Avvertimento.

La presente scrittura di Galileo, quantunque stesa sotto forma di lettera al suo amico e maestro Iacopo Mazzoni, ha del documento epistolare soltanto la forma, e perciò le abbiamo assegnato il posto che essa viene ad occupare tra le cose di Galileo secondo l'esatto ordine cronologico.

Questa lettera, fatta correre dal Nostro manoscritta per le mani dei più intimi amici suoi, ricevette assai scarsa diffusione; ed è contraria al vero una indiretta indicazione di Paolo Gualdo, per la quale potrebbe credersi che fin d'allora fosse data alle stampe. Neppur di essa è giunto sino a noi l'autografo, ed i due soli esemplari sincroni a noi noti sono i seguenti:

a = Bibl. Ambrosiana di Milano, cod. S. 81 Sup., car. 97-100, numerate originalmente 1-4.

v = Bibl. Palatina di Vienna, cod. 6249, car. 107-109.

Due copie di a sono, quella contenuta nel T. I. della Par. IV dei Mss. Galileiani, e quella di mano del cardinale Angelo Mai, nel cod. Vaticano 9556. E su questo medesimo codice a fu condotta pure la prima edizione, dovuta a G. B. Venturi.

L'esemplare ambrosiano, proveniente dalla biblioteca del Pinelli e perciò indubbiamente anteriore al 1601, anno della morte di lui, porta alcune correzioni di gravi errori dell'amanuense, nelle quali, con grande probabilità, è da riconoscere la mano di Galileo. Il codice v è mutilo degli ultimi periodi, dalle parole «in parti eguali al senso» della pag. 202, lin. 13-14, in giù: presenta poi parecchie diversità di lezione in confronto del testo ambrosiano, delle quali alcune sembrerebbero accusare un copista trascurato e poco fedele; laddove altre potrebbero anche lasciare il dubbio che rappresentino mutazioni e aggiunte introdotte dall'Autore. Ci parve, ad ogni modo, miglior partito, riprodurre nel testo la lezione, più corretta, di a, indicando nelle varianti le più notabili differenze di v.

Molto Illustre ed Eccellentissimo Signor mio, È comparso qua in Padova il libro di V. S. Eccellentissima De comparatione Aristotelis et Platonis, il quale, per esser novissimo, non ha ancora sparso di sè quel grido ed applauso universale, che son sicuro che spargerà, come prima sia stato letto, inteso e considerato dalli studiosi di questa città. Ma a me, come quello che per gl'infiniti oblighi che ho a V. S. Eccellentissima, e per l'immensa sua bontà, e per la particolare affezione che so che mi porta, la reverisco ed osservo, si è già fatto palese; e mi ha fatto partecipe, se non di tutte le sue bellezze, almeno di quelle che il mio basso ingegno ha potuto sin qui capire, lasciandomi ancora in speranza di poter, di giorno in giorno, scoprirne dell'altre. Ed oltre alla universale dottrina, della quale esso è ripieno, e per la quale è per esser apprezzato ed ammirato da ogn'uno, ha egli a me in particolare arrecata grandissima sodisfazione e consolazione, nel vedere V. S. Eccellentissima, in alcune di quelle questioni che ne i primi anni della nostra amicizia disputavamo con tanta giocondità insieme, inclinare in quella parte, che da me era stimata vera ed il contrario da lei; forse per dar campo a i discorsi, o pur per mostrare il suo felice ingegno, potente anco a sostenere, quando li piacesse, il falso, o sì per salvare incorrotta, anzi intatta in ogni minima particella, la sincerità della dottrina di quel gran Maestro, sotto la cui disciplina pare che militino, e che così far debbano, quelli che si danno ad investigare il vero. Nè di minor contento mi è stato il vedere (per quanto dalla sua dedicatoria ho potuto comprendere), che si sia alleggerita da quei suoi tanti e sì gravi travagli, che non pur lei, ma tutti li suoi amici e servitori, hanno lungo tempo tenuti oppressi. Sotto la qual credenza, ho voluto pigliare la penna, e venire dell'una cosa e dell'altra unitamente a rallegrarmi seco, ed a ripormeli nella memoria, di dove forse da altre cure più gravi ero stato rimosso. Io vivo adunque, ed al solito la reverisco, l'ammiro, e li sono servitore, e ricordevole dei tanti e tanti beneficii che da lei ho ricevuti; dei quali vorrei pure, ma non so in che modo, mostrarmeli grato, non mi si porgendo altra occasione di poterla servire, fuori che con la prontezza dell'animo.

Ma tornando (per non finir così presto il contento, che ho, di ragionar con lei) alla conformazione delle sue opinioni con quelle ch'io stimo esser vere, ancorchè diverse dal commune parere, io confesso di tenermene buono, e di stimar più il mio giudizio che prima non facevo, quando non credevo aver sì forte compagno. Ma, per dir la verità, quanto nelle altre conclusioni restai baldanzoso, tanto rimasi, nel primo affronto, confuso e timido, vedendo V. S. Eccellentissima tanto resoluta e francamente impugnare la opinione de i Pitagorici e del Copernico circa il moto e sito della terra; la quale sendo da me stata tenuta per assai più probabile dell'altra di Aristotile e di Tolomeo, mi fece molto aprire l'orecchie alla ragione di V. S., come quello che circa questo capo, ed altri che da questo dependono, ho qualche umore. Però, credendo per la sua infinita amorevolezza di poterli, senza gravarla, dire quello che per difesa del mio pensiero mi è venuto in mente, lo accennerò a V. S., acciò che, o, conosciuto il mio errore, possa emendarmi e mutar pensiero, o, satisfacendo alla ragion di V. S. Eccellentissima, non resti ancora desolata la opinion di quei grand'uomini e mia credenza.

Parmi dunque che la dimostrazione di V. S. proceda così: che se fusse vero, che il ☉ fusse nel centro della sfera stellata, e non la terra, ma da esso lontana quanto è dal ☉, doveremmo nella mezza notte vedere assai meno della metà di detta sfera, sendo segata dal nostro orizonte non per il centro, e, per conseguenza, in parti diseguali, delle quali la minore in quel tempo sarebbe da noi veduta, rimanendo la maggiore, nella quale è il centro, sotto l'orizonte; ed il contrario avverria nel mezzo giorno: ma sendo la verità, che noi sempre veggiamo la metà di detta sfera, resta cosa impossibile esser la terra così dal centro lontana. Soggiunge poi, non esser di alcuno momento il dire col Copernico in sua difesa, tanta esser la vastità del firmamento, che in sua proporzione l'intervallo tra il ☉ e la terra sia incomprensibile, ed insufficiente a cagionare disegualità notabile nella divisione degli emisferii: il che conseguentemente dimostra V. S. Eccellentissima con l'esempio della illuminazione del monte Caucaso; poichè, per quanto ci accerta il testimonio di Aristotile, sendo la sua sommità per grande spazio di tempo prima percossa da i raggi del☉ che la radice, necessario argumento prendiamo, da detta sommità scoprirsi molti gradi oltre all'orizonte terminatore della metà della sfera; di maniera che, se la sola altezza del monte Caucaso può esser causa che l'orizonte divida la sfera in parti sensibilissimamente diseguali, molto più lo doveria fare, se per tanto intervallo, quanto è tra la terra ed il ☉, dal centro ci allontanassimo.

Questa, se bene l'ho compresa, è la dimostrazione di V. S. Eccellentissima: la quale non negherò che, quando prima fu da me vista, non mi movesse assaissimo, sì per esser sottilissima e bellissima, sì ancora per esser di V. S. E. E, perchè, come di sopra le ho detto, mi toccava (come diciamo) nel vivo, mi voltai a considerarla con grandissima attenzione: e, dopo un lungo discorso, cominciò a venirmi in pensiero, come potesse essere che, non essendo tutta la lontananza dal centro alla superficie della terra (posta l'opinione di Tolomeo) bastante a far che l'orizonte dividesse la sfera in parti sensibilmente diseguali, potesse poi la sola altezza del monte Caucaso, aggiunta al semidiametro della terra, fare che l'orizonte la sfera segasse in parti così notabilmente disguali. Il che m'indusse a pensare che, non la lontananza del vertice del monte dal centro della terra, ma più presto l'altezza di detto vertice sopra la superficie della terra, potesse esser della detta disgualità cagione: e questo perchè, quando abbiamo l'occhio nella superficie della terra, viene l'orizonte ad esser difinito per quella superficie piana che tocca il globo terrestre nel punto dove è l'occhio; ma se l'occhio sarà dalla superficie della terra elevato, come se sia nella sommità del monte Caucaso, allora l'orizonte non resta più una superficie piana, ma più tosto una superficie conica, il cui angolo o vertice è nell'occhio. Come più apertamente si scorge dalla seguente figura, dove per il globo terrestre intendiamo il cerchio AI: quando l'occhio sarà nel punto A, sarà l'orizonte piano, secondo la linea BAC; ma quando metteremo l'occhio nel punto D, elevato dalla superficie della terra, sarà determinato l'orizonte secondo le due linee contingenti DEG, DFH, e sarà la superficie conica. Dalla qual figura possiamo comprender, come l'altezza del monte AD, per esser elevata sopra la superficie della terra, fa assai maggior diversità circa il dividere il cielo disegualmente, che non fa tutto il semidiametro AM; importando questo l'arco BK, e quella il BG.

Il che avendo io considerato, cominciai ad avvertire che gran differenza era tra il far discostare l'occhio, posto nella superficie della terra, con tutta la terra, del centro del cielo, e tra il fare alzare l'occhio sopra la superficie della terra; e che, per conseguenza, forse minor diversità, circa la disegualità delle più volte dette divisioni orizontali, potria cagionare la grandissima lontananza che è tra il ☉ e la terra, che la piccola altezza del monte Caucaso. Il che avendo poi più particolarmente ricercato, parmi (s'io non m'inganno) aver dimostrato, che il discostar l'occhio, con tutta la terra, dal centro del mondo, quanto è la distanza tra la terra ed il ☉, non faccia maggior diversità che il costituire l'occhio (lasciando la terra nel centro) sopra un monte alto non più di un miglio ed 1/7.

Il che acciò sia manifesto, piglieremo la seguente figura: nella quale il cerchio BFE ci rappresenti la sfera stellata, il cui centro C, ed intorno ad esso il globo terrestre IG; ed il punto L sia tanto lontano dal centro C, quanta è la distanza tra il e la terra; e congiungasi la linea ICL, a cui sia perpendiculare BLE, e ad essa parallela DIH, contingente la terra in I; e dal punto B sia tirata la linea BOA, che tocchi il cerchio IG in O, ed in A concorra con LI. È manifesto, della terra costituita nel centro C l'orizonte esser secondo la linea DIH: ma sendo nel punto L, sarà il suo orizonte (quando l'occhio sia nella superficie) BLE; il qual taglierà più dell'emisfero, quanto importano li archi DB, HE: ma se l'occhio sarà alzato dalla superficie della terra OI sino al punto A, scoprirà tutto l'arco BFE, non altrimente che se fusse nel punto L. Ecco, dunque, che tanto importa e s'acquista con l'alzare l'occhio dalla superficie della terra solamente per l'altezza AI, quanto importa il discostare la terra dal centro per tutta la linea CL. Veggiamo adesso quanta sia l'altezza AI, in comparazione del semidiametro della terra. E perchè, secondo la comune opinione, il semidiametro dell'orbe del ☉ contiene semidiametri della terra mille ducento sedici; e quello della sfera stellata ne contiene, pur secondo la commune, 45225; di quali parti la linea LC è 1216, di tali la CB sarà 45225, e BL (per esser l'angolo L retto) 45208. E perchè di tali la CO è 1, sarà la linea BO, dalla superficie della terra al firmamento, insensibilmente minore della BC, dal centro al firmamento. E perchè l'angolo BOC è retto, e sono del triangolo OBC i lati BO, BC insensibilmente disguali, sarà l'angolo OCB incomprensibilmente minor di un retto; e però l'angolo OBC è del tutto insensibile. E perchè l'angolo LCB è eguale alli due CBA, BAC, sendo l'angolo ABC come nullo, diremo l'angolo BAL esser eguale all'angolo BCL: ma il retto COA è eguale al retto L: adunque li due triangoli BCL, COA saranno simili: e come BL a BC, così sarà OC a CA, ciò è a CI; e, dividendo e convertendo, come BL a la differenza tra BC e BL, così sarà CI ad IA: ma LB è 45208, e detta differenza è 17, e, secondo la comune opinione, CI, semidiametro della terra, è 3035 miglia: adunque I A sarà miglia 1 1/7 in circa, cioè miglia 1 e passi 141.

Parmi, dunque, che da questo si concluda, che il porre la terra lontana dal centro del firmamento quanto è la distanza tra essa e il ☉, non possa far maggior differenza, circa il segar l'orizonte la sfera stellata disegualmente, di quello che farebbe l'inalzarsi (costituita la terra nel centro) dalla sua superficie un miglio ed 1/7. E se vorremo vedere quanto faccia scoprir più dell'emisferio l'alzarsi dalla superficie della terra miglia 1 1/7, troveremo con facile dimostrazione, ciò non passare g. 1.32' dall'una e dall'altra parte. E questa sarà la diversità, che in questo caso nasceria dal por la terra nel centro del firmamento, o il ☉; che nasceria, dico, quando l'ampiezza del firmamento fusse quanta si è supposto: ma essendo, come suppone il Copernico, grandemente maggiore, che maraviglia sarà se il nostro orizonte, tanto lontano dal centro quanto dal ☉, segherà il firmamento in parti eguali al senso? Ed aggiungesi a questo, che la diversità, che si è dimostrata nascere dall'alzarsi dalla superficie della terra miglia 1 1/7, e che è eguale a quella che fa il discostare la terra dal centro quanto dal ☉, e che si è dimostrata posto che la terra fusse nel centro, se la terra si metterà nel luogo del ☉, ci verrà data dall'un monte alto solamente un miglio: onde ne seguirà poi, la differenza de gli emisferii esser assai minore della già dimostrata di g. 1.32'.

Ma, per non infastidire più lungamente V. S. Eccellentissima, non voglio darli più lunga briga, ma solamente pregarla a dirmi liberamente, se li pare che in questa maniera si possa salvare il Copernico. Io sono stracco dallo scrivere, e lei dal leggere: però, tagliando tutte le lunghezze di cerimonie, farò fine col baciarli le mani e pregarla ad amarmi, come ha fatto sempre, ed a comandarmi. N. S. gli conceda felicità.

Di Padova, li 30 maggio 1597.

Di V. S. M.to Ill.re ed Ecc.ma

Ser.or Obbligatiss.o

Galileo Galiei

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