Atteggiamento di Leone XIII nel campo scientifico – La reazione instaurata col pontificato di Pio X – La figura intellettuale dell'attuale pontefice – Le sue principali misure di persecuzione – La condanna di A. Loisy – Una visita ad A. Loisy – Il gesuitismo nella Chiesa.

Carissime,

Io mi avvicino, con queste mie lettere, all'esposizione diretta del conflitto di tendenze, acuitosi in questi ultimi tempi in seno alla Chiesa cattolica. Col pontificato di Pio X le correnti riformatrici, che erano state più o meno abilmente tenute a bada da Leone XIII, son diventate più forti, e, nella persecuzione violenta da cui sono state colpite, più audaci, più esplicite.

Le direzioni di Leone XIII non mancavano di qualche incoerenza. Incoerenza necessaria, e che rivela l'altezza d'ingegno del pontefice da cui emanavano. Mente acuta, spirito sottile e penetrante, Leone XIII ha intuito vagamente che un grande rivolgimento di pensiero, il contatto della scienza avrebbe operato nelle discipline religiose. E, abile nelle dichiarazioni come pronto alle parziali e non troppo brusche sconfessioni, ha cercato di non compromettere mai sul serio la dignità pontificia in dibattiti di cui era difficile misurare a prima vista la gravità e l'ampiezza. Fisso nei due caposaldi della sua politica e del suo pensiero: il tomismo e il vagheggiamento verso il ritorno al dominio temporale, nel resto ha evitato le posizioni troppo nette e le condanne affrettate.

Nel 1893 egli emanava l'enciclica Providentissi mus Deus, suggerendo le norme che dovevano regolare lo studio della Bibbia fra i cattolici.

Non vi mancavano, è vero, delle limitazioni dure e arbitrarie: ma vi era pure qualche accenno di libertà e di larghezza, come il riconoscimento dei diritti della critica puramente storica ed esegetica sui libri sacri: riconoscimento, che, espresso in termini lievemente ambigui, si presta oggi alle più contradittorie interpretazioni, ma non cessa di essere accampato come una tutela e una sanzione da studiosi sinceri e liberali, come il Lagrange.

Nel 1899 con la sua lettera Testem benevolentiae al card. Gibbons, Leone condannava quel vasto movimento di rinnovamento religioso e politico che, iniziato in America dai Paolisti del padre Ecker, si era in larga misura ripercosso in Francia. Ma fu pronto ad accogliere le difese dei vescovi più incriminati, e non diede alcuno strascico positivo alla riprovazione platonica. Nel 1902, con la letterà Vigilantiae creava quella commissione biblica che doveva nelle più gravi controversie bibliche portare una parola di scienza illuminata, e che ha finito miserabilmente per essere, sotto il suo successore, una fucina di decreti reazionari.

Leone XIII ha con ogni cura evitato di lasciarsi andare ad atti che il progresso avrebbe potuto dimostrare inopportuni, se non del tutto sbagliati. In questo modo, la critica e la discussione delle nuove idee hanno avuto agio di propagarsi, di giungere allo spirito di numerosissimi ecclesiastici, di svegliare la loro mentalità, educata nei principii della scienza medioevale.

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Con l'avvento di Pio X le cose han cambiato radicalmente. L'antico parroco di campagna, nella sua imperizia facile preda dei raggiri gesuitici, ha manifestato fin da principio la volontà risoluta di calpestare ogni diritto del pensiero contemporaneo, di opprimere ogni prete reo di volere il progresso della spiritualità nel cattolicismo, di frapporre ogni ostacolo al libero movimento delle anime verso la luce. Non ha parlato, è vero, di tomismo e di dominio temporale: ma, in compenso, in triste compenso, ha aperto l'era delle discordie atroci fra noi e ha lasciato che tutti i lanzichenecchi della pretesa ortodossia, come cani in una partita di caccia, si mettessero sulle orme del così detto modernismo e gettassero i latrati dei loro insulti volgari e dei loro colpi velenosi contro quanti cercano di compiere nella Chiesa opera di illuminazione e di rinnovamento. Dalla condanna del Loisy all'intervento deplorevole nella questione della Casa di Loreto, e al sillabo imminente, Pio X ha segnato il suo passaggio pontificale con traccie di retrogrado che nessuno cancellerà più mai. Un cambiamento così repentino e così radicale nell'attitudine del Vaticano di fronte ai problemi della cultura contemporanea, cambiamento dovuto al cambiamento di pontefice, fa subito intendere che deve attribuirsi principalmente alla persona del nuovo eletto: Pio X. Ma qual'è la figura intellettuale e morale di questo modesto patriarca della laguna, balzato, come in un brutto sogno estivo, sulla sede che occuparono un dì Gregorio VII e Innocenzo III?

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Tu sai forse, amico, il giudizio che ne ha dato testè un prete cattolico in un articolo della North American Review: «Il pontefice attuale è un uomo la cui semplicità e santità d'intenzioni non possono essere messe in dubbio. Egli non coltivava nessuna ambizione di occupare il posto che occupa: nulla lo raccomandava per tale ufficio, eccetto il fatto che si era tenuto sempre lontano da ogni partito e da ogni intrigo, e che godeva di una grande riputazione di virtù.... La sua elezione e i suoi primi atti furono salutati da un coro unanime di speranze. A queste però è seguita la più dolorosa delle disillusioni. Non è che Pio X sia meno pio, meno disinteressato oggi di quel che fosse tre anni o venticinque anni fa. Egli è sempre bene intenzionato, è sempre disposto a credere di governare secondo il metodo del Nuovo Testamento, nulla è cambiato nei suoi propositi o nella sua buona fede. Ma ecco quel che è accaduto: Pio X si trova nella necessità di risolvere, sopratutto, due generi di problemi, l’uno politico-ecclesiastico,l'altro intellettuale. Cercando di risolvere il primo, l'opera gigantesca delle tradizioni papali accumulate durante i secoli con i loro interessi terreni, la loro fierezza autocratica, la loro ostinazione irragionevole e le loro pretese teocratiche, si è imposta al suo spirito come qualche cosa di sanzionato dal cielo, come un inviolabile monumento di dogmi sul quale sarebbe sacrilego portare una mano irriverente. Cercando di risolvere il secondo, Pio X segue un unico criterio: conservare l'antico, a costo di sacrificare uomini, idee, cose, senza misericordia».

E conosci pure, forse, la risposta che all'anonimo prete ha voluto dare, nel medesimo periodico, mons. Ireland, sceso a difendere un pontefice dalla cui mentalità egli è lontanissimo. Sembra che il vescovo di S. Paolo nel Minnesota abbia voluto cancellare i ricordi del suo liberalismo, del resto molto languido, e abbia voluto riabilitarsi a Roma, da cui attende impazientemente il cappello cardinalizio.

In realtà, il giudizio del semplice sacerdote è per questa volta molto più giusto che quello dell'ambizioso arcivescovo. Anzi io ti dirò che quanti han potuto conoscere da vicino Pio X, e non hanno ragioni personali per estollerne la figura, sono molto più severi di quanto lo è stato lo scrittore della North American Review. Tutti ne hanno riportato l'impressione più sgradevole che tu possa immaginare.

Tutta la grettezza d'animo degli infimi strati sociali; tutto il sussiego fatuo, larvato da una posa di modestia e di rassegnazione, di chi è giunto dal nulla ai più alti fastigi dell'autorità; tutta la ignoranza della più vecchia generazione clericale, cresciuta e alimentata fra gli anatemi al movimento della modernità; tutto l'astio degli incolti contro gli uomini della scienza; tutto il disprezzo orgoglioso di chi non sa, per lo sviluppo e la ricchezza dell'intelligenza; dominano nell'animo di questo buon parroco di campagna, strappato da un singolare colpo di fortuna alle occupazioni piccine e alle conversazioni, inaffiate di buon vino e di facili barzellette, della solitaria canonica, e portato a reggere il governo della più grande organizzazione religiosa che stenda le sue propaggini nel mondo.

Il patrimonio intellettuale e disciplinare del cattolicismo, in mezzo al progresso della cultura storica e filosofica, ha urgente bisogno di essere sottoposto a una diligente e leale revisione; dalle profondità più inesplorate della nostra coscienza noi sentiamo salire la brama di conoscere la possibilità di una nuova armonia fra la religiosità e la scienza, il credo e le speranze sociali, il passato della tradizione con la modernità del sentimento umanitario; e la gerarchia episcopale, tutta servile al supremo pastore, è altrettanto incapace di offrire ai cercanti una pur tenue illuminazione del cammino, quanto è abile a stringere alleanze politiche effimere e conchiudere patti di dedizione indecorosa. Non basta: l'autorità ecclesiastica suprema, nella vastità della sua imperizia, non ha neppure l'elementare prudenza di lasciare a sé stessi gli studiosi, e di non intralciare ora le vie a quelle nuove correnti di pensiero che normalmente potrebbero trovare il loro spontaneo accomodamento. No: sorda a tutti gli ammonimenti della storia, non resa saggia dalle sue stesse cadute, essa condanna tutti i tentativi che sanno di nuovo, e abbatte ogni individuo che espone liberamente il suo pensiero.

Dicono che Pio X abbia un cuore d'oro, e che alle deficienze insanabili del suo intelletto, supplisca la tenerezza del sentimento. Io, che conosco i metodi suoi di governo fin da quando era patriarca di Venezia, ti posso dire che questa è una pietosa menzogna. Egli, è vero, è facile a donare a chi abbia bisogno ed è generoso nel sovvenire opere di carità. Ma anche l'uomo più egoista, può, a volte, elargire briciole cadute dal banchetto del suo benessere, senza per questo dar prova di una bontà iniziale di animo. Più che all'elargizioni della beneficenza, io guardo ai metodi di governo di Pio X e vedo che da essi non traspira alcuna gentilezza di sentimento.

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Egli ha inaugurato il suo pontificato con un atto odioso di durezza: la condanna, che Leone XIII non aveva mai osato decretare, di Alfredo Loisy: e lo ha continuato facendo ramingare preti volenterosi come il Murri; strappando dal pergamo le figure più simpatiche fra i predicatori italiani, come Ghignoni, Semeria, padre Teodosio da Sandetole, deponendo e punendo gl'individui sospetti. E tutto questo senza offrire, come compenso, la soddisfazione spirituale ai colpiti; senza preoccuparsi più il giorno dopo, delle minaccie o delle punizioni lanciate il giorno prima; con la mania malevola di distruggere, di annientare, di togliere, se fosse possibile, a questi preti, che hanno anime di apostoli e di profeti, i mezzi elementari della vita. Che cosa triste, amico! Il medio evo tirannico sopravvive nell'organismo della Chiesa, in tutta la sua crudeltà: il potere ecclesiastico si arroga ancora diritto di vita e di morte sui suoi sudditi, e io credo sinceramente che a coloro che oggi lo rappresentano, si sia affacciata più volte, e l'abbiano contemplata con desiderio, l'immagine di quei ferali strumenti che in altri tempi costituivano l'infallibile rimedio al dilagare del pensiero indipendente.

Dove sono dunque le manifestazioni di tenerezza dell'attuale pontefice?

Io contemplo il cammino da lui percorso in questi quasi quattro anni di pontificato:e lo vedo contrassegnato dalle vittime del suo furore di reazione: analizzo i suoi atti più noti, e li vedo ispirati dalla più gretta ripulsione per il prestigio della intelligenza e per la bontà intrinseca della scienza.

L'ex-patriarca di Venezia, salito al pontificato, lanciò il motto di un grandioso programma: In staurare omnia in Christo. Ma, poverissimo di idee, tardo nei propositi, fiacco e incoerente nell'azione, la sua magna instauratio si è ridotta a ordinare quella visita apostolica che ha gettato lo scompiglio nelle diocesi italiane, e quelle riforme amministrative delle Congregazioni romane, a beneficio del bilancio economico del Vaticano. Di fronte a queste meschinissime riforme positive, di dubbia efficacia pratica, sta l'enorme danno venuto alle coscienze dall'atteggiamento intellettuale negativo e distruttore di Pio X. Amico mio, se tu sapessi qual solco di disgusto, di malessere, di risentimento hanno scavato nell'animo del giovane clero e del giovane laicato cattolico le condanne di Pio X, tu ne saresti meravigliato, tanto più che all'esterno poco trapela del perturbamento profondo della coscienza collettiva.

La misura repressiva che maggiormente colpì la coscienza ecclesiastica dei giovani, fu la condanna del Loisy, e gli effetti che ne seguirono.

Io non so precisamente quanto credito abbiano le idee del dottissimo abate parigino in mezzo al clero francese, e quanta solidarietà d'affetti raccolga la sua persona. Ma ti posso dire che il clero italiano non ha dinanzi a sè una figura che più della sua cerchi di seguire, nell'ardimento consapevole delle idee e nella rettitudine operosa della vita. E sebbene io ti parli solo del cattolicismo italico, non posso a meno di intrattenerti un po’ sul Loisy, che gode fra noi tanta popolarità e ha offerto realmente un contenuto scientifico alle nostre migliori aspirazioni. Con ciò, del resto, non farò che adempiere un tuo vecchio desiderio, quello di avere notizie dirette sull'autore famoso dei «piccoli libri rossi».

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Io ti posso parlare con cognizione diretta, perchè, quando fui a Parigi tre mesi fa, feci di proposito una visita a Garnay, per conoscere il biblista francese, tanto odiato e tanto discusso dai reazionari. Mi ricordo di esser partito da Parigi con un amico, e di esser giunto a Dreux verso le undici. Là facemmo colazione, visitammo la graziosa cittadina, quindi prendemmo una vettura, affinchè ci conducesse a Garnay.

Il vetturale ci domandò presso chi doveva farci scendere. Io risposi: «Chez l'abbé Loisy». Il vetturale, molto abituato, a come sembra, a condurre visitatori alla medesima meta, rispose con aria d'intelligenza: «Oh, chez l'abbé», E si parti. Giungemmo dopo tre quarti d'ora al minuscolo paesetto, in cui il Thureau-Dangin possiede lo splendido castello, un piccolo e modestissimo lembo del quale ospita l'antico professore degli alti studi. Il vetturale ci fece attraversare l'unica via del sobborgo, e si fermò dinanzi a una piccola casa, circondata da un giardino che l'inverno, già freddo, rendeva squallido e brullo. Picchiammo: ci venne ad aprire un prete dalla barba copiosa e brizzolata, dalla testa calva, dagli occhi azzurri, con lievi infiltrazioni di sangue, col sorriso aperto e gioviale. Era lui. C'introdusse nel suo studio, e lì, amico, cominciammo una conversazione che si protrasse per quattr'ore. Io ebbi agio di raccogliere dalla viva voce di lui le spiegazioni che esigevano i punti più oscuri delle sue opere; di scrutare la sua personale interpretazione dello spirito evangelico; di analizzare, nel profondo della sua coscienza, le impressioni amare che l'ultimo atteggiamento del Vaticano vi hanno provocato.

Il Loisy mi sembrò uno di quei rarissimi uomini il cui prestigio intellettuale non scapita se osservato da vicino, la cui valentia, la cui profondità di pensiero è ugualmente visibile in un'opera voluminosa e in una frase di conversazione; infine l'uomo, che in quest'ora solenne di transizione, ha saputo nella sua anima concepire la più salda alleanza del passato con l'avvenire, la più bella armonia fra le esigenze della fede immutabile e gli ideali religiosi e politici, che premono d'ogni parte la nostra attività. Il Loisy è precocemente invecchiato: le tristi vicissitudini della sua vita, la fiacchezza della salute sopraffatta dall'ostinato lavoro, ne fanno il vero martire della scienza: simile ad una di quelle vecchie figure della storia cristiana, come Tertulliano, come Origene, che ramingarono nei dominii della spiritualità, sotto lo stimolo della mediocrità imperante da una parte e delle altissime concezioni che la loro coscienza aveva generato, col più doloroso e insieme il più dolce dei concepimenti. Il Loisy ci raccontò tutti gli episodi della sua vita di insegnante e di scrittore: l'espulsione dall'Istituto Cattolico, l'uscita volontaria dalla Scuola degli alti studi, le peripezie dei suoi volumi, le opere compiute che attendono, per vedere la luce, che un po' di luce si faccia negli ambulacri tenebrosi come un ipogeo, del Vaticano. Se avessi visto, amico mio, la triste e sottile ironia che lampeggiava nei suoi occhi, mentre parlava dell'autorità romana, mentre descriveva la lunga agonia, in cui si spengono le tradizioni teocratiche del pontificato! E alle nostre timide obbiezioni, sulla remissività con la quale egli, docente a Parigi, aveva piegato ai desideri del Vaticano, che lo voleva veder fuori dell’insegnamento, non pensando che i discepoli della verità sono per tutto, egli rispose allegando, come scusa, la fiacchezza della sua salute (sebbene egli sia appena cinquantenne) e le astiosità settarie del governo. Ed era veramente triste lo spettacolo di questo prete la cui vita raminga è stata chiusa in quel minuscolo paesetto, in un lembo di terra offerto da un Mecenate in seguito alla spietata persecuzione dell'autorità: autorità cieca e ignorante che colpisce l'uomo più illuminato che abbia oggi il clero cattolico. Il Loisy infatti e le idee che ti esporrò in seguito, idee per la massima parte comuni a lui, non è, come altre figure del movimento neo-cattolico, una coscienza ondeggiante fra due poli opposti di pensiero e atteggiamenti contraddittoridi psicologia. Egli, da una parte, segue con la più solidale simpatia il movimento ascensionale dei partiti democratici: egli e col suo governo, nella lotta per la verità e la giustizia. Dall'altra, egli vede lucidamente come il Vangelo, puro spirito di fratellanza e di fiducia, vive ancora, nelle nostre società, la cui religiosità purificata può benissimo riannodarsi a tutta la tradizione migliore del cattolicismo. Il Loisy è il vero profeta della cristianità futura.

E pure quest'uomo insigne ha una semplicità e modestia di vita straordinarie: vive solo, in una casa isolata, in compagnia di una vecchia perpetua, e di una piccola compagnia di polli, della migliore razza francese, ci diceva lui mentre ce li mostrava (in realtà a me parvero bruttissimi), a cui dà egli stesso l'alimento fra un capitolo e l'altro del suo commentario sinottico. Quando noi partimmo la sera era già calata sulla campagna di Garnay; mentre la vettura ci riconduceva a Dreux, noi sentivamo soffiare sulla pianura sepolta nelle tenebre, il vento freddo di novembre. Era un simbolo: il simbolo dell'aura mortificante che spira da Roma sulle iniziative del pensiero contemporaneo!

Io ricordavo (e mai l'analogia mi sembrò più reale) l'accoglienza che i farisei facevano alla predicazione di Gesù e dei suoi apostoli: la paragonavo all'attitudine che i nuovi farisei del Vaticano hanno assunto contro lo spirito nuovo: e la forte parola evangelica saliva spontanea al mio labbro: ah, farisei ipocriti, sepolcri imbiancati, uomini di superbia e di falso zelo!

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È in realtà lo zelo più falso e più feroce che ispira oggi il Vaticano. E tu capisci, amico mio, come non ci sia mostruosità che non possa essere commessa dalla coscienza che crede, operandola, di lavorare per la gloria di Dio. Ed è appunto questo l'atteggiamento del Vaticano: opprimere, col ferro e col fuoco, l'odierno modernismo, per salvare la tradizione e l'infallibilità. I padroni della situazione sono in questo momento i gesuiti. Tutte le misure repressive sono opera loro; tutta la guerra agl'intellettuali del clero e del laicato muove dalle loro conventicole. Tu sai bene cosa pensare del gesuitismo e della sua opera. Ma sono convinto che non ti sei mai formato un'idea approssimativa di quel che sia lo spirito gesuitico e il pervertimento psicologico che esso racchiude. Bisogna vivere qui in Roma per osservarlo in pratica, per misurarne le conseguenze deleterie, per constatarne la malefica efficacia.

La figura del gesuita, specialmente se ha pretesa di dottrina, è insieme qualcosa di grottesco e di tragico. Di grottesco, per la superbia che traspira da ogni poro della sua ben nutrita persona, per la pretenziosità con cui incede, dottore infallibile dei fedeli, e insieme per la vuotezza interiore del suo cervello, e l'ignoranza profonda in cui si trova dei problemi veri e delle esigenze spontanee dell'anima moderna. Di tragico, per la supina incoscienza in cui, mediante una lunga e torturante pedagogia, è stato gettato il suo spirito; per la insensibilità e l'impersonalità, a cui il concetto e la pratica dell'obbedienza meccanica, hanno assuefatto la sua torbida coscienza.

Il gesuitismo, questo proverbiale spirito di finzione e di raggiro, di odio e di vecchiume, mai come ora ha dominato nella Chiesa. E vi ha perturbato ogni relazione di fratellanza e di amore; vi ha distrutto, come un fuoco, ogni alito di concordia; vi ha soffocato ogni espressione di sincerità; vi ha atrofizzato ogni senso di variabilità e di adattamento alle nuove e progressive tendenze dello spirito. Esso domina nella gerarchia, nella stampa, nel confessionale: sopra tutto nella stampa, che ormai è votata a una guerra senza tregua al programma di rinnovamento religioso che noi fiduciosamente abbiamo abbracciato. La Civiltà Cattolica è diventata di una monotonia soffocante da quando si è data all'anti-modernismo. Essa è l'organo principale della reazione.

In verità sono stati molto astuti i padri del vecchio periodico romano. Sui primi tempi del pontificato di Pio X, essi sono stati un po' in forse sulla via da seguire: la Civiltà ha avuto qualche breve parentesi di lealtà scientifica, e il padre Prat, se non erro, vi ha scritto articoli molto pregevoli sulle moderne teorie dell'ispirazione. Dal loro osservatorio di via Ripetta, i gesuiti aspettavano prudentemente di osservare quale direzione avrebbero preso gli eventi. Il minimo accenno alla repressione è bastato, perchè quei reverendi, nella loro fenomenale ignoranza, intraprendessero una campagna senza quartiere contro il modernismo. Ogni fascicolo del periodico, la cui prosa è fiacca e rancida e sa di putredine, contiene un attacco feroce a questo o quel periodico ecclesiastico, a questo o quell'individuo, rei di modernità. E sono attacchi volgari; sfoghi permalosi; accuse generiche, epiteti ingiuriosi, che generano la più nauseante stanchezza. Quei reverendi padri che satollano la loro anima con il risentimento, non si accorgono di essere superlativamente ridicoli, quando nascondono la loro fatua ma superba ignoranza, la quale non si vergogna di trattare, con disinvoltura, oggi la questione biblica, domani quella del divorzio, posdomani quella delle guarentigie, sotto le volgarità dell'attacco anti-modernista.

Com'è desolante, amico, la vita ecclesiastica a Roma!

Una sola cosa conforta: ed è, o amico, che, in verità, un abuso di potere così barbaramente perpetrato dai lanzichenecchi dell'ortodossia, non può durare a lungo. Fata trahunt !

3 marzo, 1907

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