Avvertimento

Addì 10 ottobre 1604 veniva in Padova osservata per la prima volta una nuova Stella, la quale vivamente eccitò la curiosità del volgo e l'attenzione degli studiosi. Era quindi naturale che, avendo Galileo scelto per argomento della sua lettura nell'anno 1604-1605 le teoriche dei pianeti, gli uditori gli rivolgessero in proposito della singolare apparizione numerosi quesiti, ai quali egli rispose con tre lezioni, tenute nella prima metà del 1604.

Disgraziatamente, il testo di queste tre lezioni, che per qualche tempo Galileo ebbe l'idea di dare alle stampe, non pervenne sino a noi completo, e, senza dubbio, egli non condusse a termine quello speciale lavoro che era stata sua intenzione di stendere su questo argomento; al quale effetto sappiamo aver egli mantenuta corrispondenza con vari cultori degli studi astronomici, affine di procurarsi notizie intorno alle osservazioni che sulla nuova Stella erano state fatte in altre città. Anzi, delle lezioni stesse noi non possediamo che l'esordio ed un brano della fine, e degli studi fatti intorno a questa nuova Stella soltanto alcuni appunti; dei quali però noi pubblichiamo qui solo quelli che presumibilmente furono stesi nei giorni in cui la Stella potè essere osservata dal Nostro, e poco appresso, quando egli ebbe ad occuparsene in occasione di una celebre polemica, della quale si dirà a suo luogo. Gli altri, possiamo con tutta sicurezza affermare, aver egli dettati molti anni più tardi, quando cioè trattò di questa Stella nella giornata prima del Dialogo intorno ai massimi sistemi del mondo, e nelle postille alle Esercitazioni di Antonio Rocco; e perciò avranno, nella presente edizione, il posto che loro spetta secondo l'ordine cronologico.

Tutti i frammenti ed appunti, che diamo qui appresso, sono desunti dagli autografi che, su carte originalmente le une dalle altre staccate, se ne conservano tra i Manoscritti Galileiani della Biblioteca Nazionale di Firenze: T. II della Parte III, T. VI della Par. IV, e VI della Par. I. Nell'ordinarli poi, discostandoci dalla disposizione che fu loro assegnata in detti tomi, ci siamo tenuti a questi criteri: 1°, che non si dovessero separare cose scritte sopra la medesima faccia di una stessa carta; 2°, che si dovessero tener uniti appunti concernenti lo stesso argomento o argomenti analoghi. È stato possibile sodisfare compiutamente all'una e all'altra condizione, pur osservando anche nel tutto un certo ordine logico. Il frammento dell'esordio rimane, come di ragione, al principio; seguono le osservazioni di posizione della Stella; poi, gli argomenti su ciò che la Stella non può essere; dai quali, con transizione opportuna, il frammento che comincia «Et haec fere sunt, quae, meo iudicio, non sunt etc conduce agli argomenti su quello che la Stella forse è; viene per ultimo l'elenco degli scrittori che trattarono dell'altra Stella apparsa nel 1572, desunto dalla prima parte dei Proginnasmi di Ticone. L'autografo abbiamo poi seguito con ogni fedeltà, e secondo le norme adottate per le scritture che possediamo autografe.

Poche settimane dopo che Galileo aveva tenute nell'Università le lezioni anzidette, usciva alla luce in Padova la Consideratione Astronomica circa la nova, et portentosa Stella che nell'anno 1604 a dì 10 Ottobre apparse, con un breve giudicio delli suoi significati di Baldassare Capra. Questo opuscolo noi abbiamo stimato opportuno di riprodurre nella presente edizione, e perchè qualche anno appresso diede occasione alle repliche contenute nella prima parte della memoranda Difesa, e perchè senza il testo, al quale si riferiscono, sarebbero riuscite poco chiare alcune postille ad essa Considerazione, che qui pure pubblichiamo, avendo ogni motivo per stimarle galileiane. Un esemplare della scrittura del Capra, attualmente posseduto, con la segnatura «B. r. A. 7. p. 2. n. 6», dalla Biblioteca Nazionale di Firenze, contiene delle postille, che dal Venturi, a cui già appartenne, furono giudicate della mano stessa di Galileo: conviene dire però che per tali non fossero riconosciute dagli ordinatori della Collezione Galileiana, poichè, avendo il Venturi ceduto detto esemplare al Granduca di Toscana, non fu in quella compreso. Queste postille infatti sono senza dubbio di pugno del Venturi; ma chi abbia anche poca conoscenza della polemica di Galileo col Capra, e abbia letto qualcuna delle postille che il Nostro appose ad altri libri de' suoi avversari, non può non riconoscere in queste lo stesso spirito e lo stesso sapore, nè restare punto in dubbio sull'autor loro. Per la qual cosa noi crediamo che dalla copia su cui le aveva segnate Galileo, e che andò perduta, le abbia il suo discepolo trasportate su questa, giunta fino a noi: a quel modo che, come già abbiamo avuto occasione di vedere, il Viviani trascrisse sopra una copia dei libri De sphaera et cylindro di Archimede le postille galileiane, che gli erano state mandate da Vincenzio Santini.

Abbiamo riprodotto la scrittura del Capra esattamente in modo conforme alla edizione originale, soltanto correggendo alcuni errori di stampa, che avrebbero reso oscuro il senso, aggiungendo qualche accento, e rare volte ritoccando, in servigio della chiarezza, la punteggiatura: chè sarebbe stata male spesa ogni altra fatica in emendare l'opera di costui. Conforme poi alle norme che ci proponemmo di osservare in tutta l'edizione, abbiamo pubblicato le postille a piè dei luoghi della Considerazione a cui si riferiscono, usando del corpo di carattere che è riservato alle cose di Galileo: e indicammo, come faremo sempre in casi simili, col carattere spazieggiato i luoghi dell'opera del Capra, a cui le postille si riferiscono, e che nel citato esemplare il Viviani sottosegnò, conformandosi certamente all'esemplare che aveva dinanzi, postillato da Galileo.

Fra le diverse pubblicazioni, alle quali porse motivo ed argomento nel 1605 la singolare apparizione della Stella, dobbiamo poi notare il Discorso intorno alla nuova stella di Antonio Lorenzini da Montepulciano, imperocchè esso diede occasione ad una scrittura stesa in lingua pavana e sotto forma di dialogo, la quale in questa nostra edizione comparisce per la prima volta insieme con le Opere di Galileo. Senza entrare qui in una minuta analisi del Dialogo che, come scrittura d'un Cecco de' Ronchitti da Brugine, fu stampato a Padova circa sei settimane dopo la pubblicazione del Discorso, e riprodotto poscia a Verona, noteremo che in bocca ad uno dei due interlocutori sono posti concetti tutti galileiani; anzi può dirsi che quelle idee, le quali sappiamo d'altra parte essersi Galileo formate intorno alla nuova Stella ed alle questioni alle quali diede origine, vi sono esposte tutte, almeno per quanto ne porgevano occasione le opposizioni al Discorso del Lorenzini.

Quando il Dialogo fu pubblicato, corse voce ch'esso fosse di Galileo; e di questa voce noi troviamo un eco nel suo carteggio: ma diligenti indagini, istituite a tale proposito, hanno mostrato come sotto lo pseudonimo di Cecco de' Ronchitti si nasconda un monaco benedettino, per nome B. Giacomo Spinelli, se non discepolo, nello stretto senso della parola, certamente familiare del Nostro, e che anco nella polemica col Capra si levò in difesa di lui. Secondo il nostro avviso, che è pur quello di valentissimi cultori degli studi galileiani, Cecco de' Ronchitti è una maschera che in realtà nasconde non uno, ma due scrittori, cioè uno scienziato ed un letterato. Lo scienziato, Galileo, fornì gli argomenti e forse anche molti squarci del Dialogo; lo Spinelli, padovano, l'avrà steso nella lingua pavana: ma non si esclude però che nella stesura, o nella traduzione, una certa parte possa averla avuta Galileo stesso, il quale del dialetto rustico padovano era conoscitore e appassionato cultore.

Nella riproduzione del Dialogo, avuto riguardo all'importanza che può avere tale monumento per gli studi linguistici, ci siamo imposti una fedeltà anche del solito più grande alla fonte da noi usata, che fu l'edizione di Padova. Abbiamo perciò soltanto introdotto quelle leggiere modificazioni, più che altro materiali, che, senza portare alcuna alterazione sostanziale, potevano rendere agevole la lettura: come la distinzione dell'u dal v; l'aggiunta di qualche accento; la mutazione di che'l, se'l, su'l, ecc. in che 'l, se 'l, su 'l, ecc.; di cha, unito alle forme verbali di prima persona, e, poche volte, di el, in ch' a, e 'l; e qualche lieve e necessario ritocco della punteggiatura. Del resto, e rispettammo incostanze di grafie, e l'abuso di accenti che non avrebbero alcuna ragione di essere, e la punteggiatura non sempre razionale, e la lettera minuscola dopo il punto; chè l'introdurre modificazioni più forti, mentre non avrebbe giovato a chi non abbia cognizione del pavano, sarebbe stato partito di cui forse neppure i cultori delle scienze linguistiche ci sarebbero stati grati. A pie' di pagina registrammo le varianti che risultavano dal confronto con l'edizione di Verona, la quale differisce da quella di Padova non solo per leggiere mutazioni di carattere fonetico e grafico e per alcuni errori di stampa, ma anche, in alcuni luoghi, per notevoli aggiunte o modificazioni che risguardano il senso. Come poi il pavano è divenuto oggi quasi completamente sconosciuto nello stesso contado padovano, abbiamo stimato opportuno di rendere il Dialogo intelligibile a tutti con porre di fronte al testo una traduzione italiana, la quale ci siamo sforzati di rendere, per quanto fu possibile, rispondente all'originale. Infine, abbiamo riprodotto nelle note quei luoghi del Discorso del Lorenzini che sono maggiormente necessari per la piena intelligenza delle opposizioni contenute nel Dialogo; chè ripubblicare lo sconclusionato Discorso per intero, sarebbe stato soverchio.

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