Dilucidazioni e risposte. – Il modernismo movimento popolare. – Complessità della nuova esperienza religiosa. – Elementi di una nuova filosofia. – Loro probabile svolgimento.

Carissime,

Da quanto posso arguire dalla tua risposta, ricevuta ieri, la mia lettera ti ha alquanto sconcertato. Le idee che in essa ti ho esposto ti appaiono non solamente audacissime: le più audaci, che finora ti sia capitato di ascoltare. Fin qui, anzi, poco male: nella tua anima esercitata a segnalare negl'ipogei della storia le ragioni recondite dei fatti religiosi, a valutare le ragioni umane che li hanno provocati e le finalità civili a cui essi hanno servito, non c'è più luogo per un sentimento di stupore o di scandalo quando si tratta di ponderare le cause della presente crisi religiosa e di indicare le possibilità di una benefica soluzione. Tu ti preoccupi più tosto della praticità concreta del programma modernistico, e della sua capacità di influire nella chiesa e fuori della sua periferia, nel senso di ravvivare il sentimento religioso e di ricondurlo sulla via maestra della grande speranza cristiana. Da questo punto di vista precisamente a te sembra che i propositi, sommariamente delineati nell'ultima mia lettera, perdendosi nelle astrazioni di un audace semplicismo, rischino di avere all'atto pratico scarsa presa sulle anime, e minaccino di perdersi in un idealismo difficilmente afferrabile dai più. Io sono rimasto colpito, non scosso, dalle tue osservazioni. Bisognerà dunque che io risponda qualcosa. E lo farò: raggruppando tutte le tue obbiezioni in due difficoltà fondamentali, a cui dedicherò rispettivamente due lettere. Io spero, se nonaltro, di dilucidare sempre più la nostra posizione e di guadagnare così il tuo giudizio favorevole: che troppo mi peserebbe la tua disapprovazione, o semplicemente il tuo disinteresse.

Volendo raggruppare in breve una prima serie delle tue difficoltà, io direi: «Le idee esposte nelle precedenti lettere tendono a mostrare che col modernismo si tratta di sostituire al dogmatismo cattolico e al pietismo pessimista e individualista, prevalenti nella chiesa fin dal tempo del medio evo monacale, una esperienza semplicissima, e agevolmente rinnovata, di quella grande speranza messianica che costituì il succo della predicazione di Gesù, e che, mutatis mutandis, è in fondo alle più nobili aspirazioni dell'anima contemporanea. Ora assegnare al modernismo un tale compito, significa imporgli un programma difficilmente attuabile, anzi rudemente paradossale. Non si può nè pure immaginare che al secolo ventesimo, sotto l'impero della cultura diffusa, e lo stimolo di preoccupazioni intellettualistiche costantemente in azione, siano possibili intensi movimenti spiritualistici, paragonabili al cristianesimo primitivo o al francescanismo, nei quali cioè una nuda per quanto forte esperienza religiosa renda inutili i simboli del pensiero riflesso e i riti della disciplina magica. D'altra parte, le prime avvisaglie combattute dal modernismo, mostrano chiaramente che esso tende a diffondersi in ambienti più tosto addottrinati, dove c'è la consuetudine del pensiero ed è adoperata l'arma della critica. In tali ambienti, una propaganda esclusivamente apocalittica corre pericolo di naufragare fra il sorriso di compatimento e la noia dell'indifferenza. Solo le masse sarebbero capaci di comprendere una simile predicazione: anime pronte ad infiammarsi per ogni ideale in cui scorgano brillare un promesso compenso alle amarezze dell'esistenza quotidiana. Ma, a tutt'oggi, le masse sono rimaste completamente estranee alla rinascenza modernistica. Non è dunque quella indicata, la via che menerà il modernismo al successo».

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Una tale difficoltà senza dubbio è non solamente speciosa, ma fondata su dati di fatto incontestabili: la maggiore intellettualità del nostro mondo contemporaneo in confronto degli ambienti in cui si svilupparono altri grandi movimenti spiritualistici, l'elevatezza della cultura che il modernismo esige nei suoi seguaci, la indifferenza finora assoluta dimostrata dalla grande massa del popolo per la crisi religiosa di cui il nostro movimento rappresenta forse l'epilogo. Io stesso sono rimasto più volte vagamente sorpreso dalla disarmonia esistente fra le finalità del movimento modernistico, finalità così radicalmente rinnovatrici, e la natura della sua propaganda, così aristocraticamente intellettualistica.

Ad ogni modo, mi sembra che si possa rispondere, se non esaurientemente, senza dubbio con sufficiente chiarezza, in parecchie maniere.

Innanzi tutto non è detto che il modernismo debba procedere sempre con i metodi finora adottati e con il genere di propaganda finora seguito. Quel largo consenso popolare, che dovrebbe essere la principale preoccupazione di un movimento religioso, saturo di entusiasmo messianico, e che fino ad oggi è costantemente mancato, può invece essere riservato all'avvenire prossimo del modernismo. Specialmente se l'autorità gerarchica, sbarrando violentemente le porte dei suoi recinti dietro le spalle dei suoi figli più ardimentosi, cercherà di scindere la loro azione dalla propria, e romperà i vincoli esteriori della loro unione alla chiesa, il modernismo potrà riversare la sua propaganda in mezzo a quei gruppi sociali che per le loro idealità civili si avvicinano alla sua psicologia e per le deficienze della loro cultura o le aberrazioni della loro animosità di parte son rimasti per tanto tempo digiuni di una predicazione idealistica, capace di addolcire e rafforzare i loro sforzi verso l'avvenire migliore. È forse questione di anni: ma io credo che il modernismo perderà ben presto ogni carattere di intellettualismo aristocratico, per divenire quel che è nella sua natura più profonda, libera esaltazione di anime nell'attesa di un radicale rinnovamento della vita; raggiungimento da parte della democrazia del contenuto religioso che è alle radici del suo programma e delle sue previsioni.

Questa risposta, naturalmente, può non piacerti. Non si risponde ad una difficoltà presente, accennando all'avvenire. La profezia può essere fallace: di più può essere dannosa, trattenendo dal provvedere subito alle incertezze del momento che passa. Ma ho altre risposte da darti e, forse, più convincenti.

In fondo tu ti appelli alle diversità che caratterizzano l'ambiente intellettuale in cui il modernismo si muove per operare, in confronto di altri ambienti nei quali hanno avuto successo movimenti spiritualistici simili al modernismo, quale io te lo son venuto dipingendo nelle ultime lettere. Ora a me pare che tu esageri queste diversità: che, sedotto dalle apparenze, trascuri quel che v'è d'immutabile nello spirito umano, al di là delle variazioni superficiali della cultura e del gusto intellettuale. Ed essendo la religiosità una espressione primordiale dello spirito, indipendente dallo stato della mentalità; qualcosa che germoglia dagli strati più nascosti della psiche, fuori di ogni deformazione artificiale dell'ambiente, ne segue che un rinnovamento della religiosità deve necessariamente prescindere dalle predilezioni intellettuali del momento storico, ma spingere la lama del suo vomero nelle profondità inesplorate della coscienza collettiva, commuoverla coi nuovi accenti della speranza e dell'amore, seminare a piene mani la letizia dell'attesa apocalittica. Che importa se tutti i raffinati dell'intelligenza si mostreranno scandalizzati del nuovo procedimento, che schiva le loro logomachie e irride a sua volta alle loro sterili schermaglie verbali? L'evoluzione della religiosità si compie al di sopra, o al di sotto, se vuoi, delle loro preoccupazioni metafisiche. È un'ascensione di anime, non d'intelletti; un arricchimento di vita interiore, non una moltiplicazione d'idee; un elevamento della vita morale, non un progresso di scoperte scientifiche. La religiosità suppone come soggetto quelle anime incolte, digiune di scienza e di sofismi, che Tertulliano invocava a testimoni della sapienza cristiana. Il modernismo si appella ai medesimi testimoni: e questi non cambiano attraverso i secoli, perchè la civiltà progredisce, la scienza dilata le sfere del suo dominio, ma lo spirito umano è l'eterno fanciullo che il mistero della vita confonde, e il sogno di una esistenza sempre migliore, rallegra.

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Ma io penso che anche questa risposta può non soddisfarti. Conosco il tuo spirito sottile, freddo, diffidente degli eccessivi entusiasmi, che un lungo e paziente tirocinio di critica ha reso lievemente scettico di fronte ad ogni asserzione che non abbia per sè il suffragio di dati inoppugnabili. Ebbene: io devo procedere oltre nella confessione del mio pensiero, nella spiegazione dei nostri propositi. Quest'ultima mia replica son certo che sarà la più persuasiva per te. Ed è questa: nella esperienza religiosa propagata dal modernismo c'è implicita tutta una nuova filosofia. Se noi non la svolgiamo presentemente, se non ci attardiamo nell'analisi riflessa e nella formulazione astratta dei teoremi, sepolti come in un germe, nel nostro spirito commosso dalla nuova speranza apocalittica, è perchè temiamo che un lavoro di simil genere sia da ogni punto di vista prematuro. L'esperienza storica ci dimostra che i grandi movimenti spirituali sono stati al loro inizio ampie esaltazioni di anime, nell'annunzio di un'imminente palingenesi; che l'entusiasmo ottimistico, diffuso da una lieta predicazione escatologica, rappresenta il primo stadio delle nuove formazioni religiose. Solo più tardi, quando gli avvenimenti hanno opposto una amara smentita alle previsioni rosee, e d'altra parte era necessario tesoreggiare tutto il beneficio prodotto dalla elevazione momentanea delle anime nel fervore della purificazione in vista del grande avvenimento futuro, allora e solo allora intorno all'esperienza religiosa primitiva, nuda e semplice, è cominciata l'opera della riflessione e della traduzione concettuale. Ci sarà un po' d'artificio nel nostro atteggiamento, non lo nego: ma noi vogliamo che il nostro movimento segua la medesima traiettoria. Noi provochiamo delle nuove esperienze religiose: suscitiamo entusiasmi: tendiamo a far vedere che il nostro spirito, di fronte a tutto il nuovo e il bello che il progresso sociale introduce nel mondo, è nel medesimo atteggiamento in cui si trovavano i primitivi cristiani nell'ansiosa, febbrile attesa del Regno, e a propagare come in un contagio l'esaltazione che lo caratterizza. L'esperienza più sana trionferà, si diffonderà, produrrà le migliori conseguenze nelle abitudini etiche collettive, e al momento opportuno, forse nella generazione ventura, troverà modo di essere formulata in termini filosofici, onde un maggior numero di anime ne possa cogliere l'opera spiritualmente benefica. In una parola, si licet parva componere magnis, noi non vogliamo che l'opera di un S. Paolo preceda la più rudimentale formazione di una nuova, più intima e più alta coscienza cristiana.

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A me sembra questo un atteggiamento di vera modestia. Noi ci rifiutiamo infatti ad un lavoro di dilucidazione razionale meno difficoltoso forse del lavoro, puro e semplice, di propaganda religiosa, e per il quale non mancherebbero a noi i materiali. Ma temiamo che, compiuto da noi, esso possa riuscire un aborto, mentre abbiamo fiducia che compiuto più tardi, dopo un'esperienza psicologica più nutrita e più resistente, esso possa avere i caratteri di una creazione feconda e duratura. Del resto se gli eventi precipiteranno noi non ci sottrarremmo di certo anche a questo lavoro. Fra i caratteri della nostra civiltà (e qui riconosco con te una profonda divergenza in confronto di altri momenti storici) c'è appunto una maggiore rapidità di avvenimenti, e una più intensa e alacre elaborazione di nuovi fattori. Trasformazioni che in altri tempi esigevano per attuarsi lunghi periodi di qualche secolo, si verificano oggi nel giro di pochissimi lustri. Può essere dunque che oggi il periodo della pura esperienza messianica nel modernismo non duri neppure una generazione, si svolga nella cerchia limitatissima di pochi individui, e si verifichi prestissimo il passaggio alle forme riflesse di una dottrina metafisica.

Tale evenienza non ci coglierà impreparati. Non ci sarebbe difficile nè pure ora segnalare le linee di una nuova filosofia, implicita nel nostro atteggiamento di coscienza. Opera resa anche più facile dal fatto che le simpatie della mentalità contemporanea sono per una metafisica semplice, scorrevole, schiva di dogmatismi e di eccessive pretese, in armonia con le leggi del nostro spirito, sempre meglio conosciute. Noi dovremmo cominciare naturalmente dall'insistere su un nuovo concetto della filosofia. La scolastica, di buona memoria, ne aveva preso la definizione da Cicerone, e la concepiva come «la conoscenza dell'ultime cause delle realtà». Noi siamo infinitamente meno presuntuosi, e intendiamo come la formulazione richiesta dalle esigenze della pratica, di alcune risposte al grande problema dell'esistenza: qual'è il nostro rapporto con la totalità dei fatti, fisici e morali, da cui siamo circondati? Partendo da una simile concezione della filosofia, noi troveremo il nostro cammino sbarazzato da una quantità di problemi che occupavano per un buon terzo la metafisica dei nostri padri, e che per noi hanno perduto ogni valore, anzi ogni significato: i problemi cosmologici. Aiutati dal processo di revisione a cui le scienze empiriche vanno sottoponendo i loro metodi e le loro conclusioni, noi sentiamo sempre più lucidamente che i problemi astratti circa le origini e le finalità cosmiche non rientrano nell'ambito delle nostre possibilità mentali. Elementi infinitesimali dell'universo, non già dominatori e centro di esso; noi oggi non abbiamo alcuna pretesa di renderci ragione dell'esistenza della realtà incommensurabile, di cui siamo parte. Sicchè il mondo ci appare sempre più come un insieme armonico di esseri e di energie, in cui siamo una nota, e finisce di essere per noi un'immane sostanza, intorno alla quale esercitare le nostre pallide nozioni di causa, di effetto, di principio, di fine. Anche i problemi etici e psicologici escono dai confini di quel che propriamente noi sentiamo di dover chiamare dominio filosofico. L'etica ci appare come un'arte di disporre le nostre azioni secondo una riconosciuta norma di bene. Ma poichè questa norma è variabile con il variare dei momenti storici, degli ambienti, delle attitudini personali, l'arte che ne fa l'applicazione agli atti umani non deve pretendere ad alcuna assoluta immobilità. Unica legge eterna da rispettare, il rispetto di ogni individuo e la carità solidale fra gli uomini. In quanto ai problemi psicologici, oggi non ne comprendiamo altra formulazione che quella empirica. Si tratta di osservare e registrare le azioni del principio semplice di vita che è in noi all'infuori di ogni quesito metafisico circa la natura e le finalità di esso.

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Rimangono due grandi problemi a costituire il contenuto vero della filosofia. Il problema gnoseologico e il problema teologico. Il primo era dalla scolastica risolto a priori in una forma dommatica. L'intelligenza umana appare alla tradizione filosofica del medio evo naturalmente portata alla percezione della verità, considerata come adequazione del pensato col reale. Tutta la recente tradizione del pensiero critico protesta contro questo comodo postulato. Il compito fondamentale dell'analisi filosofica sta appunto nel rintracciare la qualità del rapporto che intercede fra il pensiero e il reale. A me sembra che oggi le migliori probabilità di successo siano per una soluzione pragmatistica del problema. Quando io parlo di soluzione pragmatistica del problema, intendo dire che le nostre menti si vanno adagio adagio abituando ad una nuova definizione del vero, in cui questo appaia non già come risultante dalla coincidenza del pensato e del percepito – coincidenza fittizia e necessariamente illusoria – bensì dalla coincidenza dell'astrattamente formulato con il profondamente vissuto. Vale a dire il vero consisterà nella corrispondenza perfetta del pensiero puro agli istinti sani e alle volontà più o meno subcoscienti, da cui siamo mossi nelle nostre esperienze vitali. Il problema della conoscenza diventerà così un problema di vita.

E un problema di vita ugualmente io credo che diventerà il problema di Dio. Ed è naturale. Supposta la inutilità di porre i problemi metafisici sulle origini e le finalità della natura, diventa insolubile un problema circa l'esistenza di Dio posto secondo lo schema suggerito dai cinque famosi argomenti di S. Tommaso. Noi ci domandiamo più tosto: che cosa rappresenta la nostra effimera vita nel turbine della vita universale? esiste una luminosa potenza che nella dispersione di infiniti germi vitali sa però discernere quelli che assicurano la conservazione e il progresso del bene nel mondo? La soluzione, che sarà un atto di fede, vero perchè fecondo, non potrà esser data in termini di pura trascendenza o di pura immanenza. Questi termini infatti rappresentano ancora una mentalità metafisica superata, se si prendono astrattamente. Il divino è perfettamente immanente e trascendente a noi, in quanto rappresenta il senso della continuità della vita nell'universo sensibile: è immanente per tutto quel che di vivo e di santo c'è nelle memorie dell'universo sensibile, è trascendente per tutto quel che di atteso e di sperato c'è nella psicologia della umanità che cammina.

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Come vedi, amico, basta fermarsi per poco ad analizzare il contenuto della nostra nuova esperienza religiosa, per trovarvi le linee di tutta una metafisica. Naturalmente i cenni che te ne ho dato sono la più incolore e pallida formulazione di essa. Ma, già ti ho detto, un tale lavorìo di analisi esige un lungo periodo d'anni per essere compiuto, ed oggi esso a pena incomincia.

31 marzo, 1907

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