Capitolo XII. Nell'Italia Centrale.

Un desiderio naturale — manifestavasi nell'Italia del centro — allora in piena ostilità contro i suoi padroni — di avere i Cacciatori delle Alpi -

Cotesto corpo godeva meritamente la stima del paese — d'indole indipendente — com'erano gli elementi che lo componevano — si poteva pensare con probabilità di non ingannarsi — ch'esso non fosse vincolato indefinitamente agli ordini monarchici — Non abbisognava quindi, stimolarlo molto — per spingerlo contro tirannelli e preti -

Montanelli e Malenchini me ne parlarono — anzi ambedue fecero un giro nel centro, e tornarono, sollecitandomi — ed esternandomi il desiderio dei governi di Firenze, Modena, e Bologna — cioè: ch'io mi recassi nell'Italia centrale — ove mi sarebbe stato dato il comando di coteste truppe -

Quando io risposi a Montanelli, che marcerei senza indugio — chiedendo la mia demissione — egli m'abbracciò commosso — Malenchini poi giunse con una lettera di Ricasoli — che mi chiamava nell'Italia centrale per comandarne l'esercito — o parte di esso — In questa espressione io cominciai a capire che v'era qualche diffidenza — ma siccome, mai ho servito la causa dei popoli con condizioni — e [287] massime quella del mio paese — io non feci parola — Il buon Malenchini però, mi diceva: che Farini con cui aveva parlato a Modena — e Pepoli che aveva veduto a Torino — lo assicurarono: che mi darebbero il comando di tutte le truppe colà esistenti -

Chiesi la mia demissione, e m'incamminai per la via di Genova a Firenze — Nella capitale della Toscana principiai a realizzare il mio dubbio — e capire che avevo da fare colla stessa gente, con cui mi era toccato di trattare dal mio primo arrivo in Italia — Lasciato in Montevideo il comando in capo d'un esercito che si batteva eroïcamente da sei anni — e giunto in Italia, coi miei poveri e valorosi settanta tre compagni — dopo vari mesi di girovagare da Nizza a Torino, da Torino a Milano — di là a Roverbella — e poi ancora a Torino, ero pervenuto ad ottenere il comando, d'alcuni resti di quartieri — poco prima della capitolazione di Milano — col grado di Collonnello — E tale comando lo ottenni quando le cose della guerra già andavano a rompicollo — e perchè a rompicollo andavano -

Io ero venuto dall'America per servire il mio paese — anche da semplice milite — e del resto poco m'importava — M'importava però assai: veder l'Italia decorosamente servita — e non lasciata in preda a certe masnade che non ci valgono — A Roma un Ministro Campello, tenendomi co' miei lontani della capitale — con sospetti meschini, m'imponeva di non superare il numero di cinquecento militi -

In Piemonte al principio del 1859 — mi tenevano come una bandiera per chiamare i volontari — i volontari accorrevano — ma da 18 a 26 anni eran destinati ai corpi di linea — I troppo giovani i troppo vecchi — ed i difettosi, erano destinati a me — a cui s'imponeva di non comparire in publico — per non spaventare la diplomazia (si diceva:) -

Una volta poi sui campi di battaglia, ove avrei potuto fare qualche cosa — mi si negavano quei volontari — ch'erano accorsi alla mia chiamata -

A Firenze non mi fu difficile capire: che avevo da fare cogli stessi uomini — e si cominciò a parlarmi della possibilità dell'accettazione del generale Fanti al comando supremo, con cui avean creduto di lusingarmi — Poverissimi furbi!

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Avrei dovuto forse accettar nulla — e tornarmene alla vita privata — ma, come dissi prima: il paese era minacciato — E poi? Avevo io per costume di chiedere alcuna cosa trattandosi d'una causa sì bella! Accettai dunque il comando della divisione Toscana. Il buon popolo di Firenze, mi acclamò, mentre io entravo in palazzo vecchio — ed i governanti, com'era naturale, gradivano poco tali acclamazioni — e mi chiesero di calmare il popolo — e partire al più presto per Modena — ove si trovava il quartier generale della divisione -

A Modena vidi Farini — egli m'accolse assai bene — e mise ai miei ordini le forze organizzate di Modena e Parma -

Farini, uomo d'intelligenza superiore — assai scaltro — Egli, come tutti i governanti dell'Italia centrale, era molto ben seduto sul seggio dittattoriale di quelle belle provincie — ed un'uomo popolare accanto a lui, non lo garbava molto — Ricasoli da principio sembrommi più franco di Farini — non così astuto — ma sventuratamente collo stesso senso repulsivo verso di me — che si copriva colla mia troppa temerità ecc.

Cipriani poi, governatore di Bologna — era un Napoleonico sfegatato — e come tale, poca lega con me poteva fare -

Con quest'ultimo quindi, una franca antipatia reciproca fu manifestata, sino dal principio del mio arrivo nell'Italia centrale — e non v'era pericolo ch'egli trattasse di pormi al comando delle truppe delle Romagne ch'egli governava — La mia chiamata da parte di quei signori — era stato dunque stimolata da quella poca popolarità di cui godevo — e di cui essi volevan servirsi per popolarizzare essi stessi — Non altro, e presto ne vedremo le prove -

Farini..... così per celia — era espressione sua — un giorno scrivendo a Fanti, le aveva proposto il comando delle truppe dell'Italia centrale — Fanti con quella sua propria pacatezza — non aveva accettatto risolutamente — ma faceva sperare: che accetterebbe, una volta regolata la sua posizione col governo Sardo -

Il fatto sta: che la mia presenza nel centro — era accettattissima dalle popolazioni e dall'esercito — e quanto più tale sentimento era manifesto — tanto più diventava insopportabile ai governanti — quindi questi animosi a sollecitare l'arrivo del generale Fanti — che collocato militarmente [289] come mio superiore — poteva solo frenare l'ardore mio di far bene — e tranquillare i nuovi regnanti — come gli antichi gelosissimi dell'aure popolari -

Abbenchè nato rivoluzionario — perchè non quieto, non stabile, può rimanersi chi soffre. ¿E chi non soffre vedendo la sua patria serva e depredata? Cio nonostante, io non ho mancato, quando necessario, di sottopormi a quella disciplina necessaria — indispensabile alla buona riuscita di qualunque impresa — e sino dal tempo ch'io m'ero convinto: dover l'Italia marciare con Vittorio Emanuele — per liberarsi dal dominio straniero — io ho creduto un dovere sottomettermi agli ordini suoi a qualunque costo — anche facendo tacere la coscienza mia Republicana -

Ho creduto di più: qualunque sia la capacità sua — che l'Italia doveva concederli la Dittattura, sinchè il suo territorio fosse complettamente sgombro dallo straniero — Tale fu il mio convincimento nel 1859 — oggi modificato, perchè le colpe della monarchia sono molte — perchè poteva farsi un mondo da noi soli — e si è sempre preferito inginocchiarsi or a' piedi dell'uno — ed ora dell'altro, implorando miseramente, e vergognosamente il nostro -

Ciò premesso — Nell'Italia centrale — agli ultimi mesi del 59 — cento milla giovani si sarebbero serrati intorno a me — e con loro — si volgeva certo, favorevole la diplomazia Europea — oppure coi soli trenta milla allora riuniti nei ducati, e nelle Romagne potevasi decidere in quindici giorni la sorte dell'Italia meridionale — Fare infine, ciocchè si fece coi Mille un'anno dopo -

I governanti sarebbero rimasti ai loro posti — frattanto — avrebbero amministrato le loro provincie — ed avrebbero fatto una figura secondaria — è vero — ma gloriosa — coadjuvando le nostre operazioni — Essi così non stimarono — quindi si collegarono ad abbassarmi, ed annientare l'azione mia — due di loro per meschine considerazioni — il Cipriani in ubbidienza, probabilmente, agli ordini di colui — che — potrei ingannarmi — vuole tutt'altro — che l'Unione dell'Italia (1859)

Intanto io trascinai una ben deplorabile esistenza per alcuni mesi — facendo poco o nulla — in un paese ove si poteva, e si doveva far tanto!

Organizzare della truppa — tediosissima occupazione per me — con un'antipatia nata per il mestiere di soldato! Per me, fatto milite qualche volta, perchè nato in paese [290] schiavo — ma sempre con repugnanza — convinto: sia un delitto doversi maccellare reciprocamente per intendersi!

Obligato di limitarmi alla divisione Toscana — io m'occupai a migliorarne la condizione -

Venne Fanti — vi furono alcune panzane, verso il tempo del suo arrivo — per esempio: Farini mi assicurava, dover Fanti assumere il Ministero della guerra — ed io terrei il comando delle truppe -

Giunse Valerio, mandato dal ministero Piemontese, e mi disse: «guarda che se tu non sei contento, Fanti non vuol accettare» ed io risposi a Valerio: «non sono contento» e così stesso Fanti accettò -

Infine, l'interessante per quei signori — era di sbarazzarsi del mio individuo — senza eliminare intieramente il mio nome — di cui abbisognavano per farsene belli colle plebi — A loro sembrò di aver trovato un'espediente a tante miserie — nominandomi: secondo capo delle truppe della lega — Questa lega — poi, erano tre provincie della penisola — i di cui forti governi — per non dispiacere a certi padroni — non ardivano di chiamarsi Italia! Ecco in che modo si va costituendo — questo umile, e vergognato nostro paese!

Qui, cominciarono i bassi intrighi per disgustarmi — Fanti ricusava di accettare i miei prodi ufficiali dei Cacciatori delle Alpi — chiamati da me col consenso del governo di Modena — ed accoglieva qualunque altra classe di ufficiali — I miei poveri Cacciatori venuti in folla — sin dal principio, che mi seppero nell'Italia centrale — ad accrescere i corpi esistenti e formarne dei nuovi — erano maltrattatti — Giungevano per esempio: dalle più remote parti della Lombardia — scalzi, colla loro giacchettina di tela — stanchi, affranti dal viaggio — e per qualunque piccola mancanza di età, di costituzione fisica, di statura, ecc. erano repulsi — E credete: si domandasse loro, se avevan mangiato — e se avevan mezzi per mangiare, e tornare alle loro case? Nemmen per sogno!

Il governatore Cipriani, d'intelligenza con Fanti mi manda a Rimini per armare due legni mercantili con cannoni — e mi fa scortare da un suo fratello, portatore della cifra d'intelligenza — con cui corrispondeva col primo senza ch'io nulla sapessi -

Ero a Rimini — e qualunque ordine, parole ecc. si davano al generale Mezzacapo — che trovavasi esser mio subordinato -

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Io apprezzavo tutta la difficoltà della mia posizione — e mi toccava ad inghiottir veleno — colla speranza di poter giovare a questa sventurata mia terra — Per fortuna, ero alquanto compensato dei soprusi d'una codarda consorteria — dall'affetto delle popolazioni e dei miei militi -

Un tempo — io mi lusingai di modificare l'ingrata situazione — e poter fare qualche cosa d'utile — cercando di guadagnare Fanti con amicizia — e feci ogni sforzo per acquistarla — ma si vedrà ben presto come m'ingannavo — e come si giuocò la mia buona fede -

Ancona, le Marche, l'Umbria — erano insofferenti del giogo papale — e prima del mio arrivo — erano d'intelligenza con Cipriani per sollevarsi — L'armamento dei due bastimenti a Rimini, era stato motivato da quella circostanza — ed io avevo avuto istruzioni, per coadjuvare un movimento in quei paesi -

La mia presenza a Rimini, esaltava quelle buone popolazioni — Ma francamente: massime per parte di Cipriani — si voleva aver l'apparenza di fare — e non solamente, si voleva non fare — ma inceppare l'azione e farla retrocedere — Con me, intanto, si usavano astuzie: un'idea non so se di Cipriani o di Fanti — era suggerita: di far giurare i volontari per 18 mesi. I volontari, sin dal principio degli avvenimenti, che ci avean portati al nuovo stato di cose — erano colla ferma: di sei mesi dopo la guerra — Tutta quella brava gioventù serviva volenterosa, e non avrebbe fiatatto, anche se avesse dovuto servire per 10 anni — guerra durante — I diciotto mesi però di ferma fissa, non piacevano — io lo sapevo — e l'osservai prima a Cipriani, poi al generale in capo. Le mie osservazioni non valsero — e poco mancò: non perdessimo l'intiera divisione Mezzacapo, per tale intempestiva misura -

Essendo a Bologna, io fui chiamato dall'Intendente Mayer di Forlì, e dal Collonnello Malenchini — Spaventati dalla diserzione, e dai congedi richiesti, nei corpi stanziati sulla linea della Cattolica. Io corsi, e pervenni a fermare in parte la dissoluzione di quei corpi — ma mentre faticavo in tale lavoro, Mezzacapo impiegava ogni sforzo per ottenere il contrario — cioè: far giurare per 18 mesi, con ordine forse di Fanti — e lo faceva colla compiacenza di contrariarmi — e forse anche di farmi scomparire, dagli occhi di chi non mi conosceva -

Invano, io avevo chiesto di sospendere temporariamente il giuramento -

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Intanto le popolazioni delle Marche, e dell'Umbria, continuavano ad agitarsi — Il vecchio, e prode brigadiere Pichi — veterano della libertà Italiana — nativo d'Ancona, mantenevasi in costante corrispondenza colle oppresse popolazioni — Pratiche erano aperte pure col regno di Napoli — e con la Sicilia -

Con meno opposizione per parte dei governanti, e dei loro generali — che se fossero stati pagati dai nostri nemici, per far male, non potevano far peggio — noi potevamo tentare ogni cosa — e seguire una marcia trionfale, verso il mezzogiorno dell'Italia — più facilmente, e più complettamente, che non si eseguì un anno dopo -

Io avevo bensì delle istruzioni dal generale Fanti, espresse circa nei termini seguenti:

«Essendo attacatto dalle truppe pontificie, respingerle — ed invadere il loro territorio — oppure, in caso d'insurrezione d'una città come Ancona — o d'un intiera comarca — invadere in ajuto dell'insurrezione» La prima ipotesi, era impossibile, perchè certamente i pontifici non pensavano ad attacarci -

La seconda, era diventata difficilissima pure — essendo gli avversari nostri molto vigilanti — ed avendo aumentato i presidï d'Ancona, Pesaro, ecc.

Nonostante s'introducevano armi in Ancona, nelle Marche, e si tenevano di buon animo quelle popolazioni — I giovani militi che componevano i corpi di vanguardia avrebbero risposto ad un ordine di marciare avanti con grida frenetiche di gioja — tale era l'entusiasmo generale, per correre a liberare i fratelli -

Ma pesava sulla nostra povera patria quella fatalità, che da tanti secoli, la tiene incatenata indietro — sotto una forma, o sotto un'altra — essa trova sempre in se stessa quel germe maledetto — che ne contraria il progresso -

Sempre — sono sono le sue discordie — che la martoriano — oggi poi, vi si agiunge tale stormo di dottrinari — che impossessati del timore della cosa publica — e sostenuti da chi non vuole l'Italia grande (1859) ne addormentano gli slanci generosi -

Mentre io preparavo tutto per agire — di dietro si mandavano ordini ai miei subordinati, di non ubbidirmi -

Il generale Mezzacapo per esempio: aveva un dispaccio, in cui il generale Fanti diceva: «Nessuno si mova, senza mio ordine — e questo trasmettetelo al generale Roselli» -

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Non solo i miei subordinati generali Mezzacapo e Roselli, avevano ordine di non ubbidirmi — ma lo stesso mio stato maggiore, aveva ordine, di andare a mettersi, a disposizione del collonnello Stefanelli preposto al comando della divisione Toscana -

Tale era la mia condizione nell'Italia centrale quando giunse a Rimini il generale Sanfront inviato dal re — Egli mi trovò molto perplesso, e sdegnato contro la condotta sleale de' miei avversari, e senza il suo arrivo non so: a quel disperato partito, io mi sarei deciso -

Accompagnai il generale Sanfront a Torino, ed ebbi una conferenza con Vittorio Emanuele — la conseguenza della quale fu: ch'egli consiglierebbe al generale Fanti d'accettare la demissione offertali dai governi di Firenze e Bologna — che la presenza di Cipriani nelle Romagne, era divenuta nociva — e che io alla testa delle forze del centro, avrei operato per il bene della causa comune, come avrei trovato a proposito — non dandomi però il suo consentimento — per l'invasione del territorio pontificio -

Solite reticenze molto naturali nella sua posizione al cospetto d'un rivoluzionario: come non consentì un'anno dopo alla spedizione di Sicilia — al passaggio dello stretto di Messina — e finalmente alla marcia su Roma che finì ad Aspromonte. Io partivo da Torino — contento — e non perdevo tempo certamente nel recarmi a Modena — ove trovai Farini e Fanti, a cui spiegai francamente il risultato della mia missione -

I miei oppositori, però, non dormivano: un telegrafo del Ministero della guerra, diceva a Fanti: di non accettare la demissione — e fratanto si lavorava presso Vittorio Emanuele, per cambiare le sue disposizioni a mio riguardo -

La prima misura da prendersi nell'Italia centrale: era quella di far discendere Cipriani, dal governo di Bologna — Egli doveva scendere colle buone, o colle cattive: io lo significai a quei Signori — In caso, avessimo dovuto operare nello stato pontificio, non si poteva lasciare, dietro di noi un governatore contrario — che ad altro non tendeva — che ad inceppare l'armamento nazionale -

La misura Cipriani, fu accolta favorevolmente da tutti -

Tutti erano interessati all'allontanamento di quell'uomo — Farini e Fanti sopratutti -

Fanti prevenuto da me sulla risoluzione del re, non era [294] uomo da resistervi — ma Napoleone, Cavour, Farini, Minghetti, ecc. — erano troppo interessati a sostenerlo -

Rattazzi — forse l'unico, fra i mestatori politici, che avrebbe dovuto apogiarmi — era debole, irresoluto — e forse anche lui alquanto Napoleonizzato -

Ecco dunque Vittorio Emanuele — contrastato (se tuttociò non era un tranello) nelle sue buone intenzioni — e piegando ancora davanti alle prepotenze Cavouriane, come l'aveva fatto al principio della guerra, quando aveva dato l'ordine d'acrescere la mia forza col reggimento dei Cacciatori degli Appennini — che mi furono mandati poi a guerra finita -

Farini — volpe vecchia — barcheggiava — Io, all'interpellanza di Minghetti: ¿Chi succederebbe a Cipriani? risposi: Farini. E veramente con ciò, si ottenevano due vantaggi — Il primo: era quello dell'unione delle Romagne ai ducati di Parma e Modena — con un governo solo — Il secondo: con Farini, uomo d'intelligenza superiore e di cuore Italiano — si otteneva: ciocchè non s'era mai potuto ottenere coll'altro — cioè spingere all'armamento ed all'unificazione -

Sin dal principio del mio arrivo nell'Italia centrale, io avevo capito Farini — e s'egli non m'ispirava diffidenza come Italiano — non molta fiducia m'avea ispirato come amico personale — ed all'ultimo poi, m'ero accorto: ch'egli non agiva meco di buona fede. L'ultime mie parole a Farini, nel palazzo di Bologna furono le seguenti: «voi non foste schietto con me» e siccome lui mi rispondeva alquanto alterato — io aggiunsi ancora: «Sì! voi avete la principale colpa di questo pasticcio!»

Devo confessare però, che a Modena, Farini avea fatto molto bene durante la sua dittattura — e che a Bologna — egli continuò a fare lo stesso — A Modena, lui e Frapolli fecero ciò, che nessuno ha potuto uguagliare nelle altre parti d'Italia — in misure energiche, armamenti, organizzazione ecc.

Tutto questo però, non deviava il dittattore, dalla sua condotta poco schietta con me — e mentre egli rimaneva d'accordo sul da farsi a Bologna — lui al governo amministrativo ed io alle armi — scorgevo nel contegno della sua pallida faccia — ch'egli riceveva impressioni avverse dal di fuori — e ch'era disposto ad agire secondo l'aura che soffierebbe dal Piemonte — E l'aura aveva cessato di [295] soffiare favorevolmente per me da Torino — I miei avversari avevano avuto il dissopra sullo spirito del re, influenzato senza dubbio, anche da Parigi — ove la discesa di Cipriani dal seggio di Bologna, e la mia comparsa al comando delle truppe del centro — non piacevano certamente — Io in luogo de' miei avversari — avrei detto: «Garibaldi ritirati!» ma cotesta gente, non era capace di tanta franchezza e cercava invece di allontanarmi — con ogni specie di contrarietà — e miserabili stratagemmi -

Il prestigio mio nei militi, e nelle popolazioni — (sembravami almeno) mi poneva nel caso: di poter operare, anche a dispetto de' miei avversari — Io, non temevo certamente di lanciarmi una volta ancora nel vortice rivoluzionario — ove non mancava d'esservi probabilità di riuscita — ma era una rivoluzione ch'io dovevo iniziare — dovevo sciogliere nella milizia, e nel popolo ogni vincolo di disciplina — Vi era davanti e dietro a me l'intervento Francese: a Roma, a Piacenza, ecc. — Infine la sacra causa del mio paese, ch'io potevo compromettere mi trattennero dal fare. Io aspettavo dal re, qualche cosa — come fummo d'accordo — che doveva: se non autorizzare il mio operato — almeno implicitamente condiscendere — lasciandomene tutta la responsabilità — e pronto a reprimermi — anche se fosse occorso — A tutto io mi sottomettevo — ed a qualunque evento ero disposto — Ma nulla giunse!

Io mandai finalmente il maggiore Corte da Vittorio Emanuele — e fui chiamato a Torino — Giunto nella capitale — mi presentai al re — e m'accorsi subito del cambiamento in lui operatosi dalla mia ultima conferenza — Egli mi ricevette colla solita bontà — ma mi fece capire in poche parole: che le esigenze del di fuori lo obligavano allo Statu quo — e che credeva meglio: tenermi da parte per qualche tempo -

Il re desiderava ch'io accettassi un grado nell'esercito — non accettai ringraziandolo — ma accettai un bel fucile da caccia, ch'egli volle regalarmi — e che m'inviò per il Capitano Trecchi — del mio stato maggiore, mentre io era già in un vagone del treno per Genova — Giunsi a Genova, da Genova a Nizza — ove passai tre giorni coi miei figli — e tornai a Genova per trovarmi pronto al vapore che partiva per la Maddalena — il 28 Novembre 1859 -

Ero pronto alla partenza — avevo il mio bagaglio a [296] bordo — quando trovandomi in casa del mio amico Coltelletti — mi giunse una deputazione di distinti Genovesi — col sindaco della città il Sig.r Moro — Quei signori, mi significarono: che il mio allontanamento sarebbe stato un male in quelle circostanze: io mi conformai a rimanere — ed accettai l'ospitalità offertami dal mio amico Signor Leonardo Gastaldi — in una sua villa di Sestri — ove passai pochi giorni — In quel tempo parlavasi di guardie nazionali mobili — ed il Collonnello Turr — mi disse che il re desiderava di vedermi per combinare qualche cosa a tale proposito -

Giunto a Torino vidi il re — con me sempre buono — vidi Ratazzi ministro, ed assicuro che m'ispirò poca fiducia — Con ambi, rimasi d'accordo, ch'io sarei incaricato dell'organizzazione, della guardia Nazionale mobile della Lombardia — ed io mi contentai di tale disposizione per due motivi — Il primo era quello di poter preparare un buon contingente per l'esercito nella guerra indispensabile, in cui l'Italia dovrebbe necessariamente tuffarsi ancora — Il secondo, di poter collocare in quelle guardie mobili — tanti, de' miei poveri fratelli d'armi, raminghi e senza pane — una gran parte -

Mentre a Torino, io aspettavo la nomina che dovea prepormi alla suddetta organizzazione — e fui visitato dagli egregi patrioti Brofferio, Sineo, Asproni — ed altri deputati liberali — che mi manifestarono voler profitare del mio soggiorno nella capitale per conciliare le diverse frazioni del partito avanzato — scisse da qualche tempo, e che si facevano una guerra indecorosa e nociva alla causa Italiana — solite magagne del nostro povero paese!

Da principio dubitando di poter riuscire all'intento propostomi — ed avversando un po', qualunque associazione, che non sia quella della nazione intiera — io ricusai di accettare — e sarebbe stato meglio: avessi perseverato in tale risoluzione — Ma sollecitato ancora, e facendomi capire: che si poteva fare gran bene, riuscendo, io accettai finalmente — e si combinò d'istituire una Società, che sotto il nome di nazione armata — accoglierebbe tutte le altre. Sin lì — tutto andava perfettamente — e tutti gl'individui appartenenti alle differenti società — che si presentavano [297] a me — aderivano all'idea della fusione, e se ne mostravano contenti -

Una riunione della Società: Libera Unione — doveva sancire l'atto conciliativo — ma all'opposto quelli stessi che con me s'eran mostrati soddisfatti dell'avvicinamento proposto — propugnarono idee affatto contrarie, e con un pretesto o coll'altro — dissero: essere la conciliazione impossibile -

Era idea mia antica — e me ne persuasi sempre più: che per metter d'accordo noi Italiani — vi voglion le stangate — e niente meno.

Fu tutta fatica perduta — e peggio poi: gli ambasciatori stranieri, forti della debolezza governativa — e come si disse: eccitatti da Cavour e da Bonaparte allora onnipotente — chiesero delle spiegazioni — e per corollario, il ministero in massa — meno Ratazzi, chiese la demissione -

Il pretesto fu la nazione armata — la mobilizzazione della guardia nazionale — e se mi è permesso tanta presunzione: il mio povero individuo, implicato in tutto ciò -

La Nazione armata — fu cotesto un fulmine per quella miserabile diplomazia che vuole l'Italia debole — Diplomazia chauvine, Bonapartesca, e che ha per continuatore il piccolo monarca della Republica Francese.

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Ciò serva ai miei concittadini: e sappiano dunque, che per passare dallo stato di conigli, come siamo stati sin'ora a quello di leoni da spaventare i prepotenti nostri vicini, vi vuole la nazione armata — cioè due millioni di militi — ed i preti, onestamente occupati alle bonifiche delle paludi Pontine -

Il re mi fece chiamare, e mi disse: che bisognava desistere da qualunque delle idee progettatte -

P. S. Per dimenticanza io non ho forse menzionato il collonnello Peard — chiamato volgarmente:

«L'Inglese di Garibaldi»

Questo valoroso figlio della Britannia, comparì nel 59 tra i nostri volontari, armato di tutto punto, con una preziosa carabina — e facendo l'ammirazione di tutti per la precisione dei suoi tiri, e per lo straordinario sangue freddo — ove maggiore era il pericolo -

Il collonnello Peard — modesto e senza pretese — giacchè egli non voleva soldo — compariva ogni volta che i nostri volontari entravano in campo -

Si distinse molto nel 59 — e nel 60 egli contribuì molto alla venuta di quel bellissimo contingente Inglese — che quantunque giunto tardi — fece eccellente prova — negli ultimi fatti d'armi combattutti nelle pianure di Capua -

Se Bonaparte, e la monarchia Sarda — non ci avessero vietato di marciar su Roma, dopo la battaglia del Volturno — il contingente Inglese — che si aumentava ogni giorno — ci avrebbero giovato sommamente all'acquisto dell'immortale capitale d'Italia -

Il maggiore d'artiglieria Dawling — ed il cap.no Forbes — ambi [299] Inglesi — pugnarono da valorosi nelle fila dei volontari — Come loro, io vorrei poter segnalare alla gratitudine della mia patria tutti quei prodi e valorosi che la servirono colla vita -

Deflotte — che dobbiamo considerare martire nostro — e Bordone — oggi generale — meritarono pure tutta la riconoscenza nostra -

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