CAPITOLO XLVI LA QUERCIA ANTICA

Dopo le accoglienze d’Attilio e d’Orazio, il suo forte liberatore, Giulia si occupò un poco anche del suo amante, che in tanta confusione era rimasto alquanto eclissato e confuso.

Muzio anche da mendico avea sempre tenuto quel decoro e quella pulitezza della persona, che il ricordo de’ suoi natali gì’imponevano, pur nondimeno Giulia lo complimentava ora sulla sua eleganza, complimento che non aveva potuto fargli all’albergo della Luna, per le circostanze da noi conosciute.

Veramente la condizione dell’ultimo rampollo della famiglia Pompeo, s’era migliorata assai in questi ultimi tempi. Siccio, quel fedelissimo ed amoroso servo che lo aveva raccolto bambino, salvato e nutrito con tanto affetto, era morto ed avea, pria di morire, trasmesso al cardinale F... zio la storia e una copia dei titoli del suo giovine padrone. Il prelato avea tosto dato ordine al suo procuratore di mettersi in relazione con Muzio, fornirlo di quanto abbisognava e procurare di tirarlo all’ovile. Il cardinale lo aveva incaricato pure di fargli sapere che nel suo testamento lo avrebbe fatto padrone degli immensi suoi beni e rimesso anche in possesso di quelli del padre, fraudolentemente passati nelle ugne dei Paolotti avoltoi.

Tutto questo rasserenarsi dell’orizzonte del nostro mendico, era dovuto poi al cambiamento di temperatura politica, occorso verso la fine del 1866, in cui gli Italiani, sebbene in modo indecoroso, rientravano in possesso di casa loro. Non era indifferente per il cardinale A... il poter dire «anch’io ho un nipote liberale e di prim’ordine» e per questo cercava l’amistà di quel nipote.

Giulia contemplava la trasformazione degli abiti di Muzio con commozione. Pure ella che tanto lo aveva amato mendico avrebbe quasi desiderato fosse rimasto lo stesso. Muzio non favellò, ma prendendo la mano di Giulia, v’impresse un bacio, nel quale versò tanto affetto e tanto cuore che la penna non potrebbe descrivere e solo donna innamorata può comprendere.

Clelia ed Irene alla lor volta erano pur felici nel riabbracciare i loro cari, e la gioia era dipinta su tutti quei giovani volti.

È forza confessarlo. Nemico del sangue come io sono pure trovo che il giorno d’una vittoria è inebbriante e, come ogni altro, io stesso ne ho assaporato la selvaggia letizia. Poco importano, il terreno seminato di cadaveri, le grida dei morenti e la spossatezza propria. «Siam vincitori! Abbiamo fugato il nemico!» e tutti i crocchi s’incontrano, si stringono allegri la destra e si fan festa.

«I fratelli hanno ucciso i fratelli» ma che importa in quel momento se siamo vincitori?...

Bisogna che i popoli diventino assolutamente fratelli.

Sotto una quercia annosa, sulle vergini, verdeggianti zolle della foresta, sedevano i capi e con loro quelle preziose donne che la sorte come per incanto avea riunite così attraenti, così belle, spiranti gioia ed amore, diffondendo intorno un’atmosfera balsamica di paradiso.

Oh! Manlio perché non sei qui a bearti nell’adorazione de’ tuoi cari? tu ne abbozzeresti il gruppo, che l’arte tua, lo scalpello vivificante, animerebbe ma non potrebbe uguagliare.

Silvia fu la prima a rompere il silenzio, dimandando con titubanza a Giulia:

«E Manlio, ove l’avete lasciato?». «Manlio, – ripose la bella inglese –; trovasi col Solitario e l’ho lasciato in florida salute colla promessa di recargli presto notizie vostre».

«E qual è l’opinione del Solitario circa alle cose di Roma?» chiese Attilio.

«Egli, – rispose Giulia –, approva il nobile contegno dei pochi romani che mantengono il decoro del paese molestando il Governo dei preti e protestando dinanzi al mondo: che quell’abbominazione non è più possibile, né con temporale né con morale autorità. Egli applaude alla longanimità con cui avete sin’ora sofferto e taciuto per non turbare l’andamento dell’unità nazionale e non dare agli stranieri pretesto a creare degli imbarazzi. Nello stesso tempo egli è dell’opinione che, ove il Governo Italiano continui a stare in ginocchio ai piedi del despota della Francia e si ostini per fargli piacere a rinnegare la capitale d’Italia e mantenervi i preti tocchi a voi a decidere la questione colle armi, persuaso che ogni uomo di cuore in Italia vi debba sostenere».

«Sì – disse Muzio, che ruminava tra i denti da un pezzo la parola longanimità. – Si! la pazienza è la virtù del somaro e noi Romani per averne avuto troppa siamo stati e siamo bastonati. Ed è una vergogna avere tollerato per tanto tempo la più degradante delle caste! e d’averla tollerata padrona!».

«Ed è lontana quell’isola solitaria? Non ci potremmo andare noi stessi a passare alcuni giorni?» disse la buona Silvia ricordando il caro compagno della sua vita e solleticata forse da un geloso pizzicore rispetto all’Aurelia.

«Niente di più facile», rispose Giulia, a cui era diretta la domanda. «Vicini alla frontiera come siamo noi potremo varcarla, dirigerci a Livorno ove stanzia la Clelia e di là veleggiare per l’isola che non è lontana.

«Io devo parteciparvi poi» (e questo riuscì gradito alla Silvia) «il matrimonio del capitano Thompson con Aurelia celebratosi nella Solitaria con semplice e patriarcale cerimonia perché là non vi son preti».

«Per la grazia di Dio!» interruppe Orazio, come in un soliloquio; poi sollevandosi su tutta l’atletica persona gettò lo sguardo verso l’estremità del bosco dal lato di ponente ed esclamò: «ma qui abbiamo gente nuova». E veramente si vedeva avanzare verso il loro gruppo un agile e robusto giovane, accompagnato da una donna a un di presso dell’età sua ma sulla cui fisionomia, malinconicamente bella, scorgevansi le traccie di patite sventure.

I nuovi arrivati eran Silvio e la sua Camilla. Il nostro cacciatore, dopo che la banda decise d’abbandonare la campagna Romana per passare a tramontana della Metropoli, volle dare un ultimo addio all’infelice sua donna che egli non poteva ristarsi dall’amare. Tornò dunque alla casa Marcello, fu accolto al solito da Fido e da Marcellino e trovò ancora la Camilla inginocchiata sulla tomba del genitore.

«Un delitto altrui può dunque così precipitare nell’afflizione per tutta la vita una povera creatura?» pensava tra sé Silvio addolorato, contemplando la prostrata giovane. «Oh Dio! rendimi la stella della mia vita!» quasi istintivamente egli esclamava fissando lo sguardo al cielo; e lei volgendosi all’esclamazione che fece vibrare le più intime fibre dell’anima sua fu in un momento nelle braccia di Silvio. Ambedue col volto nascosto nel seno l’uno dell’altra, piansero dirottissimamente ed a lungo senza poter scambiare una parola.

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