CAPITOLO III.

Di Re Ladislao e sua acclamazione. Nuovo Magistrato istituito in Napoli. Guerre sostenute col Re Luigi II d'Angiò competitore di Ladislao.

Giunta in Napoli l'infelice novella della morte di Re Carlo, la Regina Margarita, ancorchè per qualche tempo proccurasse tenerla occulta, nulladimanco, essendo poi venuta a Roma a Papa Urbano, non potendo ella celarla più, la pubblicò alla città; e con dimostrazione d'infinito dolore celebrò l'esequie, essendo rimasta vedova di trentotto anni ed afflitta, per la poca età del figlio, e per lo timore degli nemici. Furono molti, che le persuasero, che facesse gridare se stessa per Regina, poichè il Regno apparteneva a lei, come nipote carnale della Regina Giovanna I. Ma vinsero quelli che le persuasero, che facesse gridare Re Ladislao suo figlio, col dubbio che il Papa non avesse potuto dire, che la Regina Giovanna non potea trasmettere agli eredi il Regno, essendone stata privata in vita per sentenza, come scismatica. Fu per tanto gridato a' 25 febbraio 1386 per tutta Napoli Re Ladislao, che avea poco più di dieci anni; e la Regina la prima cosa che fece, mandò per Ambasciadore al Papa Antonio Dentice, per mitigarlo, supplicandolo umilmente, che con l'esempio di colui, del quale era Vicario in terra, volesse scordarsi dell'offese del padre, e pigliare la protezione dell'innocente fanciullo, prendendosi quelle Terre del Regno, ch'e' volesse, per darle a' suoi parenti. Il Papa parte mosso a pietà, parte sazio d'aver veduto morto Re Carlo, e parte per disegno di poter disporre di gran parte del Regno, rispose, fuor della natura sua, benignamente, e creò Gonfaloniero di Santa Chiesa Ramondello Orsino, e per un Breve Appostolico gli mandò a comandare che pigliasse la parte del Re Ladislao, e per lo Vescovo di Monopoli suo Nunzio gli mandò ventimila ducati, acciocchè potesse assoldare più genti di quelle che tenea, e con questo la Regina restò alquanto confortata.

Ma Margarita, come donna poco esperta ad un governo tale ed a tal tempo, essendo a lei detto dai suoi Ministri, che le maggiori armi e forze per mantener i Regni sono i danari, avea cari più degli altri quei Ministri, che più danari facevano, senza mirare, se gli facevano per vie giuste o ingiuste, nè dava udienza a coloro che venivano a lamentarsi. Oltra di ciò, avea abbracciata tanto volentieri, ed impressasi nella mente così tenace l'opinione di far danari, che le erano sospetti tutti coloro, ch'entrassero a consigliarla altramente, senza por mente alle persone, se fossero di autorità, e se fossero affezionate alla parte sua. A questo aggiunse di più, che trovandosi aver fatta mala elezione de' primi Uffiziali, e creando poi gli altri a relazione e voto de' primi, quelli non proponevano se non persone dependenti da loro, mirando poco se fossero abili o inabili, onde perderono ogni speranza i Dottori e gli altri uomini prudenti e di giudizio, di potere avere parte alcuna ne' Governi e negli altri Ufficj; e quindi ogni dì si vedean fatti mille torti tanto a' cittadini quanto a' nobili. Per questo i cinque Seggi uniti col Popolo deliberarono di risentirsi, e crearono un nuovo Magistrato che fu chiamato degli Otto Signori del Buono stato, che avessero da provedere, che da' Ministri del Re non si avesse a far cosa ingiusta. Questi otto furono Martuccello dell'Aversana per Capuana, Andrea Carafa per Nido, Giuliano di Costanzo per Portanova, Tuccillo di Tora e Paolo Boccatorto per Montagna e per Porto, Giovanni di Duca, nobili, ed Ottone Pisano, e Stefano Marsato popolani, i quali cominciarono con grandissima autorità ad esercitare il loro Magistrato, andando ogni dì un di loro a' Tribunali, a vedere quel che si facea, affinchè non fosse fatto torto ad alcuno. Talchè in breve parve, che fossero più temuti essi dagli Ufficiali, che gli Ufficiali dal resto della città; nè perchè la Regina col suo Supremo Consiglio facesse ogni sforzo, bastò ad abolire tal Magistrato; onde entrò in grandissimo timore di perdere Napoli, come in breve succedette.

Intanto la Regina Maria vedova del Re Luigi I e madre del picciolo Re Luigi, avendo la protezione di Clemente, era presso il Papa in Avignone a proccurare l'investitura, e lo ristabilimento del suo figliuolo nel Regno, e stante la minorità del medesimo, erasi dichiarata sua governatrice e balia; ma Clemente che non meno degli altri suoi predecessori, pretendeva il Baliato appartenere alla Sede Appostolica, non volle darla, se prima non si pensava il modo da tenere, per togliere questa difficoltà: onde concertato l'affare coi Cardinali e Ministri della Regina, fu risoluto, che la Regina Maria in pubblico Concistoro dimandasse al Papa ed al Collegio il Baliato, siccome fu fatto, e Clemente assentì; da poi il Re e la Regina diedero il giuramento di fedeltà ed omaggio, ed il Papa investì Luigi del Regno, dandogli in segno dell'investitura lo stendardo, e ne gli spedì Bolla nel mese di maggio dell'anno 1385.

La fazione Angioina riconoscendo altro Papa ed altro Re, e fra gli altri Tommaso Sanseverino Gran Contestabile, e Capo della parte Angioina, e della famiglia sua, subito che intese la disposizione in cui stava la città di Napoli, si usurpò il titolo di Vicerè per parte di Luigi II Duca d'Angiò ch'era assente, e convocò un Parlamento per lo ben pubblico ad Ascoli, nel quale vennero tutti i Baroni che aveano seguita quella parte, e con l'esempio di Napoli che avea creati gli Otto del Buono stato della Città, furono eletti in quel Parlamento sei Deputati per lo Buono stato del Regno. Questi furono Tommaso suddetto, Ottone Principe di Taranto, Vincislao Sanseverino Conte di Venosa, Niccolò di Sabrano Conte d'Ariano, Giovanni di Sanframondo Conte di Cerreto, e Francesco della Ratta Conte di Caserta. Nel Parlamento fu anche conchiuso, che avessero tutti i Deputati da unirsi a Montefuscolo con tutte le forze loro, e così fu fatto, perchè due mesi dopo il Parlamento comparvero tutti, e fatto un numero di quattromila cavalli, e duemila fanti, vennero a tentare Aversa, e non potendola avere, vennero a porre il Campo due miglia lontano da Napoli; e mandarono Pietro della Mendolea in Napoli a tentar gli animi degli Otto del Buono stato, ed a sollecitargli che volessero rendere la Città a Re Luigi II d'Angiò, erede della Regina Giovanna I. Gli Otto risposero che non erano per mancare della fede debita al Re Ladislao, ed andarono subito a trovar la Regina, e ad offerirsi d'intervenire alla difesa della città. La Regina adirata, lamentandosi, che tutto quel male era cagionato dal governo loro, stette in punto di fargli carcerare; ma se n'astenne per consiglio del Duca di Sessa, che allora era in Napoli e lor disse, che attendessero a guardar bene la città, perchè verrebbe presto il Confaloniere della Chiesa, ch'era al Contado di Sora a far genti per soccorrerla. Pietro ch'era stato in Napoli due giorni, se ne ritornò al campo con la risposta degli Otto, e disse che Napoli non poteva tardar molto a far novità perchè avea lasciata la plebe alterata, ed i padroni delle ville dolenti di non poter uscire a far la vindemia. Nè fu vano il pronostico, perchè fermandosi il campo dove stava, ad ogni ora correvano i villani ad annunziare a' padroni delle ville i danni che facevano i soldati agli arbusti; onde a' 20 settembre si mossero alcuni cittadini, ed andarono a S. Lorenzo a trovare gli Otto, e far istanza che provvedessero: questi davan loro parole e speranza che fra breve verrebbe il Confaloniere coll'esercito del Papa a liberargli; ma il Popolo minuto che a que' dì soleva uscire per le ville, e portarne uve ed altri frutti, vedendosi privo di quella libertà in tempo che più ne avea bisogno, corse con gran tumulto a S. Lorenzo, e, prese l'armi, sarebbe trascorso a far ogni male, se accorsi da una parte molti Cavalieri e Nobili in difesa degli Otto, e dall'altra interpostisi alcuni gentiluomini vecchi e popolani di rispetto e prudenti, non avessero sedato il rumore. Questi ponendosi in mezzo fra la plebe ed i nobili, cominciarono a trattare con gli Otto il modo d'acquetar il tumulto, ed infine gli Otto temendo che la plebe non corresse ad aprire la porta del mercato a' Deputati del Regno, vennero a contentarsi di trattar una tregua che i cittadini potessero uscire per le loro ville, ed i soldati de' Deputati potessero a trenta insieme entrare nella città, per quel che loro bisognava.

La Regina, che per l'odio che portava agli Otto, avea avuto piacere di questo tumulto, con isperanza, che la plebe gli avesse tagliati a pezzi, ebbe dispiacere quando intese, che n'era uscita questa tregua, per la quale tutti que' del suo Consiglio diceano che Napoli potea tenersi per perduta; onde per darci qualche rimedio operò, che l'Arcivescovo Niccolò Zanasio, che al Bozzuto era succeduto, l'Abate di S. Severino, ed alcuni altri Religiosi cavalcassero per la città, sollevando un'altra volta la plebe, con dire, ch'era vergogna, che un popolo così cristiano ed amato tanto da Papa Urbano vero Pontefice, sopportasse, che praticasser per Napoli i soldati dell'Antipapa scismatico; e mentre andavano predicando con simili parole, alcuni nobili di Portanova cominciarono a riprendergli, con dir loro, ch'era ufficio di mali Religiosi andar concitando sedizioni e discordie, e massimamente ad un popolo, al quale essendo una volta tolto il freno, poi non se gli può agevolmente riporre; e rispondendo l'Arcivescovo superbamente, e più gli altri, ch'erano con lui, fidandosi all'Ordine Sacro furono alcuni di loro malamente conci e feriti. Ma due dì da poi, essendo venuto avviso alla Regina che Ramondello veniva con molta gente, i Ministri della Regina senza fare stima degli Otto, si armarono con tutti coloro, ch'erano della fazione di Durazzo, sotto pretesto di voler cacciare i soldati, ch'erano entrati; ma poi corsero alle case d'alcuni Cavalieri, ch'erano reputati affezionati alla parte Angioina, i quali, prese l'armi, cominciarono gagliardamente a difendersi: gli Otto mandarono subito a dire all'una e all'altra parte che posassero l'armi, e non meno da questo comandamento, che dalla notte, che sopravvenne, la zuffa fu divisa. Ma il dì seguente essendo giunto l'avviso, che Ramondello era a Capua, gli Otto e quelli della parte Angioina temendo d'essere sterminati, mandarono a dire a Tommaso Sanseverino, che trasferisse il Campo alle Correggie, dove la sera venne. Vennero ancora in questo tempo di Provenza due galee, mandate dal Re Luigi con venticinquemila ducati per la paga de' soldati; il che inteso dalla Regina Margarita, si partì dal castel dell'Uovo, ove erasi ritirata, e disperando dello stato del figliuolo, se ne andò a Gaeta che fu a lei, ed a Ladislao sempre fedele, dove durando queste guerre, stette per tredici anni. Ma appena giunto la sera il campo nemico alle Correggie, la mattina seguente all'alba venne Ramondello, ed entrò come nemico nella città per la porta Capuana, che gli fu subito aperta, perchè la città fin a quell'ora stava nella fede del Re Ladislao, e fece gridare: Viva Urbano, e Re Ladislao. Gli Otto del Buono stato con la maggior parte de' Nobili, stavano a Nido armati, gridando: Viva Re Ladislao, e 'l Buono stato. Ma Ramondello, giunto che fu a Nido, diede sopra di essi, e gli ributtò con morte di molti, sin a' cancelli di S. Chiara; allora si mossero que' di Portanova e di Porto, ch'erano della parte Angioina, ed andarono ad aprire Porta Petruccia: onde entrato l'esercito de' Deputati, una parte corse a dar soccorso agli Otto e l'altra con gran furia diede sopra a' soldati di Ramondello, gridando: Viva Re Luigi, e Papa Clemente. Questi cominciando a cedere, obbligarono Ramondello a ritirarsi a Nola, onde la città venne interamente in mano di Tommaso Sanseverino, il quale rimasto vincitore, richiesto dagli Otto del Buono stato, provide con molti banni, che non fosse fatta violenza alle case della parte contraria, e 'l dì seguente fatto salvocondutto a tutti, fece giurare omaggio nella chiesa di S. Chiara in nome di Re Luigi II, del quale si faceva chiamare Vicerè, e lasciando pochi soldati dentro la città, distribuì gli altri per li Casali.

Poichè Tommaso Sanseverino a questo modo ebbe acquistata la città di Napoli, considerando, che non molto tempo potea tenerla contra le forze esterne; propose in un Parlamento de' Baroni della parte Angioina, e de' più nobili e potenti Napoletani, che si dovesse da parte del Baronaggio e della città mandare a Re Luigi ed a Papa Clemente, e far loro intendere, come s'erano ridotti all'ubbidienza loro con più affezione che forza, e ch'era necessario, che mandassero gagliardi ajuti per poter non solo assicurare la parte Angioina, ma ponere affatto a terra la parte della Regina e di Papa Urbano, contra i quali non potrebbero con le forze del Regno molto tempo resistere. Fu subito conchiuso, che si mandasse, e furono eletti più Ambasciadori, i quali navigando felicemente giunsero a Marsiglia, ove ritrovarono Luigi, e lo salutarono per Re, e n'ebbero gratissime accoglienze, e lo sollecitarono, o a venir subito, dov'era con gran desiderio aspettato, o che mandasse supplimento di gente e di danari. Ed essendosi trattenuti alcuni dì, conoscendo in fine, essere quel Signore di natura nell'azioni sue tepido e non così fornito di danari, che se ne potesse aver gagliardo e presto soccorso; andarono ad Avignone a trovar Papa Clemente, dal quale sapevano, che avrebbero migliori recapiti, per togliere l'ubbidienza a Papa Urbano suo nemico. Ebbe Clemente cara molto la venuta degli Ambasciadori, e pigliò molto piacere d'intendere da loro, quanto picciola parte del Regno era rimasta all'ubbidienza d'Urbano, e della speranza gli davano di torgli in breve il rimanente; e poichè in Concistoro pubblico ebbe sommamente lodata la città ed i Baroni, che conoscendo la giustizia della causa, s'erano partiti dall'ubbidienza del Papa scismatico (che così chiamava egli Urbano) ed erano venuti all'ubbidienza sua, ch'era vero e legittimo Papa, e che ricordevoli de' beneficj ricevuti dalla buona Regina Giovanna, avessero eletto di seguire la parte di Re Luigi suo legittimo erede, cacciando l'erede del tiranno ed invasore, che con tanta ingratitudine l'avea privata del Regno e della vita; promise grandissimi e presti ajuti, e che avrebbe fra pochi dì coronato Re Luigi e proccurato, che venisse con grand'esercito nel Regno.

Gli Ambasciadori, ancorchè vedessero con quanta veemenza il Papa avea parlato, pur avendo in quelli dì inteso per lettere, che la plebe di Napoli era impaziente degl'incomodi d'un assedio, e che Papa Urbano e la Regina Margarita si apparecchiavano di mandare ad assediare la città per mare e per terra, ringraziarono il Papa degli aiuti promessi, e lo pregarono, che fosse quanto prima era possibile; ed assicurandoli il Papa, che non avea cosa al Mondo più a cuore di questa, ed avendo ad alcuni di loro concesse riserve di beneficj per parenti loro, si partirono contentissimi. Giunsero costoro verso la fine dell'anno in Napoli e rallegrarono la città, con la speranza dell'apparato, che aveano lasciato, che si faceva in Marsiglia ed in Genova, e con la relazione della liberalità, clemenza e dolcezza de' costumi del Re Luigi, e della prontezza di Papa Clemente: tal che a tutti parea la guerra finita.

Mentre queste cose s'erano trattate in Provenza, dall'altra parte Ramondello Ursino e la Regina Margarita facevano ogni forzo per impedire a Napoli i viveri, acciocchè per fame la città dovesse rendersi; ma per la vigilanza del Sanseverino, liberata la città di questo timore, ed essendo giunte a Napoli alcune galee di Provenza, mandate da Papa Clemente con trentamila scudi d'oro per paga dell'esercito, e provista Napoli di vettovaglie; la Regina, disperata di non averla per fame, se ne ritornò a Gaeta. Pochi dì da poi che la Regina fu ritornata a Gaeta, giunse l'armata provenzale in Napoli, ed in essa venne con titolo di Vicerè e di capitan generale Monsignor di Mongioja, e da' Napoletani e da tutti coloro, che nel Regno seguivano la parte Angioina, ne fu fatta grand'allegrezza; non considerando quel che n'avvenne; poichè per la sua alterigia fu più tosto cagione di turbare che di stabilire il Regno al Re Luigi. Perchè Tommaso Sanseverino restò offeso, che il Re non gli avesse mandata la conferma di Vicerè, e per disdegno se n'andò alle sue terre, e pochi dì da poi trattando il Mongioja col principe Ottone, non con quel rispetto, che conveniva a tal Signore per la nobiltà del sangue, per essere stato marito d'una Regina, e per la virtù e valor suo nell'arme: il Principe si partì con le sue genti, e se n'andò a Santa Agata de' Goti. I Signori del Buono stato uniti andarono a ritrovare il Mongioja e gli dissero, che il modo ch'egli tenea, farebbe in breve spazio perdere il Regno, alienando gli animi de' più potenti Signori, e ch'era necessario, che in ogni modo cercasse di placare il principe Ottone: ed ancorchè il Mongioja avesse dato il pensiere ad essi di placarlo, nulladimanco furono inutili tutti i trattati, per li molti patti, che voleva il Principe, i quali non solo al Vicerè, ma a tutt'i Cavalieri parvero soverchi, e non degni d'essere conceduti. E da questo s'accorsero, che il Principe a quel tempo doveva esser in pratica di passarsene alla parte della Regina, il che si confermò poi, perchè si vide, che alzò subito le bandiere di Durazzo. Angelo di Costanzo per questo credette esser vero quel, che in un breve compendio scritto a penna di Paris de Puteo avea letto, che il Principe avea fatto disegno di pigliarsi la Regina Margarita per moglie, e che quella donna sagacissima per tirarlo alla parte sua, glie ne avea data speranza; ma poi con iscusandosi che Papa Urbano non volea dispensarvi, per essere stata la regina Giovanna prima moglie del Principe, zia carnale della regina Margarita, lo lasciò deluso a tempo, che per vergogna non poteva mutar proposito, e seguì fin alla morte quella parte; onde seguirono molte novità, e la parte di Durazzo cominciava ad entrare in isperanza di poter ricuperar Napoli ed il resto del Regno, che si teneva per Re Luigi;

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