CAPITOLO VI.

Politia Ecclesiastica di questi ultimi tempi.

Mentre durò il Regno di Carlo II non fu veduto cangiamento alcuno in noi in ciò che riguarda la Politia Ecclesiastica; ma furono da' suoi Vicerè Spagnuoli calcati i medesimi sentieri de' loro predecessori. Due esemplarissimi Pontefici, che fra questo tempo ressero la Sede Appostolica ridussero a più moderato stato le cose; e zelanti dell'onor di Dio, attesero più alla riforma de' costumi degli Ecclesiastici, che a promuovere le pretensioni di quella Corte sopra il temporale de' Principi. Innocenzio XI per la bontà della vita ed innocenza de' costumi trasse a se il rispetto e la riverenza, non pur de' Principi Cattolici, ma eziandio de' pretesi Riformati. Fu tutto inteso ad estirpare gli abusi introdotti nell'ordine Chericale; condannò la rilasciatezza e le perniziose dottrine, che aveano sparse nelle loro opere gli scandalosi Casuisti: ripresse l'insolenza ed audacia de' monaci, e pubblicò nell'anno 1680 una Bolla contro lo sgangherato modo di predicare introdotto da essi, i quali avvezzi alle sofisticherie delle loro scuole, ed ignoranti non men dell'arte dell'eloquenza, che di tutt'altro, erano tutti intenti a vane argutezze di parole, ad antitesi, ad allusioni, a metafore stravolte: ed applicavano anche a quest'uso i luoghi della Scrittura e de' Padri, stravolgendoli, e stiracchiandoli a lor modo. Innocenzio XII come nostro Napoletano amò la quiete del Regno, e si studiava di beneficarlo. Per aver egli tenuta la Sede Arcivescovile di Napoli per molto tempo, erangli noti gli abusi e le corruttele dell'Ordine Ecclesiastico, e sopra tutto l'estorsioni del Tribunal della Nunziatura, e de' suoi Commessarj per lo Regno; ed i crudeli Spogli che si praticavano: tal che commiserando lo stato calamitoso delle nostre Chiese, deliberò rimettere gli Spogli delle Chiese, non comprese nella concordia, in beneficio delle Chiese stesse, con che dovesse impiegarsi tutto ciò che si fosse trovato negli Spogli, in reparazione ed ornamento di quelle, col consenso del futuro Vescovo o Prelato, ed intervento di persona deputata dal Capitolo, siccome stabilì per sua Bolla. E si crede che se i nostri Napoletani avessero insistito a dirittura con questo Pontefice sopra la dimanda, che allora fecero a Carlo II di provvedersi i Beneficj a' Nazionali, in esclusione degli esteri, forse l'avrebbero indotto a contentarsene. Tolse questo zelante Pontefice molti altri abusi introdotti nella Chiesa ed emendò per quanto potè la Corte istessa di Roma. Abolì lo scandalo del nepotismo, e chiamò suoi nepoti i poveri, dando loro per abitazione il Palagio Lateranense, magnificamente ristorato. Tolse ancora la venalità de' Chericati di Camera, ed ordinò, che per l'avvenire le Chiese parrocchiali non fossero aggravate di pensioni. Stabilì una Congregazione a parte sopra la riforma degli Ecclesiastici; ed un'altra per la disciplina de' Regolari; e con sua Bolla diminuì l'autorità de' Cardinali Protettori di Ordini Religiosi. Vietò a' Preti di mettersi al servigio de' laici, moderò il lusso de' loro abiti, proibì agli Ecclesiastici di portar perucca, e diede altri provvedimenti, perchè la rilasciata lor disciplina alquanto si rialzasse.

Ma poco tempo durarono questi buoni regolamenti; poichè appena lui morto, succeduto nel Pontificato Clemente XI, che avea menati tutti i suoi giorni tra i raggiri di quella Corte, ed allevato colle di lei massime, si ritornò a' primieri disordini. Furono con varie e sforzate interpetrazioni, rendute inutili le Costituzioni di quel religioso Pontefice; rinovate le intraprese, e non vi fu Papa, che in un medesimo tempo avesse prese tante brighe con vari Principi, quanto costui. Egli ebbe contese col Duca di Savoja, colla Spagna e coll'Alemagna: tentò d'abolire la Monarchia di Sicilia, ancorchè con inutile successo; ed in fine di non far valere nel nostro Regno i sovrani diritti de' nostri Principi; nè meno le concessioni istesse del suo predecessore fatte al Regno ed alle nostre Chiese.

La Bolla d'Innocenzio, che tolse alla Camera Appostolica gli Spogli delle nostre Chiese vacanti, fu con stiracchiate interpetrazioni renduta vana ed inutile; poichè fu interpetrata di doversi eseguire, quando il Vescovo Prelato muore dentro la sua Diocesi, non già quando fuori di quella venisse a mancare. E quando il Prelato moriva in Diocesi, deludevasi pure la legge, poichè per la condizione in quella apposta di doversi impiegare gli Spogli alle Chiese col condenso del futuro Vescovo o Prelato, si operava in maniera, che niun giovamento ne ricevevano le Chiese; imperocchè venendo li Vescovi e Prelati da Roma così impoveriti da' dispendj sofferti in quella Corte, per le spedizioni delle Bolle, e per altre recognizioni; ciò che trovava d'avanzo, non già si convertiva in reparazione o ornamento delle Chiese, o sovvenimento de' poveri, ma a lor proprio uso e beneficio e per soddisfare i debiti contratti per la lor lunga dimora fatta in Roma; e se mai il Capitolo di ciò si risentiva, il che rade volte accadeva, ciascun temendo di inimicarsi il suo Superiore, tali ricorsi ad altro in fine non servivano, che a consumarsi il rimanente in Roma in lunghi e dispendiosi litigj.

La Bolla di Gregorio intorno all'immunità delle Chiese, ancorchè non ricevuta nel Regno, si proccurava farla valere, anche ne' delitti più enormi, procedendosi a censure contro i ministri del Re, che volevano punire i delinquenti; come cosa nuova era inteso l'Exequatur Regium, e si prendeva con vigore la difesa dell'intraprese e trascorsi de' Vescovi del Regno che turbavano la regal giurisdizione.

Ma intanto essendosi questo Regno avventurosamente restituito sotto il dominio del Nostro Augustissimo Principe CARLO, che teneva allora collocata la sua Sede regia in Barcellona, furono sotto i suoi auspicj non pur ripresse con vigore l'intraprese degli Ecclesiastici, ma più fermamente stabiliti i regali diritti e le prerogative de' suoi sudditi, ed in termini così pressanti e risoluti, che in tutte le precedenti grazie concedute da' nostri Principi Aragonesi ed Austriaci a questa città e Regno, non si legge una cotanto e sì premurosa espressione. Egli con più regali cedole spedite da Barcellona, stabilì fermamente la necessità del Regio Exequatur , in tutte le Bolle, Brevi, o altre provvisioni, che vengono da Roma. Escluse gli stranieri da' benefici, e comandò sequestrarsi le rendite di quelli che fossero provvisti a' medesimi. Abolì ogni vestigio d'Inquisizione, comandando, che nelle cause appartenenti alla nostra S. Sede procedessero gli Ordinarj de' luoghi, per via ordinaria, siccome è la pratica negli altri delitti e cause criminali Ecclesiastiche. Ed assunto da poi al Trono Imperiale serbò con tenore costante i medesimi sensi; anzi, a' 6 d'agosto del 1713, alle preghiere della città e Regno non pure fermamente escluse i forastieri da tutte le prelature e beneficj del Regno, comandando che fossero conceduti a' suoi naturali, ma che con pari serietà e vigilanza avrebbe eziandio proccurato di far evitare le frodi degli stranieri, che si commettessero o con riserbe di pensioni, o d'altro contro queste sue regali disposizioni: tal che fra noi si è introdotto stile nel supremo Collateral Consiglio che nel concedersi l'Exequatur Regium alle provvisioni de' beneficj provveduti da Roma a' nazionali, affin d'evitarsi queste frodi, si appone la clausola: Exceptis pensionibus forsan impositis in beneficium exterorum.

Quanto da' nostri maggiori si fosse travagliato, non men presso i Re dell'illustre casa d'Aragona, che Austriaca per ottenere un sì rilevante beneficio, lo mostrano le tante preghiere, che si leggono per ciò date a que' Serenissimi Principi dalla nostra città e Regno, ed a questi tempi sotto il Regno di Carlo II pure nel 1692 dalla Deputazione de' Capitoli si leggono due appuntamenti, fatti nella lor assemblea, di darne nuova memoria al Re, e fu trascelto il dottissimo Avvocato Pietro di Fusco, che ne dettasse la preghiera, siccom'eseguì e fu presentata al Conte di S. Stefano allora Vicerè. Ma un tanto e sì segnalato favore era stato a noi dal Cielo riserbato in quest'ultimi tempi, per doverci esser conceduto da un più Augusto, magnanimo e clementissimo Principe.

Papa Clemente fecene di ciò gran romore, e condannava gli editti del Re, come offensivi dell'Ecclesiastica libertà. Ma per mezzo di tre dotte e nobili Scritture, dettate da Giureconsulti gravissimi, si fece conoscere, che quelli erano conformi, non meno alle leggi e costumanze dell'altre nazioni del Mondo Cattolico, che a' Canoni stabiliti in più Concilj, a più Costituzioni di Sommi Pontefici, alla dottrina de' Padri della Chiesa, ed al comun sentimento de' più gravi e rinomati Teologi e Canonisti.

Furono sotto il Regno del nostro Augustissimo Monarca ed Imperador CARLO VI spezialmente sotto il Governo del Conte Daun nostro Vicerè, ripressi con vigore gli attentati degli Ecclesiastici, le intraprese ed i trascorsi de' Vescovi: sostenute con fortezza le regali preminenze, corretti i Prelati con sequestri delle loro entrate e con chiamate e sovente i contumaci furono discacciati dal Regno usandosi contro d'essi que' rimedj, che non meno le leggi, che l'antico uso del Regno permettono a' nostri Principi. Fu serbata l'immunità delle Chiese secondo il prescritto dei Canoni, non già secondo la Bolla Gregoriana, che in tutte le occasioni non fu fatta valere, il Regio Exequatur fu indispensabilmente e con sommo rigore ed oculatezza ricercato in qualunque provvisione, che venisse da Roma. Furono i Vescovi contenuti ne' loro limiti e tolti molti abusi, che s'erano introdotti nelle loro Diocesi. Le franchigie e l'immunità degli Ecclesiastici furon mantenute secondo il prescritto de' Canoni e delle nostre leggi e riparato alle frodi: tal che fu ridotta la Giustizia e Giurisdizion Ecclesiastica al suo giusto punto, lasciandosi al Sacerdozio quel ch'è di Dio, ed all'Imperio, quel ch'è di Cesare. Nella qual opera non men gloriosa, che a Dio molto grata ed accetta, v'ebbe la maggior parte il zelantissimo nostro Presidente del Sagro Consiglio Gaetano Argento, al quale avendo l'Augustissimo nostro Monarca confidata la difesa della sua Regal Giurisdizione, la sostenne con non disugual dottrina che vigore. Egli che per lo suo profondo sapere ben sapeva distinguere i confini tra 'l Sacerdozio e l'Imperio, impiegò tutta la sua vigilanza, perchè queste due Potenze si contenessero ne' loro limiti e che l'una non intraprendesse sopra l'altra. Egli fu il primo tra noi, che secondo i veri principi tratti da' sagri Canoni, da' Concilj, dalle sentenze de' Padri e da' più profondi e gravi Teologi e Canonisti, maneggiasse con decoro e con somma non men dottrina ch'erudizione, queste contese giurisdizionali, nelle quali in breve tempo divenne consumatissimo, lasciandosi indietro tutti gli altri, che prima di lui aveano sostenuta questa carica. I cotanto presso noi famosi Reggenti Villano, Revertera, de Ponte e tanti altri che si segnalarono nella difesa della Giurisdizion Regale appo lui si dileguano: comparate le loro consulte, con le sue dottissime, ripiene della più scelta erudizione, arricchite di autorità e delle più pellegrine notizie, tratte non men dall'Istoria Ecclesiastica, da' Concilj, da' Padri e da' più eccellenti Canonisti, che dalle nostre memorie ed illustri esempj del nostro Regno istesso, tanto queste sopra quelle s'innalzano, quanto gli alti cipressi sopra gli umili e bassi corbezzoli. Tal che se qualche cosa mancava, perchè questo Regno potesse gareggiare con quello di Francia, dove questi studi sono stati ridotti nell'ultimo punto di perfezione, per lui non abbiamo ora noi, nè anche in ciò, da portargli invidia.

Furono ancora sotto il Regno del nostro Augustissimo Principe moderati gli abusi del Tribunal della Nunziatura di Napoli, e, come altrove fu detto, per questa stessa cagione sospeso il Tribunal della Fabbrica. Informato il nostro Monarca degli Spogli e delle storsioni, che si commettevano in questi Tribunali, in gravissimo danno de' suoi vassalli, con forte risoluzione ordinò nel 1717 che il Nunzio fra 24 ore uscisse dal Regno: pervenne a noi il regal dispaccio nel mese d'ottobre del medesimo anno, che fu tosto mandato in esecuzione: partì il Nunzio, si chiuse il suo Palagio, e fur parimente chiuse le porte al Tribunal della Fabbrica. Ne' 4 di giugno del seguente anno, dimorando il nostro Imperadore a Luxemburg, spedì altro dispaccio, col quale ordinò il sequestro delle rendite delle Chiese e Beneficj vacanti, comandando, che quelle s'impiegassero alla reparazione ed ornamento delle stesse Chiese, ed al sovvenimento dei poveri. Ed al dì 8 ottobre dell'istesso anno 1718 ne spedì un altro diretto al Conte Daun Vicerè, dove se gl'incaricava, che pienamente l'informasse delle storsioni, ed abusi di questi Tribunali, ed il rimedio che poteva darvisi. Il Vicerè eseguì per mezzo del Delegato della Giurisdizione con molta esattezza l'Imperial comando, dandogli pieno ragguaglio degli abusi di questi Tribunali e de' rimedj, che potevan adoperarsi. In tanto Papa Clemente per mezzo del suo Nunzio in Vienna, valendosi ancora dell'intercessione dell'Imperadrice Eleonora madre, proccurò mitigare l'animo del figliuolo: sicchè ridotto l'affare in trattati, gli fu accordato il ritorno del Nunzio, con facoltà però limitate, proccurandosi torre al meglio, che si potessero gli abusi del suo Tribunale. Fece a noi ritorno nel mese di giugno del seguente anno 1719, ma dal nostro Collaterale gli fu impedito l'ingresso nella città per alcune difficoltà, che s'incontravano in dar l'Exequatur al suo Breve: tal che fu duopo aspettare dalla Corte nuovi comandi; ed essendosi in Vienna spianate le difficoltà proposte, vennero nuovi ordini per la sua reintegrazione; onde nella fine di quest'anno 1719 fu introdotto nella città, ed aperto il suo Tribunale, ma quello della Fabbrica rimase chiuso e sospeso, come è al presente.

Cotanto s'ebbe a travagliare nel Pontificato di Clemente XI per sostenere i regali diritti e per sottrarre i sudditi del Re dalle sorprese, e soperchierie degli Ecclesiastici. Ma indi a poco, morto Clemente e succeduto il presente Pontefice Innocenzio XIII, fu tra il Sacerdozio e l'Imperio posta una ben ferma e tranquilla pace, e furono queste due Potenze ridotte in una perfetta armonia e corrispondenza. Imitando costui il gran Pontefice Innocenzio III non men suo predecessore, che dell'istesso suo sangue, ed adempiendo quel che sotto di lui fu stabilito in un Canone dal Concilio Lateranense, ha esposti i suoi pacifici e moderati sensi, che siccome e' brama, che i laici non usurpino le ragioni de' Cherici, così vuole, che i Cherici siano contenti di ciò che i Canoni, le Costituzioni Appostoliche e le Consuetudini approvate lor concedono; ma che sotto pretesto della libertà Ecclesiastica non invadano le ragioni de' laici, e stendano la lor giurisdizione con pregiudizio della Regale; affinchè con giusta e ben regolata distribuzione, si dia a Cesare quel ch'è di Cesare, ed a Dio quel ch'è di Dio.

I. Monaci e Beni temporali.

I Monaci a questi tempi, se ben caduti dall'opinione, che prima avevano di santità e di dottrina, proseguivan pure a far progressi negli acquisti di beni temporali: le rendite degli acquistati, i nuovi Legati e donazioni, che si facevano alle lor Chiese maggiormente gli provvidero di contanti, sicchè quando mancavano l'eredità, ed i Legati, essi compravano i poderi, e nelle concorrenze, come più offerenti per la copia del danaro accumulato con questi mezzi, non già con sudori e travagli, erano a tutti preferiti. Fu introdotto ancora in quest'ultimi tempi, che non vi era testatore che non lasciasse alle lor Chiese Cappellanie con istabilirvi fondi copiosi e fruttiferi per celebrazione di messe, riponendo il presidio della salvezza della loro anima, non già nello studio di tenerla monda dalla contagione del Secolo, ed a proccurare in vita di sollevar le vedove e gli oppressi; ma in fabbricar Cappelle sontuose, moltiplicare i sagrifizj e far celebrar delle messe in tutti gli altari. E la maraviglia è, che con tutto il lor discredito, e che i secolari ne parlassero con disprezzo, pure essi sono i padroni dello spirito del popolo, non altramente che non si faccian coloro, i quali stando sani, ancorchè disprezzino i Medici, riputandoli inutili alla cura delle malattie, si sottopongono nondimeno poi ad essi con maggior soggezione degli altri, tantosto lor viene ogni piccolo malore.

D. Pietr'Antonio d'Aragona Vicerè favorì i loro acquisti, ed a' suoi tempi, oltre dell'Ospidale di S. Gennaro fuori le mura della città, ebbe compimento e perfezione il famoso Romitorio di Suor Orsola. Gli Scalzi Eremitani di S. Agostino aprirono sotto il Governo del Marchese de Los Velez, una magnifica Chiesa col titolo di S. Nicolò Tolentino. La morte di Gaspare Romer rinomato mercatante fiamengo, arricchì non pur lo Spedale degl'incurabili, ma il Monastero delle donne Monache del Sagramento. Altri Mercatanti forestieri, non avendo a chi lasciare le loro ricchezze, fondarono nuovi Monasteri, invitandovi Monache loro compatriote ad abitarvi. Si aggiunsero ancora l'eccessive doti ed i vitalizj, che si costituiscono nell'entrar che le Monache fanno ne' Monasteri, ai quali dopo la lor morte le doti rimangono e quando ne' primi tempi fu gran contrasto, se il ricever tali doti fosse simonia, poi si ricevettero senza il minimo dubbio. Fu ancora introdotto, che i Monaci istessi si riserbassero grossi vitalizj, ed a questi ultimi tempi tal riserba è penetrata sino a quelli delle Religioni mendicanti, e poco lor resta d'avanzar quest'altro passo nell'entrare a' Monasteri, cioè di farsi costituire anche proprj patrimonj. A questo fine, in quest'ultimi tempi non si sono vedute più riforme d'antiche Religioni, ma novelle Congregazioni di Preti: si sono scacciati i cappucci, e s'amano ora più le berrette, per menar una vita più agiata, senza coro e senza quelle altre soggezioni ed incomodi, che porta seco l'austero e rigido cappuccio.

Per tanti e sì innumerabili fonti sono derivate in noi sì vaste e smisurate ricchezze degli Ecclesiastici, le quali sono un'evidente cagione della nostra miseria. I pubblici pesi si soffrono da' secolari solamente, e si rendono ora assai più insopportabili, perchè passando continuamente i beni, che prima erano in poter dei laici, in mano degli Ecclesiastici, viene a cadere tutto il peso, che prima era ripartito, sopra il rimanente, che resta sotto al dominio de' laici. Si fa conto dai più esperti e da coloro, che sanno lo stato del Regno, che delle tre parti delle rendite, presso che due si trovano nelle mani degli Ecclesiastici, dalle quali non possono mai ritornare in potere de' laici, per le leggi strettissime fatte a lor beneficio, che l'impediscono. Altri comunemente affermano, che se il Regno si dividesse in cinque parti, si troverebbe, che gli Ecclesiastici ne hanno quattro delle cinque; poich'essi hanno del suolo quasi la metà del tutto e sopra il rimanente, per li Legati, ed altri doni consimili ne hanno un'altra e mezza; perchè niun muore, senza che lasci qualche Legato a qualche Chiesa o Convento. Oltre a ciò fra qualche tempo faranno pure acquisto di tutto il rimanente, perchè abbondando di denari raccolti da' Legati e dagli avanzi delle loro amplissime rendite, fanno del continuo compre di stabili. Tal che gli riflessivi Viaggianti forestieri, che stupidi ammirano tante e sì sterminate ricchezze, e fra gli altri il prudente e savio Burnet, presagirono, che se non vi si pone alcun freno, siccome giungeranno a comprarsi l'intera città, così nel termine d'un secolo diverranno gli Ecclesiastici padroni di tutto il Regno.

Conobbero i nostri maggiori un così ruinoso disordine, e proccurarono por freno a sì sterminati acquisti. Quando in nome della città, Baroni e Regno fu mandato il Reggente Ettore Capecelatro al Re Filippo IV fra l'altre grazie, che si chiesero a quel Monarca, una fu perchè provvedesse e dasse freno agli acquisti de' beni, che si facevano dagli Ecclesiastici nel Regno. E non essendovisi per la morte del Re Filippo data alcuna provvidenza, furono replicate le suppliche al suo successore Carlo II; ma da questo Re riputandosi ciò cosa di gran momento, non se n'ottenne altro, che una promessa di volervi poi più pesatamente provvedere. Ma sotto il felicissimo Governo del nostro Augustissimo Monarca, incoraggita la città ed il Regno dalla sua magnanimità e clemenza porsegli nuove preghiere, nelle quali esprimendo le miserie, che si cagionavano per ciò al Regno, il danno, non men del Regal Erario, che de' sudditi; gl'incontrastabili regali diritti, ch'egli avea di poter ciò comandare e gli esempj degli altri Principi religiosissimi, che ne' loro Reami aveano con prudenti leggi ripressi tali acquisti; istantemente lo pregarono, che lo stesso comandasse egli nel Regno di Napoli, in guisa che gli Ecclesiastici per l'avvenire non potessero acquistare beni stabili nè per se stessi, nè per mezzo di altre persone, e che se per avventura per Legato o per altra qualunque via lor pervenissero beni stabili, debbiano quelli vendere e contentarsi del prezzo. Reggendo in quel tempo, per l'assenza del Re da Barcellona, la Regina Elisabetta, questa savissima Principessa, mossa da queste suppliche, degnossi con suo regal dispaccio, spedito in Barcellona a' 19 marzo del 1712 premurosamente comandare al Conte Carlo Borromeo allora nostro Vicerè, che inteso il Collateral Consiglio, ed il Tribunal della Regia Camera l'informasse pienamente con suo parere di quanto occorreva sopra la dimanda fatta, affinchè potesse sopra ciò prender quella risoluzione, che stimerà più giusta e conveniente. In esecuzione di questa regal cedola, che esecutoriata dal Regio Collateral Consiglio fu rimessa alla Regia Camera, fu da questo Tribunale, per ciò che si appartiene a lui, fatta la richiesta relazione, e rimane solamente ora, che lo stesso s'esegua dal Consiglio Collaterale: il quale intanto (ciò pendente) a' ricorsi della città, che invigila ad impedire qualunque novità che frattanto si tentasse dagli Ecclesiastici in far nuovi acquisti, suol ordinare, che con effetto si faccia la domandata relazione a S. M. C. e Cattolica, e frattanto che non s'innovi cos'alcuna.

Non vi è da dubitare, che fra tanti e sì segnalati beneficj, de' quali ha il nostro Augustissimo Principe ricolmo questo suo Regno, tal che sotto tanti, che lo dominarono, non fu veduto mai in istato sì florido e vigoroso, quanto ora, che riposa sotto il clementissimo suo Impero, non s'abbia a sì giusta e gloriosa opera da dare il suo fine e compimento. E tanto più dobbiamo noi ora sicuramente sperarlo, quanto che fra gli altri suoi pregiati beneficj, ha voluto a questi ultimi dì concederne un maggiore, di commettere il Governo di questo Regno al savissimo Cardinal Michele Federico d'Althann, nostro Vicerè, il quale emulando la gloria de' più rinomati e saggi suoi predecessori, fa, che alla cara ed onorata memoria, che a noi è rimasa del giusto e savio Governo del Marchese del Carpio, si accoppii anche la sua, e che siccome pari sono le sollecitudini, che e' tiene in governarci, pari le opere e la sapienza, giusto è, che pari ancora sia la sua gloria e l'immortal suo nome.

FINE DEL NONO ED ULTIMO VOLUME

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