L'avvenire del neo-cristianesimo. – Soluzione pacifica o soluzione rivoluzionaria? – Probabilità della seconda. – Il destino della teocrazia vaticana.

Carissime,

La prognosi, tu lo sai bene amico mio, non è sempre altrettanto sicura che la diagnosi, ed io mi trovo oggi nel più grande imbarazzo, mentre mi accingo a esporti, in quest'ultima mia lettera, l'avvenire del neo-cristianesimo.

Permetterai che, cominciando, io ti riferisca qui un brano di un discorso tenuto da Jaurès alla Camera francese, nel novembre 1906, a proposito della legge di separazione. Io non ti saprei descrivere meglio il dissidio tragico che si è delineato tra le energie migliori del mondo contemporaneo e lo istinto della conservazione che domina attualmente la Chiesa: «rivolto ai cattolici, io dico loro: – perchè non cogliete l'occasione magnifica che la legge di separazione vi offre di liberarvi dalle follie politiche e sociali del passato, e di rientrare in comunicazione con le due grandi forze del mondo moderno, la scienza e la democrazia? Se voi nutriste ancora fiducia in voi stessi, nella efficacia dei vostri principî, nella immortalità divina della vostra speranza, voi non avreste rifuggito da questo salutare contatto. – Tu, Chiesa avresti potuto dire alle anime: gli scienziati riconoscono la legge della evoluzione, ma, analizzandola sempre più intimamente, essi constatano che ogni istante dell'evoluzione, reca nel suo grembo qualche nuovo elemento; che, sotto l'apparente superficiale continuità di questa evoluzione, si nasconde una capacità perpetua di creazione, di rivelazione, di rivoluzione: la scienza voleva circoscrivere il mondo alla brutalità opaca e compatta della materia, ed ecco che questa stessa scienza dimostra che la materia va idealizzandosi; che l'antica opposizione dell'etere imponderabile con la materia pesante si risolve nell’unità dell'energia cosmica, la quale, con le sue condensazioni prodigiose, simboleggia ed annunzia la volontà; con la sua potenza raggiante, simboleggia ed annunzia la forza del pensiero e dello spirito. E ai proletari, ai lavoratori, tu, Chiesa, avresti potuto dire: io vi aspetto all'indomani della rivoluzione sociale, anche se questa avrà realizzato tutto il vostro sogno di giustizia, specialmente se l'avrà realizzato! Poichè allora voi constaterete tanto più pienamente la insufficienza della vita umana di cui avrete ricolmata tutte le avide possibilità… Nel comunismo più universale, sussisterà ancora l'angustia degli egoismi, la freddezza delle anime incomunicabili. Io, Chiesa, io vi proporrò non già la cooperazione, non già l'armonia, bensì l'ardente fusione dei cuori nella comunicazione vitale di una personalità incomparabile. Esiste, malgrado tutto, una grande individualista, la morte, che regola i conti di tutti, ma li regola con ciascuno e che, sull'orlo freddo della tomba, spezza le solidarietà umane. Ebbene: io, Chiesa, al di là di questa crisi, al di là di questa tomba, io ho intravisto e annunciato per voi, nell'ampio seno di un mondo rinnovato, una sublime reintegrazione delle solidarietà umane. E poichè la vostra scienza ha constatato che la natura si innalza di forma in forma, di grado in grado, sospinta da un ideale che per me è una forza trascendente, io, Chiesa, ho anticipato la più audace speranza che potesse suggerire agli uomini questa legge di evoluzione progressiva, e vi arreco una promessa che i rivoluzionari del pensiero e dell'azione non hanno giammai uguagliato. Sì, rivendicate, operate, progredite, io non colpirò davvero con le verghe di un assolutismo delirante le vaste democrazie, mobili come il mare, io non farò davvero gravare una immobilità paludosa su questo oceano scosso dal vento che viene dal largo, ed è quello spirito di Dio, movente sulle acque, di cui parlano i miei antichi libri: ma io accenderò un barlume di speranza sovrumana sulla cima di tutte le onde sollevate. Ecco, o Chiesa, se tu avessi ancora fede nel tuo principio, quel che avresti potuto dire agli uomini, ma tu non hai più la vita in te stessa. Tu non l'hai più, e colpisci a volta a volta tutto quel che è vivo in te, tutto quel che si muove. Anatema alla democrazia cristiana italiana; anatema all'ardimento di coloro che tentano di conciliare con l'essenza dei dogmi, le scoperte imperiture della scienza e della critica; anatema a una legge repubblicana di laicità, di libertà che ti poneva, o Chiesa, in comunicazione con un popolo vivo. In te, o Chiesa, la vita si ritira e si affievolisce d'ogni parte. Oh, tu vuoi la pace: ma la pace che prepari è la pace del sepolcro ben chiuso, senza correnti d'ossigeno, senza soffi di libertà: dove i tuoi occhi possano aprirsi senza essere offesi da un solo raggio di luce».

Queste parole, sebbene pronunciate in vista di circostanze particolari in cui si trova la Chiesa cattolica in Francia dopo la legge di separazione, per gran parte si applicano al cattolicismo italiano, anzi al cattolicismo in genere. Il duello fra il vecchio e il nuovo, fra la tradizione del Concilio di Trento e le nuove concezioni religiose, è ormai esplicitamente dichiarato e si svolge, fra l'attenzione del mondo spirituale. Quale ne sarà l'esito?

Si presentano, come possibili, due soluzioni. O il giovane clero riformatore, deciso a svecchiare l'organismo cattolico, riuscirà a fare un'ampia e progressiva propaganda delle sue idee, e a conquistare la maggioranza: e allora il passaggio dal vecchio al nuovo si effettuerà senza bruschi episodi, senza scismi evidenti. Oppure la Chiesa dirigente riuscirà a immunizzarsi dal contagio modernista, a circoscrivere il gruppo riformatore, a isolarlo in seno alla comunità dei fedeli, a opporre al suo proselitismo, l'affermazione sempre più rigida del suo dogmatismo invariabile: e allora, come un dì dalla sinagoga uscì la comunità cristiana, così noi vedremo sorgere a fianco della Chiesa ufficiale, che rinnova il fariseismo, le libere comunità neo-cattoliche.

Io ritengo molto più probabile la seconda ipotesi. La Chiesa ha inaugurato un sistema troppo severo di repressione, perchè coloro che coltivano nella loro anima propositi di rinnovamento possano raggiungere le posizioni elevate della gerarchia e di là imprimere un nuovo indirizzo agli avvenimenti ecclesiastici. Noi modernisti siamo costretti dolorosamente a congiurare nell'ombra, a fomentare sommessamente il fuoco sacro delle nuove idealità religiose in seno al giovane clero.

Noi sentiamo pesare sul nostro capo, come una spada di Damocle, la minaccia della sconfessione pubblica vaticana, forse della scomunica. Ma siamo pronti a tutto. Le nostre idee si sono ormai impossessate dei nostri spiriti: vi hanno gettato radici profonde; nessuno potrebbe più svellerle mai. Attendiamo quindi fiduciosi l'avvenire, persuasi che con le vie pacifiche o con gli scatti della ribellione, la Chiesa dogmatica cederà lentamente ma fatalmente il terreno alle nuove correnti e alle nuove forme della religiosità contemporanea. Quando, nelle ore solenni della storia, scaturiscono da un ambiente sociale, che si muove a disagio nei vecchi involucri del suo pensiero e delle sue istituzioni, tendenze irresistibili verso la propria liberazione, le autorità costituite sono impotenti a frenare lo spirito pubblico, che erompe tumultuosamente e invade e abbatte i ripari abituali. Quando tutta la giovane borghesia germanica, uscendo dagli steccati del medio evo, insofferente di freni feudali e papali, ebbe trovato in Lutero il suo interprete, cosa potè l'imbelle condanna di Leone X? Contro lo spirito innovatore che invade e conquista la coscienza religiosa italica, qui, nel centro stesso dell'autorità papale, che cosa potranno le parole di un Pio X e dei suoi giannizzeri ortodossi? Una grande alba, amico, sta per sorgere sul nostro paese: io mi domando ansiosamente qual triste destino attenda il cattolicismo, oggi che proprio nella sua sede centrale scoppia il dissidio religioso.

Ormai le correnti più sane del paese, i partiti democratici più attivi, quelli che a lembo a lembo preparano la civiltà operosa di domani, intuiscono lucidamente quale sia l'opera nostra di cattolici riformatori. È cessato il pregiudizio col quale ci si considerava come sognatori che s'illudevano, in mezzo al mondo contemporaneo, di consolidare il potere ecclesiastico mettendo ai suoi servigi la cultura e il linguaggio contemporanei. No: noi non vogliamo rivestire il vecchio dogmatismo cattolico con una veste posticcia di modernismo superficiale: noi vogliamo invece sotto le vecchie forme del cattolicismo, inoculare e diffondere tutto il patrimonio ideale della modernità: affinchè il progresso si compia più agevolmente e senza scosse.

La nostra opera è rivoluzionaria quanto quella di ogni partito che, sognando un avvenire migliore per gli umili, cerca di distruggere e rinnovare le istituzioni sociali vigenti. Perchè se si riflette che le metafisiche ascetiche e le gerarchie religiose sono strumenti di oppressione e di dominio psicologico non meno gravose del privilegio economico o del governo oligarchico, si comprende facilmente come la nostra opera diretta contro quelle metafisiche e contro quelle gerarchie, sta degnamente a fianco all'opera dei partiti operai, diretta contro ogni forma di sfruttamento, politico o sociale. Ormai tutto ciò incomincia ad essere intuito; e i partiti operai abbandonano le pose dell'anti-religiosità, per limitarsi ad un'opera anti-clericale, nella quale noi siamo perfettamente solidali con loro. Il nostro programma è lo spontaneo e necessario completamento del loro.

Questi ultimi brevi cenni, amico carissimo, credo che saranno sufficienti per farti definitivamente intendere la portata e il significato del movimento neo-cattolico.

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Concludendo queste mie lettere io non posso fare a meno di comunicarti il ricordo che torna insistente alla mia memoria ogni volta che prendo parte alle funzioni della mia Chiesa. Io penso che nei primi giorni che seguirono l'Ascensione del Signore Gesù e la Pentecoste, gli apostoli continuarono a frequentare il tempio ebraico e a confondere le loro preci con quelle del popolo fedele a Mosè. La loro fede era ormai psicologicamente una cosa ben distinta da quella degli altri circoncisi: ma essi sentivano l'istintivo bisogno di accomunarsi ai loro fratelli, di non prendere posizione ostile o indipendente da essi, di non manifestare apertamente con una diserzione clamorosa il nuovo spirito religioso che fermentava, ancora indistinto, nei loro cuori. Anche noi, a tutt'oggi, seguiamo le pratiche del culto cattolico insieme al popolo, celebriamo i riti, viviamo la medesima vita religiosa. Eppure la nostra fede è diversa; le nostre idealità sono cambiate: il nostro Dio è lontano dal tempio, nella vasta natura, nelle opere umanitarie, nella operosità intensa per il progresso della vita civile. Giorno verrà però in cui la nostra intima fede, traboccando dalle nostre anime, e chiedendo il riconoscimento ufficiale nel coro di solidarietà che essa avrà saputo guadagnare, romperà le barriere limitate dell'ortodossia cattolica, e raccoglierà nel suo seno quanti religiosamente operano il bene fra gli uomini. Quel giorno, la teocrazia del Vaticano, come il sommo sacerdozio di Gerusalemme, avrà compiuto, e non gloriosamente, la sua missione nel mondo.

Vale.

14 aprile, 1907

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