L’uomo nasce più grande in
questa terra ne sono
una prova i grandi delitti
che vi si commettono.
(Alfieri)
«Nacqui nella piccola città di S.... nello stato pontificio non lungi dalla frontiera napoletana. I miei genitori furono gente onesta, dediti alla pastorizia, al servizio del cardinale B. Di buon’ora, custodendo le mandre di vacche, di buffali, di pecore, quasi sempre a cavallo, io, forte di costituzione, come mi vedete ancora, divenni robustissimo e destro cavaliere.
Fino all’età di diciott’anni rimasi un vero figlio del deserto non conoscendo altro affetto, che quello del mio cavallo, del mio laccio e delle mie armi, con cui ero divenuto formidabile ai cervi ed ai cignali delle foreste romane. Appassionatissimo per la caccia, esercizio confacente alla mia natura, ero capace di passare delle notti intiere in agguato del cignale nelle paludi ove esso ama avvoltolarsi nel fango; conoscevo la posta del cervo e bene spesso tornavo a casa portando sulle spalle uno di quei superbi corridori.
Un giorno, avendo lasciato il mio cavallo a certa distanza, stavo nascosto nel bosco alla posta del cervo quando un rumore si fece udire sul sentiero che dietro di me conduceva al paese. Sulle prime pensai, potesse essere una belva e tenni pronta la mia carabina; ma a misura che il rumore si avvicinava, mi sembrò udire una voce umana. Mi tenni più celato allora e attesi, finché mi comparve alla vista un giovane prete che aveva vedute alcune volte nelle mie rare escursioni alla città, il quale trascinava per mano una fanciulla sui sedici anni.
Il prete, circa ventenne, alto di statura e robustissimo, mancava d’una carabina, d’un cappello puntato e del giustacuore di guerra, per sembrare un vero e magnifico masnadiero.
La fanciulla!... perdonatemi la commozione! – e le pupille del vegliardo s’erano inumidite, – la fanciulla era un angiolo! Non so come non fui scoperto, poiché vedendola fui invaso da un’emozione, da un palpito dell’anima, sì delizioso, sì nuovo per me, che mi spinse ad involontaria esclamazione. Ma troppo erano affacendati i nuovi venuti per poter udire la mia voce nella selva. Il prete, col volto di bragia, stringeva col braccio destro la fanciulla e con tutta la sua forza cercava di trascinarla avanti, ad onta degli sforzi di lei per non avanzare.
Giunta finalmente a quel modo a venti passi dal mio nascondiglio, la coppia fermossi ed io udii distintamente la ragazza piangendo, esclamare: “Giacomo, per l’amor di Dio, lasciami! non hai vergogna di usar violenza alla tua sorella?”.
“Alba – rispondeva lo sciagurato – non mi parlare così, non chiedermi l’impossibile. Alba! mia bella Alba! così bella e che io amo tanto! l’anima mia, vedi, brucia come il cratere di un vulcano!”. Così dicendo la stringeva nelle nerborute sue braccia e cercava carpirle un bacio. La giovane, robusta anch’essa e animata dall’ira, si svincolava dagli osceni abbracciamenti come un’anguilla. Così durarono un pezzo ma finalmente il perverso essendo giunto ad atterrarla con uno sforzo supremo, e tenerla ferma al suolo, con un fazzoletto le andava legando le mani ad onta del pianto e delle lamentazioni dell’infelice. Né qui è tutto - continuò il vecchio corrugando terribilmente la fronte; - quel demonio trasse fuori di tasca una funicella e colla fredda e spietata tranquillità del carnefice che applica la tortura assicurò alle verdi piante le membra della vittima a cui intanto ripeteva: “Vedi Alba! che ora ti tengo?”.
Alba non rispondeva perché la misera era svenuta.
Io là, a venti passi, l’ebbi più di dieci volte quell’assassino sotto la mira della mia carabina e non so perché non mandai l’anima sua all’inferno. Non avevo ancora versato sangue umano e, lo confesso, mi repugnava il cominciare.
Ma quando lo svergognato tentò andare oltre, feci un salto da tigre per raggiungerlo ed il calcio della mia carabina, come fosse una clava, lo stese sul terreno senza movimento.
Slegai la fanciulla svenuta, la presi nelle mie braccia e la portai accanto ad una corrente che non era lontana, spruzzai con acqua fresca quel volto d’angiolo, ch’io tengo qui scolpito nell’anima mia ed essa rinvenne. Rinvenne, mi strinse la mano in segno di gratitudine guardandomi commossa, esterrefatta. Da quell’istanze fu deciso il destino della mia vita, ed io amai Alba come si può amare la divinità stessa.
Il terribile sacerdote di lucifero tornando in sé ripigliò la strada di S.... imprecando e giurando vendetta contro tutto il genere umano. Chiese contezza di me e lascio pensare in quale esecrazione poi mi tenne. Forte come lui, e con anima diversa, poco lo temevo.
Ma contro di me non doveva sfogarsi la rabbia di quel mostro, bensì contro il vecchio suo genitore, testimonio più immediato de’ suoi turpi tentativi. La prima vittima fu lui. Ingiuriarlo, maltrattarlo, batterlo, era poca cosa: un giorno il vecchio fu trovato col cranio fracassato sul lastrico del cortile interno di casa sua. Sarà caduto? o precipitato dal terrazzo? Il cadavere non rivelò il parricida!
Che importa al prete un delitto, s’ei lo può coprire? Non ne commette uno grandissimo, quello di mentire, dicendosi ministro di Dio coprendo quell’enorme delitto coll’ignoranza del prossimo, ch’ei deride?
La professione del prete è questa: godere e far credere alle moltitudini stupide ch’egli soffre di privazioni e di disagi.
Povero prete! Ricordo d’aver veduto un quadro in America che rappresentava un prete nella sua sala da pranzo a tavola. Vivande d’ogni specie erano imbandite sulla mensa e molteplici le bottiglie di vini prelibati. Accanto al prete stava la polputa e rubiconda sua Perpetua che egli carezzava amorosamente.
Alla porta dell’abitazione di quel gaudente giungeva un povero contadino irlandese, colla moglie che teneva un bambino sulle spalle. Tutte e tre le povere creature si vedevano sparute ed in miserabile stato. Il marito metteva una moneta nel bussolo del prete sul quale era scritto: «Fate l’elemosina pel povero parroco».
Non è questa la genuina storia del prete? Da una parte il godimento, l’ipocrisia e la menzogna, dall’altra l’ignorante credulità e la miseria!
Godere dunque, per chi non deve godere per legge e per i giuramenti suoi è delitto! Quindi si copra il delitto ed incesti, infanticidi ed ogni scelleraggine, ogni bruttura si tenga celata.
Io so d’un prete che vive colla sorella in termini matrimoniali e un altro ne conobbi che con maltrattamenti e battiture cagionò la morte del padre suo. E ripeto, questi sono delitti che giungono a notizia della gente. Gl’infiniti che rimangono sepolti nei penetrali della casa, nei sotterranei del chiostro e nei sepolcri chi li novera?
Una sera – continua Gasparo: – io ero seduto nel mio abituro campestre, di ritorno dalla caccia. Avevo veduto Alba la notte antecedente poiché dal giorno fatale in cui risparmiai all’umanità un incesto e che vidi per la prima volta quella stella della mia vita, raramente passavo una notte senza vederla, ad onta di tutte le precauzioni dell’innamorato suo cerbero.
Da quando seppi da Alba prevedevo bensì una catastrofe ma non così subitanea come la precipitò il parricida, mostro di lussuria, in quella terribile notte.
Ero dunque seduto nel mio abituro ed appena entrato quando si spalancò la porta ed Alba scapigliata e fuori di sé precipitossi nella stanza stramazzando ed esclamando: Parricida! Parricida!».