperare in essa e per essa alla prosperità ed al progresso nazionale. L'atto audace di Leone XIII non piacque a quegli elementi aristocratici e legittimisti che costituiscono il nerbo del cattolicismo francese. Si giunse al ridicolo di pregare per il Santo Padre, sulla cui santità le buone dame cominciavano ad avere dei seri dubbi. Ti pare scandalo poco grave un pontefice che riconosce per legittima una forma di governo germogliata dagli orrori della rivoluzione e che spezza, col furore di un iconoclasta, i diritti del sangue che sono, agli occhi di chi li possiede, i diritti stessi di Dio? Leone XIII non fu seguito che a metà nelle sue astute istruzioni. Gli elementi popolari del cattolicismo francese accolsero con gioia il monito papale, e affermarono lealmente la loro fede repubblicana. Gli altri, tutti i blasonati e le loro clientele, specialmente monastiche, si consacrarono a un'opera lenta e occulta di dissolvimento di tutti gli organi della vita pubblica francese. Tu sai molto bene l'esito di questo duello che si è combattuto aspramente nell'ombra fra la repubblica e le forze congiurate della reazione. La Francia ha cacciato dai suoi confini i sobillatori del pulpito e gl'insidiatori della scuola, e ha finito per scindere quel patto napoleonico che le pesava ormai come un giogo. Se le istruzioni di Leone XIII fossero state seguite, forse il divorzio fra la terza repubblica e la Chiesa non sarebbe accaduto. Ma non è di queste possibilità astratte che io devo parlarti. Io devo limitarmi a svelarti i fini reconditi della politica repubblicana, diciamo così, di Leone XIII. Ebbene: quei fini erano una congiura odiosa contro l'Italia. Mentre l'Italia era condotta da una politica estera cieca e dissennata a concepire sempre un più vivo astio verso la Francia; mentre quella alleanza latina che è per noi la vera alleanza naturale era allontanata dall'orizzonte della politica nostra; Leone XIII concepì il disegno di stendere la mano amica al Governo francese, per farne un fulcro alle sue velleità di rivincita sugli invasori del suo minuscolo patrimonio. Quel vecchio pontefice venuto dalla Ciociaria, e il suo segretario di Stato, hanno conservato sempre un odio cordiale contro l'unità italiana: con la rapacità dei vecchi dominatori medioevali, con le anime fredde di calcolatori, essi avrebbero voluto ricacciare l'Italia negli obbrobri del suo passato, pur di riguadagnare quel simulacro di potere e quell'effimero territorio che la breccia del 1870 ha distrutto, fortunatamente, per sempre. Ebbene, amico: se sapessi quanto danno ha arrecato alla prosperità del nostro paese, la politica anti-italiana di Leone XIII! Tu quasi non mi crederai, se io ti dico che parecchie generazioni di preti, e con esse tutte le popolazioni più direttamente e supinamente soggette alla loro efficacia morale, son cresciute e han vissuto senza alcun amore di patria, senza nessun attaccamento allo Stato italiano, senza nessun interessamento al suo benessere economico e politico. L'Italia una è stata presentata per molti anni come il risultato delle congiure, delle invasioni, come il frutto di una enorme truffa. Tutto il clero ligio al Vaticano che ha vissuto in Italia come in terra straniera, ha tenacemente additato nei governi nazionali, i rappresentanti di un potere diabolico, che ha fatto man bassa sull'eredità della Chiesa. Tu puoi credermi, perchè ti parlo con la prova di una esperienza personale. Tutta l'epopea del risorgimento italico; quella lunga schiera di eroi che ha versato il suo sangue e logorato le sue migliori energie per dare a questa nostra patria la condizione elementare del progresso, l'unità cioè etnica e politica, è stata mostrata per lunghi anni come un'accolta di facinorosi, rei di lesa divinità perchè han sognato un vessillo nazionale inalberato sul Campidoglio.

Quando io penso a tutto ciò, quando ricordo la lunga seminagione di odio e di rancori, fatta dai sedicenti ministri del Cristo, contro il regime della propria patria, quando io penso agli ardori consumati dalla loro nera propaganda, agli entusiasmi spenti dalla loro tirannica compressione, io penso che l'Italia non ne vendicherà la minima parte, quando, seguendo gli alti ammaestramenti che le vengono dalla consorella latina, si avvierà verso quella politica francamente anticlericale, che è, sembra, ad un certo punto di sviluppo nelle nazioni moderne, una conditio sine qua non di progresso.

*
* *

Perchè, vedi, anche presentemente, dopo che Pio X, favoreggiatore di alleanze clerico-moderate, ha attenuato la fierezza di atteggiamento del suo predecessore di fronte all'Italia e al Governo italiano, ed esperto ormai di patteggiamenti indecorosi e di viltà inesplicabili, offre generosamente l'appoggio di tutti i suoi sagrestani privi di idealità e di programmi, il clero fedele al Vaticano non porta nella lotta politica volontà gagliarde di miglioramento e aspirazioni audaci verso un più ampio benessere della patria.

Il Vaticano ha concesso il sussidio delle folle ignoranti, educate all'ombra tetra della sagrestia, ai principii più reazionari di politica e di economia. E mentre questa grande e amata Italia, in un palpito grandioso di giovinezza, sembra aspirare l'aura luminosa di una nuova civiltà, il Vaticano complotta per gettare sulla penisola che freme d'impazienza e d'operosità, le catene della sua influenza reazionaria. Il paese ha bisogno di una politica riformatrice, radicale, libera, che non abbia idee grette e propositi meschini sui gravi problemi del paese: il problema dell'educazione, della politica sociale, della politica estera. Tutti gli elementi conservatori han disciplinato le loro forze, per opporre un margine al rivolgimento ideale che scaturisce dal rinnovamento dell'economia nazionale. Il papa ha dato a questi elementi il pegno della sue amicizia, e il figlio di contadini veneti, salito al trono di Pietro, acquistata la più alta dignità della terra, non sa far altro che comprometterne il prestigio e la libertà, facendone un'alleata di interessi caduchi e di destini storici che volgono rapidamente al tramonto.

Ma questa mostruosa solidarietà della Chiesa, l'erede cioè storica della predicazione libera di Gesù, colei che ha nelle sue fibre più pure il fermento di vita gettato dal Nazareno, con gl'interessi di casta più refrattari al progresso, diviene qualche cosa di estremamente odioso se tu rifletti, amico mio, alle condizioni strane in cui si trova la Chiesa in Italia. Il Vaticano compie in questo momento senza dubbio un'opera deleteria di ostacolo allo svolgimento delle energie sane della nazione. Ma, in fondo, se esso pagasse alla collettività in misura ragionevole i vantaggi che esso ne ritrae, avrebbe diritto di difendere la causa che più gli sembra vincolata al destino della religiosità cattolica. Ma, per una strana serie di fatti, il Vaticano che si permette di tendere insidie all'avanzamento democratico dell'Italia gode nel paese una posizione di privilegio e si sottrae a tanti di quei doveri che incombono sui cittadini. Tu sai che esiste una legge delle guarentigie, fatta per assicurare il libero funzionamento dell'autorità papale, quando questa non fu più appoggiata al dominio temporale. I pontefici non hanno mai accettata formalmente quella legge; ma di fatto approfittano quando possono delle clausole a loro favorevoli, che essa contiene. Proprio in questi giorni, per esempio, tutto il clericalismo è commosso da santo sdegno e moltiplica in tutte le borgate delle varie vandee italiche ordini del giorno invocando la tutela delle guarentigie contro gli attacchi, qualche volta veramente eccessivi, diretti alla persona del pontefice. Se essi avessero visto le caricature anti-papali dei vostri giornaletti umoristici francesi, ti so dire che sarebbero meno facili a invocare perfino la solidarietà estera nel loro gracidio informe, in difesa di Pio X.

Ma non basta. Il clero italiano non è ugualmente ad ogni altra classe di cittadini sottoposto al fisco. Ci sono una quantità di rendite ecclesiastiche che sfuggono completamente alle imposte dello Stato. Tu capisci tutta la gravità di questo fatto, pensando allo aggravio che da esso viene alle finanze pubbliche, già oberate qui in Italia da spese e gravami di tanto molteplice natura. La Chiesa non soltanto intralcia con la concorrenza delle sue congregazioni il libero commercio e la libera industria, non solo sottrae alla circolazione un capitale notevolissimo, con la sua manomorta: ma, pur godendo dei benefici della vita pubblica, trascura il primo, elementare dovere dei cittadini: la cooperazione agli oneri dello Stato, col contributo delle imposte.

E noi assistiamo oggi a questo desolante spettacolo: un'istituzione che non soddisfa ai doveri di qualsiasi altra di fronte allo Stato in cui vive, accampa non solo dei diritti, ma dei privilegi. Disgraziatamente oggi il Governo italiano, retto da un'accolta di individui eterogenei, senza ideali e senza volontà, si rende complice della riprovevole pretesa, e china, in atto di assenso indecoroso, il capo alla volontà del Vaticano. Ma io non voglio parlarti dell'Italia laica.

In mezzo a tanta confusione di atteggiamenti e di programmi, solo il gruppo dei neo-cattolici ha una visione netta dello Stato di fronte alla Chiesa e dei doveri di questa di fronte alla nazione.

Innanzi tutto essi sono profondamente patrioti. Assistono con l'anima ricolma di compiacenza al ridestarsi benefico di tutte le energie, lungamente assopite, della nazione; essi contemplano, pieni di fiducia, i lieti auspici che accompagnano il suo risorgimento economico; in loro c'è, per la patria latina, quel caldo ed entusiastico amore che avvivava le migliori poesie dell'ultimo grande poeta: Carducci. Ma il loro amor patrio, non è dilettantismo platonico. Essi accompagnano tutte le iniziative in cui si moltiplica l'attività nazionale: cercano di intensificarne lo sviluppo, di diffonderne la conoscenza e la stima. Biasimano con frasi rodenti le alleanze clerico-moderate, che gettano la Chiesa cristiana, antico palladio di libertà e di elevazione, in braccio alle classi reazionarie. Vogliono infine che la Chiesa si sottragga alla politica affarista, per diventare quel che deve essere, semplice custode degli interessi elevati dello spirito.

La loro insofferenza dei metodi prevalsi ora in Vaticano, è giunta allo stadio acuto, e io non mi meraviglierei di assistere un giorno o l'altro a una protesta collettiva, virile e serena, protesta che tu intendi benissimo, potrebbe essere origine di gravi avvenimenti.

Vedremo.

24 febbraio, 1907

***

Share on Twitter Share on Facebook