LIBRO VENTESIMOSECONDO

Morto re Carlo II nacque subito quella famosa quistione tra il zio ed il nipote sopra la successione del Regno; poichè dall'una parte il giovanetto Re d'Ungheria mandò Ambasciadori a Papa Clemente a dimandar l'investitura, non già come nipote, secondo l'error di Tiraquello, ma come figliuolo di Carlo Martello primogenito del Re Carlo II. Dall'altra parte Roberto Duca di Calabria, ch'era allora col Papa in Avignone, diceva, che l'investitura doveasi a lui, come a figlio, e più prossimo in grado al Re morto. Fu con molte discussioni avute innanzi al Collegio de' Cardinali esaminato il punto: nel che importò molto al Duca di Calabria l'opera di Bartolommeo di Capua Dottore eccellentissimo, ed uomo, che per aver tenuto il primo luogo molt'anni nel Consiglio di Re Carlo, era divenuto per molta isperienza prudentissimo in pratiche di Stato. Costui trattò con molto valore la difesa del Duca, e tra le opere di Luca di Penna, e di Matteo d'Afflitto leggiamo le sue allegazioni ch'egli compose per questa causa. Scrisse ancora per Roberto, Niccolò Ruffolo valente Dottore di que' tempi, le cui allegazioni leggiamo impresse ne' volumi di Luca di Penna. E Gio. Vincenzo Ciarlanti vuole, che Roberto avesse seco condotto ad Avignone anche Andrea d'Isernia pur famoso Giureconsulto, perchè insieme col Capua prendesse la sua difesa. Chi sostenesse le parti di Caroberto non abbiam memoria; e se dobbiamo prestar fede a ciò, che di questa contesa ne scrisse Baldo Perugino, non fu egli presso il Papa difeso, come ad una cotal difficile ed intrigata quistione si conveniva.

Ma ciò che sopra ogni altro rese al giudicio del Mondo, ed agli Scrittori giusta e prudente la decisione del Pontefice Clemente V a favor di Roberto, fu che Bartolommeo di Capua trattò questa causa non semplicemente da Dottore, ma dimostrò al Papa ed a' Cardinali, che oltre a quella ragione, che davano le leggi al Duca di Calabria, era necessario per l'utilità pubblica d'Italia, e del nome cristiano, che il Regno dovesse darsi a Roberto Signor savio ed espertissimo in pace ed in guerra, riputato un altro Salomone dell'età sua; e non più tosto al giovanetto Re, il quale senza conoscimento alcuno delle cose d'Italia nato, ed allevato in Ungheria, fra' costumi del tutto alieni dagl'Italiani, essendo costretto di governare il Regno per mezzo di Ministri e Baroni ungari, a niun modo avria potuto mantenerlo in pace, parendo ancora cosa non meno impossibile, che inconveniente, che il Duca di Calabria, il Principe di Taranto, ed il Principe d'Acaja zii del Re, e Signori nel Regno tanto potenti, avessero a star soggetti a' Baroni Ungari; onde dopo molte discussioni, al fine fu sentenziato in favor di Roberto, ed al primo d'Agosto di quest'anno 1309 fu dichiarato in pubblico Concistoro Re di Sicilia ed erede degli altri Stati del Re Carlo suo padre; ed a' 26 del detto mese fu da Roberto in mano del Pontefice dato il giuramento di fedeltà e ligio omaggio, e ricevè dal medesimo l'investitura non meno di questo regno di Puglia, che di quello di Sicilia; poichè i Pontefici romani, avendo per intrusi i Re Aragonesi, che possedevano la Sicilia senza ricercarne da essi investitura, per non pregiudicare le loro ragioni, investivano gli Angioini, così dell'uno, come dell'altro, secondo l'antico stile ed usitate formole. Questa investitura, oltre essere stata raccolta dal Chioccarelli nel primo tomo de' M. S. giurisdizionali, si legge tra le Scritture del regale Archivio, ove fra i soliti patti e convenzioni, Roberto s'obbliga pagar ogni anno alla S. Sede nel dì di S. Pietro ottomila once d'oro per censo, in recognizione del Feudo: replicandosi ancora ciò, che nell'altre investiture era stabilito, che la città di Benevento restasse esclusa, e come fuori del Regno rimanesse per sempre in dominio utile e diretto della Chiesa romana. Così agli 8 di settembre nella città d'Avignone fu Roberto con tutte le solite cerimonie e con ogni pompa e celebrità incoronato Re; ed il Papa a maggior dimostrazione di benevolenza, gli donò per autentica Bolla sottoscritta da tutto il Collegio, una gran somma di denari, che fu creduto passar trecentomila once d'oro, che dal Re Carlo suo padre e suo Avo, si doveano alla Chiesa romana per le spese fatte da Papa Bonifacio VIII, e suoi predecessori, nella spedizione di Sicilia.

Essendo tutte queste cose trattate in Avignone nel Ponteficato di Clemente V, è gran meraviglia, come dai nostri Professori si creda Autore di tal sentenza il Pontefice Bonifacio VIII, che più anni prima era stato fatto prigioniere in Anagni da' Colonnesi, e morto in Roma per dolor d'animo. Nel che non è condonabile l'error di Tiraquello, e di alcuni altri, che contro ciò che si legge in tutti i più gravi Storici, scrissero, che Bonifacio avesse sentenziato a favor di Roberto, ingannato forse da ciò che si legge ne' Commentari di Baldo, i quali secondo le edizioni vulgate, contenendo molte scorrezioni, sono stati cagione a lui ed agli altri di simili errori.

Fu tal sentenza commendata da Bartolo, e quel ch'è più da Cino da Pistoia, quel severissimo censore de' Pontefici e della Corte romana; e quantunque Baldo una volta la riprovasse, dicendo che in ciò il Papa fuit magis partialis, quam talis qualis esse debuerat: nulladimanco esaminando altrove la questione, e trovatala piena di difficoltà, e non così facile a determinare, tanto che fu costretto di dire, solvat Apollo, soggiunge, che avendo così determinato la Sede appostolica, esset ridiculum, et quasi haereticum disputare, quia injuriam facit judicio Reverendissimae Synodi, delle quali parole si valse anche il nostro Matteo d'Afflitto.

Fu ella poi, come rapporta anche Bzovio, confermata da Benedetto XII, il quale avendo per mezzo de' suoi Legati ricevuto il giuramento di fedeltà e ligio omaggio da Roberto, gli confermò il Regno e ne lo investì con le medesime condizioni, che erano nell'investitura del Re Carlo I suo Avo. Nè sono mancati Giureconsulti gravissimi, che l'han sostenuta con ragioni e con esempli, come Cujacio, Ottomano, Morisco, Mariana, Arniseo e tanti altri. Quindi avvenne, che Roberto per mostrare che egli, perchè nato prima e come più prossimo in grado di Caroberto, dovea godere, ad esclusione di costui, della primogenitura, s'intitolava: Robertus primogenitus, etc. come assai a proposito avvertì anche Gio. Antonio de Nigris ne' suoi Commentarj.

Roberto adunque, favorito in tanti modi da Papa ad capit. Rober. incip. privilegia, cap. 1. Clemente partì da Provenza per Italia, e quivi per mostrarsi grato al Pontefice, cavalcò per tutte le città, favoreggiando i Guelfi, e dichiarando, ch'egli sarebbe stato inimico a tutti coloro che cercassero d'infestare lo Stato ecclesiastico ed i partegiani suoi.

Giunse finalmente in Napoli, dove con pompa reale e con testimonio universale di gran contento il riceverono; poichè non solo ciascuna provincia del Regno, ma ogni Terra di qualche nome gli mandò Sindici a visitarlo e ad ossequiarlo: ed egli per mostrarsi meritevole del giudizio del Papa e della benivolenza de' Popoli, cavalcò per tutto il Regno riconoscendo i trattamenti de' Baroni e degli Ufficiali co' sudditi, con accarezzare quelli che si portavano bene; e per contrario riprese gl'ingiusti e tiranni, ordinando, che dovessero inviolabilmente osservare le leggi ed i Capitoli del Regno, che suo avo e padre aveano stabiliti. Tornato a Napoli, creò Duca di Calabria Carlo suo unigenito, ed onorò molti gran Baroni del titolo di Conte; e calcando le vestigia de' suoi maggiori, cominciò a far vie più bella e magnifica la città, non avendo ancor cagione alcuna di guerra. Diede in quest'anno 1310 principio al monastero di S. Chiara, luogo per Monache in ampio numero di quell'Ordine, con un separato Convento per molti Religiosi Conventuali, e piacquegli dichiarare questa magnifica chiesa, che fosse sua Cappella regia. Fabbrica, che in magnificenza e grandezza non cede a niun altro edificio moderno d'Italia: ed è fama, che dal dì primo del suo Regno destinò tremila ducati il mese da spendersi, mentre e' vivea, prima in edificare la chiesa, e' Conventi, e poscia in comprare possessioni, de' cui frutti potessero vivere le Monache e' Frati. E vi è chi scrisse, che Roberto per ammenda della morte proccurata a Carlo Martello suo fratello, affin di succedere al Regno, avesse usata tanta profusione in opera così pietosa; quasi che bastasse a cancellare tanta scelleraggine (se fosse vero il sospetto, che s'ebbe di lui) un tal edificio; e come se agli uomini per purgare i loro misfatti, bastasse il fabbricar chiese e monasterj, ed arricchirgli d'ampie rendite e possessioni. Scipione Ammirato ne' suoi Ritratti narra, essere stato ricevuto di mano in mano dalle memorie degli antichi in Napoli, che avendo Roberto condotta a fine la fabbrica di questa Chiesa, domandò al Duca di Calabria suo figliuolo quel che gliene paresse: a cui il Duca non per irreverenza, ma per non adular il padre, liberamente rispose, che gli parea, che fosse fatta a somiglianza d'una stalla. E ciò disse, perchè non avendo la chiesa ale, le piccole cappelle, che intorno son poste di mala grazia, che non continuano infino al tetto, rendono somiglianza di mangiatoje. Ma il Re, o come è natura di ciascuno, che senta con mal grado chi biasima le sue cose, o pur da divino spirito commosso: Piaccia a Dio, gli disse, o Figliuolo, che voi non siate il primo a mangiare in questa Stalla. E non è dubbio alcuno, il primo del Sangue Reale, che si seppellisse in S. Chiara, essere stato il Duca Carlo.

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