Le riforme dal basso – D. Romolo Murri: la sua personalità intellettuale e la sua personalità politica – D. Salvatore Minocchi: gli Studi Religiosi nei loro inizi e nella loro evoluzione – Il P. Giovanni Semeria e il P. Alessandro Ghignoni, barnabiti.

Carissime,

Nelle ultime lettere io ti ho narrato coscienziosamente i tentativi imperfetti e superficiali compiuti dal papato negli ultimi decenni, per ridare un po' di vita all'organismo affievolito della Chiesa cattolica; per riparare come sia alle ragioni interne di discordia; per aumentarne la forza di coesione e quindi la vitalità; per intensificarne l'azione sulla società contemporanea; infine per sventare il programma dei modernisti.

Tu hai potuto constatare qual miserabile cosa siano gli sforzi di rinnovamento che sa compiere un potere decrepito e una religiosità semispenta, attraverso i lambicchi della teologia astratta e della diplomazia politica. Lo storico futuro, evocando queste impotenti figure di ecclesiastici che trascinano in quest'ora fra un pettegolezzo e un affare, fra una scomunica e una ipocrisia, il destino della Chiesa, non potrà caratterizzarle meglio che paragonandole ai Cesari della decadenza bizantina, zimbello di eunuchi e di teologastri.

Oggi io ti parlerò brevemente del movimento di riforma che muove più vigile e più forte dal basso: di quelle simpatiche e attive figure di preti, che, come tanti profeti, lavorano in mezzo alla società cattolica, con la coscienza di preparare le vie a colui che nella sua grande anima di pensatore e di condottiero, saprà gridare: l’ignem veni mittere! della nuova palingenesi religiosa.

Io ti avverto però che parlando di loro, non mi lascerò fare velo dalla simpatia amichevole che essi m'ispirano; al contrario, accennerò alle titubanze e alle contraddizioni della loro opera, alle piccole viltà occasionali del loro pensiero, agli opportunismi della loro pratica. Ricordati però, che, come in tutti i movimenti di fermento psicologico, le idee e i propositi del giovane clero italiano sono molto più arditi e molto più radicali che i propositi pubblici dei suoi meneurs. Io, che ho larghe amicizie in seno al clero giovane, che sono molto a contatto con le sue aspirazioni, ti garantisco che le idee del protestantesimo liberale, così attaccate al teismo, così intimamente mistiche, sono molto più arretrate delle idee morali e religiose dei neocattolici. Siamo forse alla vigilia di una grande rivoluzione religiosa, e il popolo latino sta per avere la sua grande Riforma?

*
* *

E cominciamo con il parlare del prete italiano più in vista nel movimento innovatore: R. Murri.Don Romolo Murri è ancora un giovine prete: credo che non abbia quarant'anni. È nativo di Monsampietrangeli nel circondario di Fermo, ma ha studiato a Roma, nell'almo collegio capranicense, vale a dire alla scuola dei gesuiti della Gregoriana. Di media statura, dalla fronte ampia ed eretta, con la fisonomia dell'uomo energico, avido di dominio, dagli occhi neri, acuti, mobilissimi che scrutano attraverso le lenti le minime espressioni e i più intimi atteggiamenti psicologici dei suoi interlocutori, D. Romolo è senza dubbio un uomo molto simpatico. Intellettualmente, è un uomo di molto ingegno, rapido alla comprensione, sebbene tardo alla assimilazione delle opinioni studiate, lievemente ostinato nei suoi principii, insofferente di contraddizione, portato alle polemiche aspre e personali. Praticamente è un organizzatore di prima qualità: sebbene le repressioni vaticane abbiano costantemente rotto i suoi piani e distrutte le società da lui costituite, egli è tornato con tenacia esemplare al suo lavoro, sacrificando a questo il suo benessere, la sua tranquillità, tutte le sue energie e il suo tempo. Ma sopra tutto R. Murri ha il grande merito di avere destato la psicologia dormiente del giovane clero italiano. Le sue Battaglie d'oggi, raccolta di articoli pubblicati nella Cultura sociale, a proposito di educazione ecclesiastica e di vita cattolica, furono un benefico squillo lanciato sul deserto dell'anima ecclesiastica italiana. Una quantità di giovani impararono su quelle pagine a pensare col proprio cervello, a contemplare direttamente il mondo, la sua esistenza tumultuosa, le sante aspirazioni della società contemporanea, le bellezze dell'avvenire umano. Sfortunatamente alle energie scosse e ammaestrate da lui, alle avidità sprigionate dal suo apostolato di scienza e di organizzazione, R. Murri non ha saputo poi offrire un alimento sufficiente, una soddisfazione adeguata. Egli è, nelle fibre più nascoste della sua anima, imbevuto di scolasticismo; dà una soluzione dogmatica ai problemi della conoscenza; mantiene fedeltà alle proposizioni metafisiche del tomismo; coltiva una ripugnanza invincibile per il pragmatismo, e, in genere, per ogni dottrina che poggi sul relativismo della conoscenza, anche se questo è compensato ad usura da un saggio dogmatismo morale. E si capisce il perchè di questo ritardo di sviluppo nella mentalità di un uomo, aperto del resto alle correnti innovatrici della democrazia. Quando egli si formava alla scuola del padre Billot, in un'aula di via del Seminario (ivi è la Gregoriana), la sinistra del pensiero cattolico italiano era formata da rosminiani esaltati e da cartesiani in ritardo. Il pragmatismo di Schiller e di James moveva le prime avvisaglie in periodici poco conosciuti, e Blondel, il futuro autore dell’Action, compiva allora i suoi studi alla Sorbona. Io non so dar torto al Murri, se, ignorando questo movimento pragmatista, allora ai suoi inizi, ha preferito alla metafisica del Rosmini, troppo poco mistica per rappresentare una liberazione, troppo poco metafisica per vincerla sul rigore della scolastica, e al dilettantismo filosofico dei cartesiani, la maestà della Somma e la coscienza meravigliosamente solida della tradizione medioevale. La scolastica, che anch'io ho studiato per sette anni, mi è sempre parsa come un immenso edificio incantato: che addormenta gl'istinti ricercatori di ogni essere pensante, che assopisce lo spirito nelle circonvoluzioni del suo pensiero inesauribile, che supplisce con l'immensità dei suoi dominii alla loro reale fecondità. Chi entra in esso, senza rendersi gran conto della rinuncia compiuta nel varcarne le soglie; chi cede a cuor leggero il suo intelletto perchè sia satollato dalle interminabili logomachie dei metafisici arabizzanti; chi, in un orgoglio intellettuale pieno di seduzioni, aspira a possedere la soluzione dei misteri dell'universo, e ascolta docilmente l'insegnamento scolastico; difficilmente ritrova poi la via dell'uscita, ed è capace di cogliere il relativismo sostanziale del tomismo, e il suo difetto fondamentale nel dogmatismo gnoseologico. Murri appunto è uno studioso che segue con intensa premura le manifestazioni del pensiero contemporaneo: ma i suoi abiti mentali sono vecchi, e la scolastica, questa insuperabile gabbatrice di problemi che evita e non risolve, fa capolino, assiduamente, nelle sue riflessioni personali. Ed è perciò che le innumerevoli anime di preti, da lui chiamate al desiderio di una nuova luce, rimangono a mezza strada, invocando da lui un nutrimento intellettuale che egli non sa più loro fornire. L'atmosfera intellettuale è oggi satura di anti-dogmatismo: tutte le tendenze del nostro spirito sono per i metodi prammatistici, per la concezione etica della religione e la valutazione simbolistica dei riti. Murri intende benissimo tutto ciò: ma il suo spirito, pieno di nostalgie scolastiche, non ritrova sè stesso in queste gravi novità dell'idealismo contemporaneo, non riesce a stabilire l'equilibrio fra il passato della sua educazione scolastica e il presente della sua erudizione: e si dibatte fra simpatie vecchie e nuove, cercando un nuovo punto d'appoggio. Lo troverà? Io temo di no: le esigenze della vita pubblica in cui egli è tutto compreso gli vietano di applicarsi ad una seria e ponderata revisione del suo pensiero, che solo potrebbe portarlo a una non affrettata assimilazione di pragmatismo. Ed è cosa che dispiace questa; perchè Murri ha qualità eccezionali di apostolo, e può garantire il successo di un'idea da lui presa a difendere. Invece, come al movimento democratico-cristiano egli non ha saputo infondere lo spirito di un partito veramente radicale, così al movimento intellettuale neo-cattolico non sa dare la spina dorsale di un pensiero veramente nuovo ed organico. Ed allora varrebbe meglio ch'egli si dedicasse ormai esclusivamente a una propaganda politica, capace di portarlo, prima o poi, con l'approvazione o la condanna, non importa, del Vaticano, in Parlamento. In Romolo Murri ci sono molti atteggiamenti d'animo che richiamano alla memoria la figura di Vincenzo Gioberti. Io credo che a contatto della vita parlamentare, il forte prete marchigiano potrebbe compiere una grande opera di riformatore.

*
* *

Ad ogni modo, comunque si giudichi l'atteggiamento intellettuale di R. Murri, egli rimane sempre il tipo più simpatico del clero italiano. Le persecuzioni maligne a cui l'ha sottoposto il Vaticano, ne fanno una persona ben amata e degna di tutto il rispetto. Egli è ormai per la gerarchia, la bestia nera, che bisogna cacciare indietro, ad ogni costo, fuori di ogni contatto pericoloso. E così essa ha relegato ormai il capo della democrazia cristiana in un paesello marchigiano, fuori da ogni comunicazione rapida e da ogni centro di vita intensa: vero carcere morale in cui auguriamo possano maturare propositi più netti di lotta e di propaganda...

E continuiamo la nostra rassegna, che sarà senza dubbio incompleta. Come non è stata mia intenzione intrattenerti su tutti i più leggeri indizi di decomposizione che appaiono alla superficie dell'organismo cattolico; così non è mia intenzione ora evocare dinanzi alla tua fantasia tutti i sintomi precursori di rinnovamento che traspirano da esso. Non ne sarebbe valsa e non ne varrebbe la pena. Io preferisco descriverti, come in iscorcio, le principali figure che con l'opera loro rappresentano e nello stesso tempo alimentano il bisogno di trasformarsi da cui è sospinta la Chiesa in questo momento. Dopo averti parlato quindi della personalità morale e intellettuale del Murri, dopo averti rapidamente tratteggiato i suoi propositi sociali e le sue incertezze apologetiche, io crederei superfluo parlarti minutamente di tutte le sue iniziative, dei suoi nati, defunti e risorti periodici, delle sue polemiche, delle figure secondarie che si muovono e che agiscono intorno a lui. Così non mi fermerò a ricordare tutti gli ecclesiastici in vista, che nel movimento occupano una posizione notevole. Preferisco dedicare le mie osservazioni alle individualità veramente rappresentative, la cui opera è un indice e un programma. Tu leggendomi, ricorda però che il movimento neo-cattolico non è tutto intero nell'opera di questi individui: intorno ad essi comincia ad agitarsi una folla di preti e di laici, sì che tu puoi credere che il movimento, forte per l'intelligenza di chi lo dirige, comincia ad esser forte anche per il numero di coscienze trepidanti, ch'esso trascina sul suo cammino.

*
* *

Parlando delle manifestazioni propriamente scientifiche del neo-cristianesimo, io devo ricordare innanzi tutto l'iniziativa di Salvatore Minocchi. Il Minocchi, che è nativo della Toscana, è un coetaneo di Murri e suo compagno di collegio: ugualmente discepolo dei gesuiti. È un buonissimo conoscitore di lingue orientali, e un forbito scrittore in italiano. Nel 1901 egli intraprese la pubblicazione di un periodico scientifico-religioso, intitolato appunto Studi Religiosi. La copertina del primo fascicolo portava queste fatidiche parole evangeliche: «Il seminatore uscì per seminare». E per parecchio tempo adempì fedelmente il suo simpatico programma. Seminò, attraverso l'Italia ecclesiastica, idee nuove e studi serii: per la prima volta pose a contatto l'anima ignara di tanti preti con la critica tedesca, con l'apologetica spiritualistica francese, con le migliori correnti del cattolicismo inglese. Affrontò le questioni più ardue della scienza religiosa contemporanea: fu rivista storica e filosofica nello stesso tempo, di divulgazione e di ricerca personale, di formazione del giovane clero e di palestra per i suoi giovanili esperimenti. Senza dubbio ha aperto un solco nella psicologia ecclesiastica italiana, un solco che non si richiuderà più. Ma, come vedi, io ho parlato del passato: il presente degli Studi Religiosi non merita più queste lodi. Già il periodico del Minocchi cominciò a decadere quando, a principio del 1905, il padre Bonaccorsi fondò in Roma la Rivista storico-critica delle scienze teologiche. Allora, le migliori penne degli Studi passarono al nuovo periodico, e il Fracassini, il Mari, il Buonaiuti, il Federici, rifiutarono, d'allora in poi, o diedero in misura trascurabile la loro collaborazione alla rivista fiorentina. La Rivi sta delle scienze teologicheoffriva su di questa parecchi vantaggi: fra gli altri principali questo, che uscendo a Roma, con l'Imprimatur del Maestro del Sacro Palazzo, aveva tutte le probabilità di diffondersi più rapidamente e più intensamente nel pubblico ecclesiastico. In fondo questa separazione nella famiglia dei redattori degli Studi non sarebbe stato un male irreparabile: un periodico può esser ben fatto e tenuto a un alto livello intellettuale, specialmente uscendo ogni due mesi, anche dalla sola persona del direttore, purchè questa sia una personalità di valore eccezionale e di una coerenza logica inflessibile. Il Minocchi non sembra rispondere a questa condizione. E lo si è visto nelle ultime trasformazioni e negli inaspettati accomodamenti a cui sono scesi gli Studi. Tu sai che, pochi mesi fa, la commissione biblica ha espresso il suo parere contrario a una delle conclusioni più inoppugnabili e più universalmente accettate della critica biblica moderna: la pluralità documentaria dell'Esateuco e la sua non-mosaicità. Il responso è stato accolto da un'impressione profonda di delusione, e dal più vivo sdegno degli studiosi cattolici: i più pratici dei quali han creduto di non poter far altro che attenuarne con tutti i possibili pretesti teologici, e distruggerne il valore. Ebbene: il Minocchi, quegli che fra i primi in Italia ha fatto conoscere i risultati della critica biblica in proposito, ha avuto il coraggio di accettare con riconoscenza il responso indecoroso, di dichiarare anzi, con una iperbole che nessuno gli potrà perdonare, che quel responso è provvidenziale. Non basta. Tu sai forse qualcosa di quella lettera confidenziale scritta dal padre Tyrrel a un professore di antropologia, nella quale l'illustre gesuita inglese, «il più dotto, il più santo e il più brutto» fra i cattolici d'Inghilterra, come mi diceva un suo amico, ha raccolto idee luminosissime sulla distinzione fra la fede teologica e la fede, facoltà dello spirito; fra il cattolicismo dogmatico e il cattolicismo idealistico; fra la teologia e il sentimento religioso. La lettera, che è stata letta avidamente in Italia, ha provocato da parte del Minocchi dichiarazioni ultra-reazionarie. Egli ha detto fra l'altro che il modo di interpretare la religiosità, propria del Tyrrel, è anti-cattolico per eccellenza ed egli sentiva il dovere di separarsene, con rammarico sì, ma anche con chiarezza e decisione. Articoli di questo genere non possono fare a meno di indisporre cordialmente quanti avevano seguito il Minocchi, fiduciosi nella sua lealtà e nella sua coerenza. Io temo assai che come il Minocchi è stato abbandonato dal manipolo dei suoi collaboratori, sia per essere abbandonato anche dallo stuolo dei suoi associati.

*
* *

I quali, a dirti la verità, non perderanno molto nel distacco. Il Minocchi è una singolare figura di prete, di cui io non so nella mia mente disgiungere l'immagine dal fantasma di uno di quegli abati del secolo XVIII, leggermente malati di scetticismo e di indifferenza. Ha molto ingegno senza dubbio, e una non comune erudizione. Ma il suo intelletto non è un intelletto completo ed equilibrato, in cui ogni ricerca critica ed ogni analisi documentaria si dispongano saggiamente in un piano generico d'interpretazione della vita, e in un sentimento desto e pronto, delle tendenze collettive. Egli ha tradotto i Salmi e recentissimamente Isaia: ma le questioni critiche svoltesi in proposito in Germania hanno oramai la barba bianca, ed era agevole cosa diffonderne l'eco in Italia. Fuori del campo biblico, il Minocchi ha fatto pessima prova: si è occupato di filosofia, ma lungamente incerto se difendere di fronte al pubblico la filosofia rosminiana o la filosofia dell'azione si è deciso per quest'ultima quando il successo da essa riportato in Francia non lasciava più dubbi sul suo trionfale destino.

Ma gli articoli di apologetica scritti dal Minocchi sono un po' vuoti e un po' fatui nella mancanza assoluta di conclusioni originali. Si è occupato della questione francescana, ma le sue idee in proposito non hanno avuto un grande seguito. Ha scritto qualche libro di viaggi, ma la stampa letteraria non li ha accolti in una maniera molto lusinghiera.

Data questa scarsa capacità iniziale, il Minocchi ha visto fallire le sue rosee speranze. Egli sognava di conquistare le simpatie del liberalismo italiano, mostrandosi nella sua triplice qualità di patriota, di scienziato, di sacerdote. Egli fece un viaggio in Russia e ne riferì le impressioni in una conferenza tenuta alla presenza del Re. Ma altre volte esagerò i suoi meriti di studioso, e quando fu ricevuto dal Papa, scrisse nientedimeno su di un grande giornale che la fede e la scienza si erano incontrate. Egli infatti parla della loro riconciliazione. Ma all'arduo programma furono impari le sue forze. Ed ora egli si dibatte nelle incertezze, non sapendo bene che fare: se abbandonare tutto il suo bagaglio modernista e farsi un pubblico di conservatori; o continuare nella sua via, mettendo molta acqua nel suo vino; nell'un caso e nell'altro gettando nel movimento neo-cattolico un fomite di equivoci.

La sua figura ad ogni modo è incerta. E in quest'ora di angoscia spirituale, mentre tutto un vecchio mondo, lentamente insinuatosi nei nostri costumi, nelle nostre abitudini, nelle espressioni più naturali della nostra psiche, va rapidamente in sfacelo, l'anima collettiva di tutto ha bisogno, e tutto può quindi tollerare; meno che una cosa: la incertezza e il sotterfugio. Meglio mille volte tacere, se il tempo non è maturo alle dichiarazioni aperte e leali, anzichè mentire o nascondere il proprio pensiero fra le tortuosità di un linguaggio ambiguo.

*
* *

Io non so perchè al Minocchi non facciano comprendere tutto ciò, gli amici che sono rimasti a lui fedeli: il padre Semeria, per esempio, un uomo notissimo in Italia, e che ha doti eccezionali di genialità e di acutezza. Di lui io dovrei parlarti a lungo perchè egli ha portato alla causa della modernità nella chiesa il contributo della sua propaganda attiva ed efficace. Ma io non voglio ripeterti cose già dette di altri; il Semeria ha questo però di caratteristico, di sapere, come forse nessuno in Italia, assimilare i resultati della scienza religiosa e comunicarli poi agli uditori numerosi con parola calda, esuberante, piena di immagini e di incisi. Egli appartiene all'ordine dei Barnabiti, che, insieme alla congregazione dei missionari del Sacro Cuore, rappresentano, soli fra tutti gli ordini religiosi, e difendono le idee nuove.

In un movimento d'idee com'è il modernismo, un movimento che tende a rinnovare la coscienza del clero italiano, e in esso e per esso, la coscienza religiosa di tutto il popolo, uomini come il Semeria, capaci di divulgare e facilitare la comprensione dei più alti problemi morali e teologici, sono, tu capisci benissimo, straordinariamente preziosi. L'autorità ecclesiastica ha compreso ciò molto bene, coadiuvata dalle autorità dell'ordine a cui il Semeria appartiene, ha fatto di tutto per indurre al silenzio questa molesta voce di apostolo che aveva già suonato da un capo all'altro d'Italia. E c'è riuscita, pur troppo. Da molto tempo ormai il Semeria ha circoscritto la sua azione, che è stata altre volte formidabile, alle forme stereotipate di una predicazione randagia e alla discreta opera del consigliere privato di giovani e di signore, assaliti da dubbi di coscienza. Le sue conferenze di Genova, dove egli ogni settimana soleva affrontare i problemi più alti dell'apologetica spiritualistica, non certo con originalità eccessiva, ma con molta buona fede e sufficiente conoscenza dello stato attuale della questione, sono state interrotte, e nulla di equivalente le ha sostituite. Non è una grande perdita per il patrimonio specifico delle idealità modernistiche: ma è un grave danno per la loro capacità di divulgazione. E pure il rimedio ci sarebbe, e benefico: il padre Semeria dovrebbe uscire dal suo ordine; acquistare la libertà delle proprie azioni e delle proprie idee, concorrere a qualche cattedra universitaria, e continuare di là la sua propaganda di cristianesimo erudito e vivificatore. Lo Stato italiano, è vero, è scandalosamente negligente per quel che riguarda la cultura religiosa della gioventù universitaria. In tutto il regno, esistono due sole cattedre di storia del cristianesimo: una a Roma, occupata da quella cariatide delle scienze religiose, che è il prof. Baldassarre Labanca; l'altra a Napoli, occupata, o meglio non occupata, da quel professor Raffaele Mariano, la cui presunzione è solo uguagliata dalla superficialità della sua cultura e della sua critica. Di più, in questo grigio momento di alleanze clerico-moderate, il governo forse non se la sentirebbe di eleggere all'ufficio di insegnanti universitari uomini in conflitto con l'autorità ecclesiastica. Ma per la dignità della cultura italiana e del paese in genere noi tutti ci auguriamo che questo funesto stato di cose tramonti al più presto, e tutti coloro che possono contribuire alla rinascita spiritualistica del pensiero nazionale trovino i mezzi più rapidi, più stimati, più efficaci per esercitare la loro azione.

*
* *

Un confratello del padre Semeria degno di menzione è il padre Alessandro Ghignoni, anima squisita di esteta e nobilissima tempra di cristiano. Egli è romano di nascita, e a Roma risiede attualmente, dopo essere stato lungamente a Firenze, nel collegio alla Querce. Il suo nome è forse meno conosciuto, perchè non legato ad opere di scienza e di volgarizzazione. Ha scritto una storia dell'antica arte cristiana, in cui forse la penetrazione dell'erudito e l'originalità dell'osservatore non è accompagnata dalla sobria e ponderata riflessione del critico. Ma il Ghignoni va apprezzato sopra tutto come oratore. A Roma tutti ricordano i suoi corsi di spiegazioni domenicali del Vangelo, in cui egli, con molto garbo e molta finezza, riusciva ad introdurre una maniera tutta modernistica di evocare l'insegnamento di Gesù e di farne eloquenti applicazioni al mondo dell'attuale fariseismo e della imperante ipocrisia. Il Vaticano, allarmato, ha fatto sospendere questo corso di spiegazioni evangeliche, e ha ridotto al silenzio l'importuno predicatore. Il modernismo, senza dubbio, non ne ha risentito delle conseguenze disastrose. Ma non è pieno di amarissima ironia questo fatto, che il Vaticano tolga bruscamente la parola a chi dà testimonianza al Cristo in mezzo al mondo colto, e spezzi, in quel che ha di più caro l'anima sacerdotale, l'apostolato di un mite e modesto religioso? Ma il caso non è unico: in quante diocesi non accade ugualmente? E chi potrà mai contare i germi di vita che il turbine della reazione vaticana sta in quest'ora inaridendo?...

Se il Signore venisse oggi al mondo, forse egli troverebbe la chiesa ufficiale simile a quell'albero di fico sterile, in cui s'imbattè una mattina tornando dalla campagna verso Betania, ed esclamerebbe: – Nunquam ex te fructus nascatur in sempiternum. – Et arefacta est continuo ficulnea...

10 marzo, 1907

***

Share on Twitter Share on Facebook