DELLE COSE CHE STANNO IN SU L'ACQUA O CHE IN QUELLA SI MUOVONO

AVVERTIMENTO.

______

Il Granduca Cosimo II, uno dei coronati discepoli di Galileo, usava spesso radunare intorno a sè i più valenti uomini che con la intelligente sua protezione aveva o trattenuti in patria o richiamati, e da loro voleva essere informato delle varie questioni che si agitavano fra gli studiosi; talora proponeva egli medesimo argomenti nuovi alle discussioni, e non di rado anche vi prendeva parte: e di questa sua abitudine talmente si compiaceva, che ogni qual volta ospitava illustri personaggi di passaggio per Firenze, nessuna maggior cortesia credeva di poter loro usare, che quella di farli assistere a siffatti dotti congressi.

Nell'estate dell'anno 1611 essendo pertanto sorta questione intorno ai fenomeni della condensazione e rarefazione tra Galileo e taluni suoi amici e discepoli da una parte, e dall'altra alcuni sostenitori delle dottrine aristoteliche, capitanati da Lodovico delle Colombe, antico avversario del Nostro, ed essendosi da questi ultimi sostenuto, il condensare esser proprietà del freddo, prese Galileo a dimostrare che il ghiaccio è piuttosto acqua rarefatta che condensata. Opposero allora i contradittori che il galleggiare del ghiaccio non dipendeva da aumento di mole e diminuzione di gravità, ma dal fatto che la figura più larga e piana era causa che, non potendo fender la resistenza dell'acqua, non ai sommergesse: e così la discussione allargandosi si portò sulla tesi generale sostenuta da Galileo, che non la figura, ma sì bene la maggiore o minor gravità rispetto all'acqua è cagione di stare a galla o in fondo, e che perciò tutti i corpi più gravi dell'acqua, di qualunque figura siano, indifferentemente vanno al fondo, e i più leggieri, pur di qualsivoglia figura, stanno indifferentemente a galla.

Passarono intorno a tale questione alcune private scritture, proponendosi anche dalle due parti diverse esperienze in appoggio delle dottrine sostenute. Intanto nel settembre 1611 avendo il Granduca convitato alla sua tavola il Cardinale Maffeo Barberini, che fu poi Papa Urbano VIII, ed il Cardinale Ferdinando Gonzaga, che si trovavano per alcuni giorni a Firenze, volle che in presenza dei due porporati Galileo riferisse intorno alla detta controversia, nella quale il Barberini si schierò dalla parte del Nostro, mentre il Gonzaga sostenne la parte contraria. E poichè il Granduca stesso inclinava a riconoscere giuste le ragioni addotte dal suo Matematico, gli ordinò di stendere in proposito un Discorso, che Galileo diede alla luce alla fine del maggio 1612, e, prima che quest'anno fosse finito, ripubblicò, esaurita la prima edizione, in una seconda con alcune aggiunte.

Contro le conchiusioni sostenute e le esperienze addotte da Galileo in questa scrittura, nella quale venivano battute in breccia le dottrine peripatetiche, si levò per il primo Arturo d'Elci, Provveditore dello Studio di Pisa, il quale, sotto il nome di Accademico Incognito, pubblicò nell'estate del 1612 alcune Considerazioni sopra il Discorso di Galileo e a difesa e dichiarazione della opinione di Aristotile. Queste, a quanto pare, prima della stampa erano state diffuse tra gli studiosi con veste latina; ed essendone venuto a cognizione Tolomeo Nozzolini, lettore dello Studio di Pisa, da esse e dal trattato di Galileo prendeva occasione per una sua lettera dei 22 settembre 1612 a Mons. Marzimedici, Arcivescovo di Firenze, nella quale, assentendo in molti punti alle opinioni di Galileo, promoveva con urbanità alcuni dubbi. Galileo sentì leggere copia di tale lettera, e rispose con una sua del gennaio 1613, indirizzata al Nozzolini stesso; la quale però, come quella del Nozzolini, rimase per allora inedita. Intanto, e sempre sullo scorcio del 1612, Giorgio Coresio, lettore di Lingua Greca nello Studio Pisano, e Lodovico delle Colombe entravano anch'essi in campo, ciascuno con un opuscolo e con la pretesa di impugnare e scalzare le conchiusioni galileiane; e nel successivo anno 1613 Vincenzio di Grazia dava alle stampe, col medesimo intendimento, certe sue Considerazioni .

Galileo pensò subito a ribattere queste scritture, nelle quali la sua dottrina veniva non meno vanamente che violentemente attaccata; ma poichè gli amici suoi ne lo dissuadevano, facendogli riflettere che il voler correggere cose tanto piene d'ignoranza sarebbe stato un tenerne maggior conto del dovere, o gli consigliavano di «far rispondere a qualche giovane o al meno sotto tal nome», così egli si rivolse al suo prediletto discepolo, Don Benedetto Castelli, che per commissione di Galileo raccolse gli errori più notabili dell'opuscolo di Giorgio Coresio: e già si pensava a pubblicare questo scritto del Castelli, ed aveva anzi ottenuto alcune delle necessarie licenze di stampa, quando, essendo sopravvenuti al Coresio «nuovi accidenti», per i quali «per avventura era costretto a stare occupato in altri pensieri», si credette meglio desistere. Egualmente all'altro ch'era «uscito fuori con la maschera al viso», cioè ad Arturo d'Elci, non fu data per le stampe alcuna risposta, perchè avendo egli «per altra strada potuto conoscere il vero» (cioè a dire, che in quel frattempo era morto), «poca cura doveva prendersi di sì fatte cose». Restavano Lodovico delle Colombe e Vincenzio di Grazia, contro a' quali fu diretta una voluminosa Risposta, che uscì alla luce nel 1615, senza nome d'autore nel frontespizio, e preceduta da una dedicatoria dov'è firmato Don Benedetto Castelli.

Questa, brevemente riassunta, è la storia della controversia, a cui si riferisce il presente volume: nel quale, insieme con gli scritti di Galileo, dovemmo raccogliere, sebbene indegnissime, le contradizioni degli avversari che per l'intelligenza di quelli sono strettamente necessarie. Fedeli al nostro istituto, di seguire nella disposizione l'ordine cronologico, cominciammo con Diversi fragmenti attenenti al trattato delle cose che stanno su l'acqua (come a Galileo stesso piacque di chiamarli, che finora erano inediti e si leggono nel T. XIII della P. II dei Manoscritti Galileiani conservati nella Biblioteca Nazionale di Firenze; e precisamente con quelli di tali frammenti, che per il loro contenuto ci sembrarono appartenere al periodo, quasi diremmo, preliminare della disputa, preceduto alla stampa del Discorso di Galileo, e con quelli altresì che a questi primi sono sì intimamente legati nel manoscritto, per la reciproca disposizione, da non poter essere con verisimiglianza attribuiti ad altro tempo. Con tali criteri ponemmo nelle prime pagine ciò che si legge a car. 20 r. – 21 t. (pag. 18 - pag. 24, lin. 18), car. 24 r. - 25 r. (pag. 24, lin. 19 - pag. 26, lin. 19), car. 27 t. - 28 r. (pag. 26, lin. 20 - pag. 28, lin. 8), parte della car. 28 t. (pag. 28, lin. 9-16), car. 39 t. (pag. 28, lin. 17 - pag. 29): dei quali frammenti, taluni ci parvero quasi appunti che Galileo fermasse sulla carta mentre si preparava alla disputa orale con gli oppositori. Seguono quei brani che ci furono conservati d'una stesura del Discorso, la quale dovette precedere quella che fu pubblicata, e da essa differisce talora notabilmente: ma mentre questi brani nel manoscritto furono messi insieme quasi senza una regola, noi li disponemmo con l'ordine che ci fu suggerito dal posto che i luoghi corrispondenti occupano nel testo a stampa del Discorso. Perciò le carte del manoscritto furono riprodotte con tale successione: car. 4 r. – 7 t. (pag. 30 - pag. 38, lin. 1), car. 11 (pag. 38, lin. 6 - pag. 39, lin. 13), car. 23 (pag. 39, lin. 18 - pag. 41, lin. 26), car. 10 (pag. 42, lin. 2 - pag. 43, lin. 21), car. 8 e un tratto della car. 9 r., che ora è coperto da un cartellino (pag. 43, lin. 26 - pag. 46, lin. l), car. 9 (pag. 46, lin. 6 pag. 49, lin. 12), car. 12 r. – 13 t. (pag. 49, lin. 17 - pag. 51, lin. 26). Vengono appresso (pag. 52, lin. 1-15) alcuni pensieri che si leggono sui margini della car. 4 r., e, da ultimo, alcuni teoremi con le loro dimostrazioni, che occupano le car. 15 r. (pag. 52, lin. 16 - pag. 53), 18 r. (pag. 54, lin. 1-21), 16 r. (pag. 54, lin. 22 - pag. 55, lin. 27), 39 r. (pag. 55, lin. 28 - pag. 56), e i più ritornano, però con differenze, nel Discorso. È quasi superfluo soggiungere che pubblicando tali Fragmenti dall'autografo, seguimmo le norme altre volte indicate per i casi consimili.

Dopo i Fragmenti viene il Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si muovono. Lo riproducemmo dalla seconda edizione (ma anche della prima fu dato in facsimile il frontespizio), e, attenendoci a ciò che in questa fu fatto, distinguemmo le aggiunte con carattere diverso. La seconda impressione fu seguita altresì in certe quasi insignificanti diversità di lezione, per cui si allontana, ma ben di rado, dalla prima; con l'aiuto poi di questa abbiamo emendato gli errori manifesti della seconda, che, soprattutto verso la fine, è men corretta: anzi nelle ultime pagine ci è accaduto di accettare la lezione della prima anche in qualche particolare in cui la varietà della seconda, senza potersi dire insostenibile, pure, in mezzo alle numerose mende di stampa, sembrava da ascriversi a trascuratezza del tipografo piuttosto che a deliberata intenzione dell'Autore.

Al Discorso di Galileo tengono dietro le Considerazioni sopra di esso, dell'Accademico Incognito; le quali dovemmo riprodurre, perchè un esemplare di tale opuscolo, che ora forma il T. XV della Par. II dei Manoscritti Galileiani, fu minutamente postillato di proprio pugno da Galileo. Altre postille, e pure di mano del Nostro, si leggono su' margini di certi estratti delle Considerazioni che occupano le car. 174b r. –185 t. del T. XIV della Par. II: e sì le une che le altre pubblicammo, ordinandole in un'unica serie, appiè del testo delle Considerazioni, attenendoci in ogni cosa alle norme convenute per questi casi. Tali postille, che rappresentano gli appunti fatti da Galileo mentre leggeva le Considerazioni, dimostrano chiaramente la intenzione in lui di rispondere: e della risposta divisata abbiamo anche dei frammenti autografi nelle car. 186-191 del citato T. XIV, che noi pubblicammo a pag. 185-194, lin. 24. Abbiamo posto da ultimo alcuni pensieri che Galileo disseminò su' margini delle carte contenenti questi frammenti di risposta (pag. 194, lin. 25 - pag. 196, lin. 9), e su due carte di guardia dell'esemplare delle Considerazioni postillato (pag. 196, lin. 10-15).

Tanto nelle Considerazioni dell'Incognito, quanto nei frammenti di risposta di Galileo e nelle altre scritture comprese in questo volume, occorrono non di rado citazioni, fatte per faccia e verso, dell'edizioni originali o del Discorso o delle Considerazioni stesse o di altre opere: alle quali citazioni giudicammo necessario soggiungere le indicazioni (e le ponemmo tra parentesi quadre e in carattere più piccolo) delle pagine e linee corrispondenti nella nostra ristampa.

Segue alle Considerazioni dell'Accademico Incognito l'Operetta intorno al galleggiare de' corpi solidi di Giorgio Coresio. Quanto a questa, come all'altre infelicissime scritture di Lodovico delle Colombe e di Vincenzio di Grazia, nelle quali i periodi senza senso, nonchè senza sintassi, sono pur troppo frequenti, le forme grafiche strane s'incontrano numerosissime, e confusioni ed errori d'ogni maniera sono in ogni pagina, quanto a queste scritture vogliamo ben avvertire che credemmo nostro ufficio correggere soltanto quegli errori che ci parvero dei tipografi, ma rispettammo, sebbene talora sarebbe stato facile emendare, quei più che a nostro giudizio sono da ascrivere agli autori; perchè non era lecito togliere a tali parti malnati quel carattere per cui meritarono, anche sotto il rispetto della forma, sì fiere censure da Galileo; anzi il correggere troppo (come piacque a qualche moderno editore) sarebbe stato un far parere bugiarde le critiche del Nostro. Confessiamo altresì che non di rado siamo rimasti incerti se qualche sgorbio fosse dovuto al tipografo o all'ignorante contradittore di Galileo; e non vogliamo guarentire nè d'aver sempre corretto dove era opportuno correggere, nè d'aver sempre conservato ciò che si sarebbe dovuto conservare. Una cura poi della quale non mancammo verso questi opuscoli, fu di renderli un po' meno illeggibili mediante una razionale punteggiatura: e se mai qualche lettore prenderà a confrontare la presente edizione con le originali, riconoscerà quale improba fatica fu la nostra, per cui que' corpi deformi, senza aver mutato natura, sono resi tuttavia quasi irriconoscibili.

All'Operetta del Coresio soggiungemmo gli Errori della medesima raccolti da Don Benedetto Castelli, che si trovano autografi nel T. XVI (car. 7-54) della Par. II dei Manoscritti Galileiani, e che prima d'ora erano inediti. Noi li abbiamo dati alla luce a cagione delle correzioni ed aggiunte che Galileo vi fece di suo pugno, e altresì perchè se non fossero sopravvenuti al Coresio quei «nuovi accidenti» a cui accennavamo più sopra, per fermo Galileo non avrebbe tralasciato di pubblicarli. Nello stampare questa scrittura credemmo opportuno di presentarla al lettore quale effettivamente uscì dalla penna del Castelli, e come si può ricostruire trascurando per un momento le cancellature e correzioni dovute non soltanto a Galileo, ma anche ad un terzo, contemporaneo, del quale ci sfuggì il nome, e che spesso ridusse a forma toscana le forme dialettali del Castelli, talora cercò di temperare le violente espressioni di questo contro il Coresio, e qualche volta introdusse modificazioni anche più sostanziali. Il testo, pertanto, della nostra edizione rappresenta la forma definitiva che il Castelli aveva dato all'opera sua; e diciamo definitiva, perchè non abbiamo tenuto conto per solito dei pentimenti e cancellature che sono senza dubbio del Castelli stesso: appiè del testo ponemmo le correzioni ed aggiunte di Galileo, nel corpo di carattere che compete alle cose di lui e numerandole progressivamente; e quando fu necessario per la chiarezza, abbiamo fatto precedere, e talora precedere e seguire, la correzione di Galileo dalle parole del Castelli in mezzo alle quali viene a cadere: quindi, in un carattere minore anche di quello del testo, stampammo le correzioni e rendemmo conto delle soppressioni che nel dettato del Castelli, e, più di rado, nelle aggiunte di Galileo, introdusse il terzo: e da ultimo, se ce ne fu bisogno, registrammo a parte, e con un corpo ancora diverso, i materiali errori di penna, le cancellature ecc., che cadono nei tratti scritti di proprio pugno da Galileo. In calce poi all'opera del Castelli abbiamo collocato (pag. 285, lin. 10-21) un breve tratto che nel codice è di mano di Galileo, e contiene l'appunto d'un pensiero ch'egli intendeva porre nella dedicatoria dell'opera stessa; e quindi (pag. 286) riproducemmo dall'originale le licenze di stampa, delle quali, come giò si è accennato, il manoscritto è provvisto.

Agli Errori tengono dietro le lettere di Tolomeo Nozzolini a Mons. Marzimedici e di Galileo al Nozzolini. La prima fu desunta dalla copia di mano di Galileo, che si legge a car. 54-55 del T. XIII della Par. II dei Manoscritti Galileiani; la seconda, dalla bozza originale a car. 56-60 del medesimo tomo. Questa bozza è scritta da principio, e fino alle parole «che si versa» (pag. 308, lin. 10), da un amanuense, della cui mano Galileo dovette servirsi, essendo, com'egli stesso racconta al Nozzolini, a letto ammalato; nel resto è di pugno di Galileo stesso: ma anche nella parte che è di carattere dell'amanuense sono frequenti le correzioni ed aggiunte autografe di Galileo. La sigla G nella annotazione appiè di pagina indica appunto che le parole del testo a cui è apposta sono di pugno del Nostro: di volta in volta è poi indicato se si tratta di aggiunta o di correzione, e in quest'ultimo caso è altresì fatta conoscere la lezione che Galileo aveva dettato all'amanuense. Insieme con queste aggiunte e correzioni sono notati appiè di pagina gli errori materiali di penna, ma soltanto quando sono ne' tratti autografi di Galileo; e questi non hanno sigla alcuna: ed altresì è tenuto conto, ne' modi seguiti altre volte, e pur senza sigla, delle cancellature che, sia dove Galileo detta sia dove scrive, mostrano com'egli andava atteggiando e modificando il suo pensiero prima che prendesse la forma definitiva. Dobbiamo infine avvertire che in tre luoghi di questa bozza, da noi indicati appiè di pagina (pag. 299, lin. 31; pag. 307, lin. 1 e 31), ricorre una terza mano, più tarda, e che abbiamo espulso dal testo le correzioni ed aggiunte ad essa dovute; persuasi a ciò anche dal trovare come in una copia della lettera, che noi chiamiamo con la sigla B e che si legge mutila (giunge fino alle parole «ella già mai», a pag. 300, lin. 12) nel T. VI della Par. VI, a car. 108 r. – 109 t., manca la prima di tali aggiunte, cioè la sola che in quel frammento potesse cadere.

L'ultima parte del volume è occupata dal Discorso Apologetico di Lodovico delle Colombe d'intorno al Discorso di Galileo, dalle Considerazioni sopra il medesimo di Vincenzio di Grazia, e dalla Risposta a questi oppositori. Come siano state ristampate quelle due prime scritture, l'abbiamo già detto: ci resta a parlare della Risposta, e anzitutto di alcuni Frammenti ad essa attenenti, dai quali l'abbiam fatta precedere. Al pari degli altri frammenti con cui comincia il presente volume, si trovano anco questi per la maggior parte nel T. XIII (car. 34-35 = pag. 444, lin. 12 - pag. 446, lin. 5; parte della car. 28 t. = pag. 446, lin. 6-14; car. 38 = pag. 446, lin. 15-31; car. 26 = pag. 447); ma ve ne sono sparsi anche nel T. XIV (car. 164 b = pag. 443 - pag. 444, lin. 2) e nel XV (car. 4 t. - pag. 444, lin. 3-11); tutti sono di mano di Galileo, e i più inediti: e noi li abbiamo raccolti qui, perchè alcuni fanno espressa menzione delle scritture del Coresio, del Colombe, del Grazia, e dimostrano Galileo incerto se debba o no rispondere, oppure contengono pensieri che ritornano poi nella Risposta; ed altri sono con questi primi intimamente connessi nel manoscritto.

La Risposta ci è stata conservata non solo dall'edizione originale, ma anche da un manoscritto, che occupa quasi per intero (car. 4-164a) il già citato T. XIV. Questo manoscritto ci mette in grado di risolvere con sicurezza il quesito, chi sia l'autore della Risposta. Da principio, infatti, il codice è di mano di Benedetto Castelli; ma l'opera del discepolo passò tutta sotto gli occhi del Maestro, che vi introdusse minute correzioni quasi ad ogni linea, ed aggiunte anche di più pagine, o talora sostituì lunghissimi tratti a' corrispondenti del Castelli: a partire da un certo punto, e precisamente dalla pag. 599, lin. 24, Galileo continuò e compì il lavoro tutto da sè. Anche tenendo conto delle correzioni ed aggiunte di Galileo, il manoscritto offre poi, specialmente in principio, numerose differenze dalla stampa. In tale condizion di cose, come dovevamo noi condurre la nostra edizione? Era nostro dovere riprodurre fedelmente la stampa, come quella che rappresenta l'espressione definitiva del pensiero di Galileo: d'altra parte ci eravamo proposti di sceverare ciò che è dovuto al Castelli da quello che è di Galileo, ponendo in mano al lettore il mezzo di poter dire: Questa parola fu scritta dall'uno, questa dall'altro. Per ottener ciò, abbiamo ricorso alla diversità de' corpi di carattere: cioè abbiamo ristampato con tutta esattezza il testo dell'edizione originale; ma, riscontrandolo minutamente col codice, ogni parola che in questo è di mano di Galileo, fu composta nel carattere maggiore, riserbato agli scritti suoi, e ogni parola che è di mano del Castelli in un carattere minore. Se non che due altri casi ci si presentavano, quando l'edizione originale s'allontana dal manoscritto: v'hanno infatti luoghi dove la stampa sostituisce altra lezione a quella del codice, e v'hanno luoghi che la stampa aggiunge. Sia le sostituzioni, sia le aggiunte, è verisimile provengano da Galileo (poichè noi crediamo che dal momento in cui il Castelli consegnava a Galileo la parte che aveva composto e ne lo lasciava arbitro, egli non abbia più rimesso la mano nell'opera, e la stampa sia stata condotta soltanto da Galileo): perciò così le une come le altre abbiamo stampato in carattere maggiore, ma distinguendo i luoghi sostituiti col sottolinearli parola a parola, e i luoghi aggiunti col racchiuderli tra segni di freccia; con quest'avvertenza, che la freccia con la punta in su indica dove il passo comincia, e quella con la punta in giù dove finisce. Con ogni più desiderabile precisione applicammo cosiffatti segni a que' passi in cui s'alternano nel codice le due mani: in quelle parti invece dove s'incontra la sola mano di Galileo (e quindi in tutto ciò che vien dopo la pag. 599, lin. 24), anco se la stampa sostituisce un'altra lezione a quella del manoscritto, ci parve superfluo indicarlo, essendo ancor meno probabile che la sostituzione sia dovuta al Castelli; e se la stampa aggiunge, lo facemmo conoscere soltanto quando l'aggiunta sia notevole per il contenuto. Da ultimo, alcuni brani della stampa (cioè la pag. 453; pag. 521, lin. 13 - pag. 536, lin. 25; dalla parola necessaria, a pag. 581, lin. 8, fino a tutta la lin. 13; pag. 584, lin. 10, fino alla parola esser, a lin. 13) non si trovano nel manoscritto, perchè manca a' posti corrispondenti qualche carta: venendoci meno, pertanto, ogni criterio per decidere chi ne possa esser l'autore, li abbiamo composti in un terzo carattere, che dimezza per grandezza tra gli altri due.

Con queste cure abbiamo distinto minutamente la parte di Galileo da quella del Castelli: ma siamo rimasti incerti un pezzo se fosse da render conto anche d'altre cose. Per fermo, in tutto ciò che precede la pag. 599, cioè dove il sustrato dell'opera, a così esprimerci, è del Castelli, ogni volta che il carattere maggiore indica la mano di Galileo, il lettore potrebbe aver desiderio di sapere se Galileo ha aggiunto ovvero sostituito al dettato del Castelli, e, se mai, che cosa il Castelli aveva scritto prima: è vero altresì che le lineette sotto le parole destano la curiosità di conoscere qual lezione, e di qual mano, abbia il codice in quel passo: e già abbiamo, inoltre, confessato che in buona parte dell'opera, non che far conoscere le varietà tra il nostro testo e il manoscritto, neppure rendiamo avvertito il lettore che esista varietà. Ma deliberatamente e per più ragioni abbiamo lasciato di tener nota di tutto ciò. Anzitutto ci parve quasi impossibile informare appieno il lettore dei rapporti fra stampa e manoscritto con mezzi che non fossero per occupare molto spazio; e ne resterà persuaso chiunque prenderà ad esaminare le pag. 455-465, lin. 18, nelle quali, anche per dare un saggio allo studioso, abbiamo collocato in corsivo nella parte superiore il testo della stampa, e nella inferiore, pur in corsivo, quello del manoscritto di pugno del Castelli, indicando in carattere tondo ciò che del Castelli fu cancellato, ma non da lui, e chiudendo tra parentesi quadre ciò che o da Galileo o da altri (e la diversità del corpo di carattere, sempre corsivo, ma più grande o più piccolo, distingue le due mani) fu sostituito od aggiunto. Ma non soltanto si sarebbe dovuto aumentare di soverchio la mole del volume: che sarebbe stato d'uopo altresì rendere ancora più complicato il sistema dei segni tipografici, e ciò senza dubbio avrebbe recato danno alla chiarezza; e, soprattutto, questi inconvenienti non sarebbero stati compensati da un vantaggio reale; poichè possiamo assicurare che in quanto abbiamo omesso non v'ha molto di interessante.

Dobbiamo infatti soggiungere che quando una variante, la quale provenisse dai tratti di mano di Galileo, ci parve notevole, l'abbiamo registrata appiè di pagina, e quivi abbiamo raccolto anche alcune aggiunte osservabili che, pur di mano di Galileo, il manoscritto fa alla stampa. Con l'aiuto del manoscritto fu corretto buon numero di errori o di men buone lezioni della stampa, che avevano ingannato tutti i precedenti editori, perchè talora si prestano più o meno al senso, ma, a nostro avviso, debbono la loro prima origine all'incuria o dell'amanuense da cui Galileo fece trascrivere l'opera per mandarla in stamperia, o del tipografo, e poscia o sfuggirono del tutto allo stesso autore, nella fretta con cui rivide le bozze per dar fuori al più presto la sua scrittura polemica, oppure furono da lui leggermente ritoccate, senza che egli ritornasse a ciò che aveva scritto nel codice e che realmente rappresenta la sua intenzione: e che sia così, come pure quanto l'opera di Galileo abbia guadagnato da tali emendazioni, lo potrà giudicare di per sè lo studioso, perchè della lezione della stampa abbiam tenuto conto spessissimo in note a' singoli passi. Dal manoscritto abbiamo eziandio raccolto nelle note quei brani di maggiore importanza che si leggono cancellati. Ora, quando a tutto questo s'aggiunga che nella nostra edizione la Risposta rivede la luce, restituita per la prima volta alla sua forma originale, la quale a poco a poco nel passaggio dall'una all'altra ristampa era stata gravemente alterata; e che per la prima volta è distinta con precisione e con sicurezza la parte di Galileo da quella del discepolo; noi nutriamo fiducia che, se alcuno ci accuserà di non aver fatto abbastanza, e qualche altro forse d'aver fatto troppo, i più riconosceranno che, in un caso estremamente difficile e laborioso, non ci è venuta meno la diligenza e la buona volontà.

Share on Twitter Share on Facebook