LIBRO VENTESIMOSETTIMO

Quanto gli ultimi anni del Regno d'Alfonso furono tutti placidi e sereni, altrettanto quelli di Ferdinando suo figliuolo furono pieni di turbolenze e di confusioni. Si rinnovarono le antiche calamità, e si vide il Regno di bel nuovo ora con rivoluzioni interne tutto sconvolto, ora da esterni nemici combattuto ed invaso. Carlo Principe di Viana fece pratiche co' Napoletani perchè lo gridassero Re. Il Papa lo pretendeva devoluto alla sua Sede. I Baroni congiurati invitano alla conquista del Regno il Re Giovanni, come acquistato con le forze della Corona di Aragona, e non senza gran sua fatica. Rifiutato da costui l'invito, ricorrono a Giovanni d'Angiò figliuolo di Renato, che per le paterne ragioni lo pretendeva, e Duca di Calabria si facea perciò chiamare; e riusciti anche vani questi loro sforzi, congiurano di nuovo, ed il Pontefice Innocenzio VIII lor s'unisce, e gli move guerra. Tante procelle, tanti fastidiosi e potenti nemici ebbe a superar Ferdinando per mantenersi nella possessione del Regno.

Appena morto il Re Alfonso, il Principe di Viana, come si è detto, era venuto in Napoli a questo fine, per mezzo di molti Baroni catalani e siciliani, ch'erano stati intimi del Re Alfonso, tentò far pratiche co' Napoletani perchè lo gridassero Re. Come figliuolo del Re Giovanni pretendeva, che egli fosse il legittimo successore del Regno, e che Re Alfonso non poteva lasciarlo a Ferdinando suo figliuol bastardo, per essere stato acquistato con le forze della Corona di Aragona. Era ancora entrato in qualche speranza per l'alienazione del Papa da Ferdinando, e per l'avversione ed odio d'alcuni Baroni, che portavano al medesimo: ed all'incontro per l'affezione, che il Principe s'avea guadagnato co' medesimi per la sua umanità e mansuetudine. Ma la città di Napoli, e molti Baroni, ricordevoli del giuramento, e delle promesse fatte ad Alfonso gridarono subito: Viva Re Ferrante Signor nostro; il quale cavalcando per la città, e per li Seggi ricevè le acclamazioni di tutto il Popolo. Quando il Principe vide questo, si risolvè tosto di abbandonar l'impresa, e salito in una nave, che stava in ancora nel Porto, partì per passar in Sicilia, e con lui s'imbarcarono tutti quei Catalani, che dal Re Alfonso non aveano avuti Stati nel Regno.

Ma quantunque Ferdinando s'avesse tolto davanti quest'ostacolo, non era però sicuro dall'insidie di Papa Calisto; egli ancorchè proccurasse per via di messi e di lettere piene di sommessione e di rispetto renderselo amico, con tutto ciò trovò sempre nel Papa somma ostinazione. Avea Calisto fatta deliberazione di non confermare nella successione il nuovo Re, e di dichiarare il Regno esser devoluto alla sua Sede. Diceva, che il Re non poteva darlo a D. Ferrante, che non gli era figlio, nè legittimo, nè naturale: che s'era fatto gran torto al Re Giovanni suo fratello, levando dall'eredità il Regno di Napoli, che come conquistato con la forza della Corona d'Aragona, e non senza gran fatica del Re Giovanni, non dovea smembrarsi dagli altri Regni d'Aragona e di Sicilia. Tutte queste cose erano indrizzate al fine, ch'egli teneva, togliendo il Regno a Ferdinando, ed investendone altri, di far grande in questo Regno Pier Luigi Borgia suo nipote, da lui già fatto Duca di Spoleto. Ma Ferdinando con l'avviso di tutte queste cose non si perdè mai d'animo, ed attese ad insignorirsi del Regno, e chiamò a Parlamento generale i Baroni e' Popoli, i quali essendo subito in gran parte comparsi, gli giurarono omaggio senza dimostrazione di mal animo. In questo Parlamento si trovarono ancora due Ambasciadori del Duca di Milano, i quali in pubblico e in privato persuasero a' Baroni d'osservar la fede, e godersi quella pace, ch'aveano in tempo d'Alfonso goduta sedici anni continui, per la quale il Regno era venuto in tanta ricchezza, e dissero pubblicamente che l'animo del Duca di Milano era di porre lo Stato e la vita in pericolo, per favorire le cose del Re. Con questo i Sindici delle Terre e i Baroni se ne tornarono a casa con speranza di quiete.

Ma dall'altra parte Papa Calisto, a' 12 luglio di questo medesimo anno 1458, diede fuori una Bolla, colla quale rivocando la Bolla di Papa Eugenio dichiarava il Duca di Calabria affatto inabile a succedere al Regno, dicendo, che quella fu sorrettiziamente impetrata, perchè il Duca era supposto, e non figliuol vero del Re Alfonso; e perciò dichiarava il Regno devoluto alla Chiesa romana: assolveva dal giuramento quelli, che avevano giurato a Ferdinando, ed ordinava a tutti i Prelati, persone ecclesiastiche, Baroni, città e Popoli del Regno, che sotto pena di scomunica e d'interdetto non l'ubbidissero, non lo tenessero per Re, nè gli dassero il giuramento di fedeltà, ed in caso si trovassero averglielo dato, da quello gli assolveva; e fece affiggere Cartoni per diversi luoghi del Regno, dove tutto ciò si conteneva. Narra Angelo di Costanzo, che questa Bolla non solo nel Regno, ma per tutta Italia diede gran maraviglia, vedendosi (come se il Papato trasformasse gli uomini) che Calisto, il quale era stato tanto tempo tra gl'intimi servidori e Consiglieri d'Alfonso, e col favor di lui era stato fatto Cardinale e poi Papa, usasse ora tanta ingratitudine a Ferdinando suo figliuolo. Altri cominciavano a dubitare, che potesse esser vero quel che il Papa diceva, che Ferdinando non fosse figlio vero d'Alfonso, ma supposto; poichè niun meglio di lui, che fu suo intrinseco famigliare, poteva saperlo, e che per ciò fosse mosso da buon zelo di voler far pervenire il Regno in mano di Re Giovanni. In effetto questi Cartoni, dice questo Scrittore, furono gran cagione di confermare nell'opinione quelli Baroni, che si volevano ribellare, e d'invitarvi altri, che ancora non ci avevano pensato; e che senza dubbio, se non fosse opportunamente successa la morte di Papa Calisto, Re Ferrante avanti che fosse coronato avrebbe perduto il Regno.

Non tralasciava intanto il Re opporsi a' disegni di Calisto: in presenza del suo Nunzio lo ricusò come a lui sospetto; appellò dalla dichiarazione d'esser devoluto il Regno alla Chiesa, e gli scrisse in risposta della Bolla ch'egli era Re per la grazia d'Iddio N. S., per beneficio del Re Alfonso suo padre, per acclamazione e consentimento de' Baroni e delle città del Regno che lo riconoscevano per tale; e che se mal vi si fosse ricercato altro, pure egli avea lo concessioni di due Papi suoi predecessori, Eugenio e Niccolò; e ch'egli possedendo il Regno con tanti giusti titoli non si sarebbe sgomentato per le sue minacce e per li suoi irragionevoli fulmini. Scrisse ancora con molto ossequio al collegio de' Cardinali, pregandogli ch'essendo di tanta prudenza, dovessero proccurare la quiete d'Italia e di placar il Pontefice, e ridurlo in buona via: che pensassero che era pur troppo vergognoso ad un Principe d'animo vigoroso lasciar un Regno, se non unito colla vita. S'interposero alcuni Cardinali per la pace, ma riuscì vana ogni loro opera. Il Duca di Milano mandò ancor egli a pregarlo, con fargli ancor sentire, che facendo altramente si vedea obbligato di prender la difesa del Re, non solo per ragione della parentela, ma anche per le condizioni della lega ch'era tra loro. Calisto però sempre implacabile ed ostinato, rifiutò ogni mezzo ed intercessore, tanto che il Re Ferdinando co' suoi partigiani deliberarono di mandar Ambasciadori al Papa in nome del Regno, perchè interponessero alla dichiarazione fatta un'altra consimile appellazione come quella del Re. A costoro Ferdinando aggiunse i suoi, li quali portatisi in Roma furono ricevuti come Ambasciadori del Re e del Regno. Trovarono il Papa infermo, onde non furono ammessi alla sua udienza; ma non patendo l'affare molta dilazione, ciascheduno degli Ambasciadori in nome di chi gl'inviò, fece ciò che gli conveniva. Ricusarono per pubblici atti la persona di Calisto, come sospetto al Re ed al Regno; appellarono nuovamente dalla dichiarazione fatta da lui; e dichiararono in nome del Regno, che così come tenevano il Re Ferrante per loro Re e Signore, così pregavano il Papa, che come legittimo Re, secondo il costume de' loro maggiori, gli dasse l'investitura del Regno.

Mentre queste cose si facevano, il Papa tuttavia andava peggiorando, onde il Re determinò non moversi punto infin che vedesse l'esito della sua infermità: ma la lunga età, i tanti dispiaceri sofferti, e più la malinconia nella quale erasi posto, per aver inteso che il Re Giovanni non voleva che Ferdinando si turbasse nella possessione del Regno, gli fecero finir la vita a' 6 d'agosto di quest'anno 1458, dopo tre anni e quattro mesi di Pontificato. Così i suoi vasti pensieri e la sua albagia di voler innalzare tanto Pier Luigi suo nipote finirono colla sua morte.

Il Re pien di contento insinuò tosto a' suoi Ambasciadori, ed a que' del Regno ed all'Arcivescovo di Benevento, che si trovavano in Roma, ed agli altri che vi mandò poi, che facessero ogni opera che l'elezione del nuovo Pontefice sortisse in persona di sua affezione, come cosa tanto importante al suo Stato; ed entrati i Cardinali in Conclave, crearono a' 27 dello stesso mese d'agosto Enea Silvio Piccolomini Sanese, che fu chiamato Pio II, uomo letterato, siccome mostrano le sue opere che ci lasciò: ancorchè la condizione del Pontificato gli fece mutar poi sentimenti, poichè in altra guisa scrisse quando fu privato Segretario dell'Imperador Federico III, d'altra maniera fece essendo Papa. Con tutto ciò fu egli amator di pace ed affezionato del Re Alfonso, perchè essendo Segretario dell'Imperador Federico III, e con lui venuto in Napoli, partecipò de' favori e della munificenza di quello. Il Re intesa la creazione mandò subito Francesco del Balzo Duca d'Andria a rallegrarsi, ed a dargli ubbidienza, il quale trovò il Papa tanto benigno, che ottenne quel che volle: fu poi spedito Antonio d'Alessandro, quel nostro celebre e rinomato Giureconsulto per domandargli l'investitura; ma il Papa in questa congiuntura non volle trascurare gl'interessi della sua Sede: gli fu accordata ma con molti patti cioè, che si pagassero i censi non pagati; si dasse volentieri al Papa aiuto sempre che ne facesse istanza; restituisse alla Chiesa Benevento e Terracina; ed alcuni altri patti furono accordati in nome del Papa da Bernardo Vescovo di Spoleto ed in nome del Re da Antonio d'Alessandro. Fu da Pio II a' 2 novembre di quest'anno 1458 spedita Bolla, colla quale confermò li Capitoli accordati da' suddetti Cardinali destinati dal Papa e dal Re circa l'investitura del Regno, del suo censo e coronazione, e circa la restituzione di Benevento e Terracina. Fu poi a' 10 dello stesso mese istromentata la Bolla dell'investitura del Regno di Napoli al Re Ferdinando, che fu consultata in maggior parte e dettata da Antonio d'Alessandro. Se ne spedirono poi due altre a' 2 decembre: nella prima il Pontefice avvisava Ferdinando, che gli mandava il Cardinal Latino Legato apostolico a coronarlo del Regno di Napoli, al quale il Re dovesse dare il solito giuramento di ligio omaggio; nella seconda rivoca la Bolla di Calisto III, per la quale s'era dichiarato il Regno devoluto, e dice le ragioni onde si movea a rivocarla. Spedì ancora un'altra Bolla di commessione al Cardinal Latino per la detta coronazione, il quale partito di Roma venne in Puglia, e Ferdinando in sue mani diede il giuramento e fu coronato.

(Le convenzioni stabilite tra 'l Papa ed il Re; la Bolla colla quale si rivoca quella di Papa Calisto; il Breve di Pio al Cardinal Latino, per la coronazione di Ferdinando; e la Bolla dell'investitura colla formola del giuramento di fedeltà, si leggono pure presso Lunig ).

Il Zurita vuole, che il Re si coronasse in Bari; ma il Costanzo e gli altri più accurati Scrittori, narrano che la coronazione si fece in Barletta a' 4 febbraio del nuovo anno 1459, in presenza di quasi tutti i Baroni con solennità e grandi apparati. Il P. Beatillo per mostrarsi costante nella favolosa coronazione di ferro, che credette per antico uso farsi in Bari, dice che in Bari nella chiesa di S. Niccolò fu coronato colla corona di ferro, poi in Barletta con quella d'oro; ma siccome da noi fu altrove detto, questa coronazione di ferro in Bari è tutta sognata e favolosa.

Furono coniate nuove monete da Ferdinando in memoria di questa celebrità, che si chiamarono per ciò coronati.

(Fra le monete del Regno di Napoli, impresse dal Vergara in Roma l'anno 1715 nella tavola XXIII si vedono anche impressi questi coronati di Ferdinando, in uno de' quali n. 3 da una parte mirasi la croce di Gerusalemme (che il Summonte tom. 3 lib. 5 cap. 2 la suppone Arme della provincia di Calabria) ed intorno FERDINANDUS D. G. R. SICILI. IER. VNG. e dall'altra ha l'immagine del Re sedente collo scettro ed il mondo nelle mani, alla destra il Cardinale ed alla sinistra un Vescovo che l'incoronano, coll'iscrizione intorno CORONATUS: Q. LEGITIME: CERTAVI).

Ferdinando non s'intitolava, come suo padre, Re dell'una e l'altra Sicilia, ma e nelle monete e nei diplomi, usava questo titolo: Ferdinandus Dei gratia Rex Siciliae, Hierusalem, et Ungariae: poichè i Regni di Gerusalemme e di Ungaria s'appartenevano alla Corona di Napoli. Nel dì di questa coronazione si mostrò con tutti molto splendido e liberale; poichè non fu persona di qualche merito, che non se ne tornasse a casa ben soddisfatta; co' Baroni e nobili trattò amichevolmente, donando loro titoli, ufficj e dignità, e fece Cavalieri quasi tutti i Sindici delle terre del Regno. Ornò ancora Cavalieri molti vassalli di Baroni; il che come notò il Costanzo e si conobbe poi, lo fece per astuzia, per tenere spie ed aver notizia per mezzo di essi della vita ed azioni de' Baroni. Concesse a' popoli del Regno nuovi beneficj, sgravandogli di molte gabelle. Agli Spagnuoli che vollero appresso di se rimanere, promise la sua buona grazia e familiarità: a coloro che vollero ritornare in Ispagna, accompagnati con molti doni, onoratissimamente diede licenza. Fu riconoscente de' favori del Papa, poichè nel 1461 sposò Maria sua figliuola naturale ad Antonio Piccolomini nipote di Pio, dandogli in dote il Ducato d'Amalfi con il Contado di Celano, e l'ufficio di Gran Giustiziere, vacato per morte di Raimondo Orsini; onde pareva, che con questa amicizia del Papa, colla parentela del Duca di Milano, e con aversi resi con queste rimunerazioni benevoli molti Baroni e' popoli, gli animi di molti, che stavano sollevati, si quietassero.

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