Libro duodecimo

Il Regno di Guglielmo I non tanto per le forze d'esterior nemico, quanto per l'interne rivoluzioni dei suoi Baroni, fu tutto perturbato e sconvolto, e si rese memorabile più per le congiure e sedizioni contro la sua persona, e de' maggiori personaggi della sua Corte, che per guerre e battaglie. Cagione di tanti mali fu l'aver voluto questo Principe dispregiare le azioni dell'ottimo padre, e permettere che lo stato della Corte, con tanta industria da colui riformato in meglio, andasse in ruina, avendo egli que' personaggi, che Ruggiero avea tenuti per suoi famigliari, parte condennati in esilio, e parte imprigionati. Ma assai più che conveniva, avendo innalzato Majone di Bari a' primi onori del Regno, e fattolo suo Grand'Ammiraglio, pose anche in sua mano tutto il governo del Regno: e gli fu sì caro, che dove agli altri era cupo ed austero, a costui solo era aperto e trattabile: di che offesi i principali Baroni s'alienarono da lui in maniera, che gli posero sossopra il Regno, come di qui a poco diremo.

Egli, morto il padre, ancorchè poco men, che quattro anni avesse regnato in sua compagnia, fece tosto convocare tutti i Prelati e Baroni del Regno, e si fece di nuovo solennemente incoronare in Palermo nel giorno di Pasqua di quest'istesso anno 1154. E non guari dopo tanta celebrità, succederono le pompe e le feste per la nascita di Guglielmo suo secondo figliuolo, natogli in questo medesimo anno dalla Regina Margherita sua moglie, figliuola che fu di Garzia II Re di Navarra; poichè Ruggiero suo primogenito era nato già in vita dell'avolo. Così nella Casa regale non v'erano altri Principi del sangue, che Ruggiero e Guglielmo II ancor lattanti. Costanza loro zia, postuma di Ruggiero, ancor era bambina. Tancredi e Guglielmo figliuoli di Ruggiero Duca di Puglia ancor giovanetti, erano per ragion di Stato tenuti carcerati e custoditi nel regal palazzo in Palermo: restò adunque solo Guglielmo in età di 34 anni, senz'appoggio di parenti al governo, non meno de' Regni di Puglia e di Sicilia, che dell'altre province e città della Grecia e dell'Affrica.

S'aprì pertanto largo campo al Grand'Ammiraglio Majone di porsi in mano il cuore del Re, e di governare con assoluto arbitrio i suoi Reami, essendo egli dotato di tutte quelle prerogative, che possono innalzar un privato al Principato. Egli era di pronto e vivace ingegno, ed abile a qualunque più dura e difficile impresa: assai facondo nel dire, dotato di liberalità regia, simulatore e dissimulatore espertissimo ed avidissimo di dominare; per la qual cosa rivolgea continuamente in se stesso varj pensieri divisando, come giunger potesse al sommo delle dignità e degli onori; ma celava il tutto con una gran serenità e allegrezza di volto: trattava col Re gl'interi giorni degli affari del Regno, ed escluso ogni altro, a lui solo si comunicavano i secreti più riposti di Stato, e le sue parole, e suoi consigli erano solo fedeli ed accettati. Nè mancava egli, per l'autorità che avea, d'acquistarsi da per tutto amici e partegiani, donando a suo talento i governi delle province, le guardie delle Fortezze, ed i carichi della milizia, essendogli Guglielmo tanto alla mano, che mai cos'alcuna, ancorchè grande e malagevole, purchè da lui gli fosse chiesta, non gli negò: corruppe ancora (per torsi via ogni ostacolo, che aver potesse) l'onestà della Regina, di cui si finse innamorato, e trasse parimente dalla sua parte tutti gli Eunuchi saraceni custodi del palazzo reale. In breve egli era il Moderatore del Regno, e seppe cotanto ingrandir la sua Casa, che un suo fratello, ed un suo figliuolo, chiamati ambedue Stefani, innalzò a' primi gradi della milizia, ed il figliuolo d'una sorella, nominato Simone, lo fece Gran Siniscalco del Regno; ed una sua figliuola la casò con Matteo Bonello uno de' principali Baroni del Regno; e Lione e Curazza suoi parenti, persone per l'innanzi vilissime, vennero a sì fatta grandezza, ch'essendo morti in vita del figliuolo, da' Monaci di Monte Cassino furono registrati i giorni de' loro transiti in un libro, nel quale notavano solamente la morte de' Papi, Imperadori, Re, Duchi di assoluto dominio e simili personaggi, con quelle parole: Curazza mater Madii Magni Admirati Admiratorum obiit VII. Kal. Aug. Et Leo pater Admirati Admiratorum obiit VI. Id. Septembris . Ed il Cardinal Laborante, che in questi tempi era riputato il più dotto, ed uno de' migliori Letterati, che fiorisse in Roma, avendo composto un libro de Justi, et Justitiae rationibus, che ancor oggi si ritrova diviso in quattro parti, lo dedicò a questo nostro Majone, come ad un personaggio in questi tempi il più illustre e rinomato in tutta Europa.

Vedutosi perciò in tanta sublimità vennegli pensiero, come finalmente potesse giungere al disegno di usurpare il Regno; e scorgendo non restargli ora altro che fare, se non torsi dinanzi tutti coloro, che potevano impedire il suo disegno, a questo solo drizzò tutti i suoi talenti ed i suoi pensieri.

Temea egli più degli altri in tal impresa Simone Conte di Policastro figliuolo bastardo, come si disse, del Re Ruggiero, Roberto di Bassavilla Conte di Loritello consobrino di Guglielmo, ed Eberardo Conte di Squillace, la cui virtù era assai nota a ciascuno, e sapea certo non potersi nè con premio, nè con fraude corrompere la lor fede, e conoscea, che salvi costoro, egli s'affaticava indarno. Incominciò adunque a maneggiar la lor ruina, e conoscendo essergli mestiere aver per compagno de' suoi consigli Ugone Arcivescovo di Palermo, acciocchè col suo ajuto potesse recar più agevolmente a fine il suo intendimento, essendo l'Arcivescovo uomo avveduto e di grande animo, ed atto a qualsivoglia grande affare, ed anch'egli avido di comandare: cominciò primieramente l'Ammiraglio, a scoprirgli pian piano il suo pensiere, dandogli a vedere, che tolta la vita al Re, come uomo non atto al governo e malvagio, sarebbe poscia agevolmente venuta in lor potere la cura de' piccioli figliuoli, per la qual cosa sarebbero essi stati Signori del tutto, insin che que' fanciulli fossero a perfetta età pervenuti. Non volle scoprirgli l'animo, ch'egli avea di usurparsi il Regno, acciocchè colui non si smarrisse per la grandezza della malvagità, sperando, se potesse divenir Tutore de' figliuoli del Re, non potergli niuna cosa più impedire il suo desiderio. Strinse per tanto l'amistà con l'Arcivescovo con strettissimo giuramento d'ajutarsi l'un l'altro egualmente in ogni fortuna, e fece sì che egli divenne prestamente amico e famigliare del Re, acciocchè approvasse, e difendesse appo lui qualunque cosa, ancorchè scellerata, ch'ei facesse.

Questi furono i fondamenti, che gettò Majone per dovervi sopra appoggiare le fabbriche eccelse della sua ambizione: intanto surser nuove occasioni, delle quali seppe l'Ammiraglio opportunamente valersi per ruinare i suoi emoli, e coloro che potevano fargli ostacolo nel suo disegno. Era, come s'è detto, morto in Roma Papa Anastagio, e creato in suo luogo Adriano IV inglese. Questi offeso, che Guglielmo erasi fatto incoronare Re in Palermo senza richiedernelo, secondo ciò che i Pontefici pretendevano nelle nuove incoronazioni de' Principi loro Feudatarj, avendogli il Re, intesa la sua elezione, mandati suoi Ambasciadori per confermar con lui la pace, che avea avuta col suo predecessore, egli glieli rimandò in dietro senza conchiuder niente. Onde passato poi Guglielmo da Palermo a Messina, e di là a Salerno, avendogli Adriano, mentre dimorava in questa città, mandato il Cardinal Errico con sue lettere, non solo il Re non volle riceverlo, ma gli fece ordinare, che tantosto sgombrasse dal suo Regno, ed in Roma ne ritornasse; irritato ancora perchè nelle lettere, che a lui recava, il Papa non gli dava il titolo di Re, ma solo di Signore di Sicilia, pretendendo che non potesse egli nomarsi Re, essendosi dopo la morte di suo padre fatto incoronare senza sua concessione ed autorità. Ma Guglielmo riputando a suo scorno, che dovesse richiedere da lui ciò ch'era in suo arbitrio, fieramente sdegnato, dopo aver celebrata la Pasqua in Salerno in quest'anno 1155, avendo creato suo Gran Cancelliero Asclettino Arcidiacono di Catania, gli diede il governo della Puglia, con ordine di ragunare un grosso esercito per campeggiare Benevento, e dar il guasto al suo territorio, e di sorprender quella città ad onta del Pontefice. All'incontro Adriano scomunicò il Re, il quale, oltre d'aver comandato al Gran Cancelliere l'assedio di Benevento, ordinò ancora, che niun Vescovo de' suoi Regni riconoscesse il Papa, nè che alcuno ricercasse da lui più la consecrazione. Indi partissi da Salerno, e con Majone in Palermo fece ritorno.

Intanto il Cancelliero, dopo aver dato il guasto al territorio di Benevento sino alle mura della città, tentò di sorprenderla: ma difesa con molto valore da' Beneventani, i quali uccisero il lor Arcivescovo per averlo scoverto amico e partegiano di Guglielmo, obbligarono il Cancelliero a cingerla di stretto assedio; il quale tuttavia durando, alcuni Baroni mal contenti del governo presente, istigati ancora dal Papa, si ribellarono da lui, ed entrarono dentro Benevento, ed altri senza tor commiato si partirono dal campo; per la qual cosa dividendosi l'esercito, si tolse l'assedio. Il Conte Roberto di Bassavilla pieno d'ira e di mal talento ritornossene a dietro in Puglia, poich'essendo stato, mentr'era il Re in Salerno, per visitarlo, fu per opra di Majone sì mal veduto ed accolto, che il Re nè meno volle parlargli. Onde il Cancelliero con la gente che gli era rimasa, e con altra che assoldò nuovamente, passossene in Campagna di Roma, dove prese e brugiò Cepparano, Bacucco, Frusinone, Arce, ed altri luoghi vicini; e poscia ritornando nel Regno fece abbattere le mura d'Aquino, Pontecorvo, ed altre Castella de' Padri di Monte Cassino partegiani del Papa, e cacciatine altresì tutti i Frati, eccetto dodici, che vi lasciò alla cura della Chiesa, fece ritorno in Capua, ove fermossi in compagnia del Conte Simone, con intenzione di star colà in guardia del Regno, così per impedire ogni movimento, che avesser potuto fare i Baroni, i quali eran da pertutto fieramente turbati dalla potenza dell'Ammiraglio, non ben discernendo se egli, o Guglielmo era Re di Sicilia; ma più ancora per impedire un nuovo turbine di guerra, che soprastavagli, poich'era precorsa voce, che l'Imperador Federico Barbarossa con grande oste di Alemagna calava in Italia.

§ I. L'Imperador Federico I, fa lega con Emanuele Comneno Imperadore d'Oriente, e move guerra col Papa al Re Guglielmo.

Era Federico non altrimenti, che i suoi Predecessori inimico implacabile de' Normanni, e non meno che furono Lotario, Errico e Corrado contro Ruggiero, così egli avea drizzati i suoi pensieri per discacciar Guglielmo dalla Puglia e dalla Sicilia, riputandolo come usurpatore delle province dell'Imperio. Niun Imperadore ebbe sì alti concetti dell'Imperio restituito da Carlo Magno in Occidente, quanto costui: egli si reputava un altro Ottaviano Augusto; e che tutte le province, ch'erano prima di quel vasto Imperio, fussero pure nell'Asia, o nell'Affrica, o in qualunque altra più remota parte del Mondo, appartenessero al suo Imperio, e che perciò avesse bastante dritto di cacciarne gl'invasori; e si vide chiaro, quando avendo il Saladino occupati molti luoghi della Siria, non si ritenne, prima di movergli guerra, di minacciarlo se non restituiva que' luoghi, con una terribile lettera, che volle scrivergli, rapportata negli Annali d'Inghilterra di Ruggiero e di Matteo Paris, nella quale fra gli altri vanti e rodomontate gli scrisse: ch'egli non poteva dissimular di sapere, come ambedue l'Etiopie, la Mauritania, la Persia, la Siria, la Parzia, ove Marco Crasso (che lo chiama suo Dittatore) morì, la Giudea, la Samaria, l'Arabia, la Caldea e l'istesso Egitto, ove Antonio effeminossi con Cleopatra, l'Armenia ed innumerabili altre province, erano soggette al suo Imperio. Ma il Saladino gli rispose con non minor arroganza ed orgoglio del suo, siccome si vede dalla risposta, che vien anche rapportata da' medesimi Scrittori. Conobbesi ancora, che niun'altro Imperadore prima di lui ebbe quella fantasia di creare tanti Re onorari, come fece egli, il quale inviò la spada e la Corona regale a Pietro Re di Danimarca, attribuendogli il nome di Re, al Duca d'Austria, ed al Duca di Boemia, come abbiam narrato nel precedente libro.

E fu cotanto a lui perniziosa questa boria di credersi Signore di tutto il Mondo, anche delle città e luoghi particolari, che per aver, secondo queste idee (fomentate ancora dal lusingator Martino nostro Giureconsulto) voluto imporre leggi e condizioni molto rigorose alla Nobiltà ed alle città d'Italia, se gli ribellò contro tutta la Lombardia, onde nacque la ruina di Milano, come qui a poco vedremo.

Per queste massime egli reputava Guglielmo invasore, ed ingiusto usurpatore non meno della Puglia, che della Sicilia, proccurava perciò tutti i mezzi, ed impiegava tutti i suoi sforzi per discacciar questo inimico della sua sede; ma considerando che per se solo non poteva conseguirlo; poichè se bene per la conquista del Regno di Puglia potesse unire un conveniente esercito, e far l'impresa per terra; nulladimanco, non avendo armate di mare, era impossibile tentar l'impresa di Sicilia: perciò sin dall'anno precedente 1154, dopo aver intimata una Dieta a Ratisbona, avea mandati Ambasciadori all'Imperador Emanuele Comneno, affinchè conchiudesse con esso lui la lega contro Guglielmo. Questi non meno che Federico mal soffriva l'ingrandimento de' Re normanni, i quali non contenti d'avergli tolta la Sicilia, ponevan anche nella Grecia il lor piede; ed insino alle porte di Costantinopoli s'erano stesi. Guglielmo si vide in mezzo a due potenti inimici insieme uniti e collegati. Ed era cosa veramente da ammirare, che Federico da un canto millantava al suo Imperio d'Occidente appartenersi i Regni di Guglielmo; e dall'altra parte Emanuele minacciava, ch'egli ed i suoi Romani non si sarebbero mai astenuti di portar guerra in Italia, insino che quella e l'intera isola di Sicilia non saranno restituite al suo Imperio, donde furon divelte. Proccurò ancora Federico collegarsi co' Pisani potenti allora in mare, che parimente contro Guglielmo si mossero; il qual implicato ancora nella guerra, che avea mossa al Papa, ed insospettito della fedeltà dei suoi Baroni, si vide in tanta costernazione e malinconia, che abborrendo chiunque veniva da lui, stava sempre solo racchiuso nel suo palazzo, trattando solamente con Majone e con l'Arcivescovo, da' quali intendeva gli affari del Reame, non come conveniva, ma come meglio a' loro disegni si confaceva. E Majone intanto vedendo non potersi aspettar miglior tempo, che quello che correa per condurre a fine i suoi lunghi divisamenti, fece credere al Re, che il Conte erasi ritirato in Puglia pien di mal talento, non per altro, se non perchè aspirava al Regno in virtù di certo testamento di Ruggiero, ove dicea che succedesse costui in caso che il figliuolo Guglielmo non fosse stato atto a governare i suoi Regni; e perciò scrisse ad Asclettino, che lo chiamasse a Capua, e giuntovi il facesse prigione, inviandolo sotto buona custodia a Palermo. Ma insospettito prima il Conte di tal chiamata, e poi avvedutosi dell'inganno, resistè al Cancelliero, che in nome del Re gli comandava, che avesse consignati tutti i suoi soldati al Conte Boemondo, dicendogli tutto cruccioso, che quel comandamento era di matto o di traditore, e non volendone far nulla, si partì di Puglia, e con tutta la sua gente n'andò in Apruzzi. Proccurò ancora Majone nell'istesso tempo, non bastandogli questo, che il Conte Simone parimente ruinasse; poichè fatta ad arte insorgere tra lui, ed il Cancelliere gara, e nato tumulto fra i soldati, tal avvenimento in Corte non com'era stato, ma come a lui piacque, descrisse, aggiungendovi, che il Conte era cagione di que' disturbi, e che ei trattava negozi di molta importanza col Conte Roberto, a cui egli mandava perciò secreti messi: queste lettere bastarono a Majone di far credere al Re che il Conte Simone insieme col Conte Roberto con molti altri congiurassero contro la sua persona per torgli il Regno; onde Guglielmo, ch'era sempre in sospetto de' suoi più stretti parenti, chiamò il Conte in Palermo, e senza dargli tempo da potere addurre cosa alcuna in difesa della sua innocenza, lo fece imprigionare con indignazione di tutti contro l'Ammiraglio, per opera di cui ogni malvagità si vedeva avvenire.

Accadde in questo medesimo tempo, che il Re, o per grave infermità sopraggiuntagli, o per altra cagione, si racchiuse in modo nel regal palazzo, che per alcuni giorni non si faceva nè vedere, nè parlare da niuno, se non dall'Arcivescovo e da Majone: il perchè si sparse fama per li suoi Regni, ch'egli fosse morto avvelenato dall'Ammiraglio. Questa fama divolgata in Puglia cagionò sì gravi movimenti, che si videro in un subito molte province sconvolte; poichè Papa Adriano non si lasciando scappar tal congiuntura sollevò tosto i Baroni della Puglia contro il Re, e quelli che Guglielmo avea discacciati. Nel che, per l'alienazione ed abborrimento che aveano col Re per cagion di Majone, non vi volle molta industria per tirargli alla ribellione. Si videro perciò in un subito ardere la Calabria, la Puglia e Terra di Lavoro in una crudelissima guerra, e piene di tumulti e di sedizioni. Il Conte Roberto, avendo tosto ragunato un numeroso esercito ne' contorni d'Apruzzo, sorprese molte città della Puglia poste in riva del mare, insino a Taranto: e presa Bari, fece, col consentimento dei suoi cittadini, spianar la Rocca fattavi non molti anni prima edificar dal Re Ruggiero; ed avendo altresì insieme col Pontefice allettato l'Imperador Emanuele ad accompagnare le sue forze contro Guglielmo, ponendolo in sicura speranza di ricuperar la Puglia, e sottoporla come prima al suo Imperio d'Oriente, ne ottenne molta gente guidata da nobilissimi Capitani, e molta moneta, che gli inviò sino a Brindisi, a' quali si rese quella Piazza assai considerabile pel suo porto, ove Emanuele designava mandar più numerosa armata.

Nè minori sconvolgimenti cagionò la fama della morte del Re in Terra di Lavoro; poichè il discacciato Principe di Capua Roberto, che sinora avea menati i suoi giorni in Sorrento in vita privata, dissimulante Ruggiero, onde per ciò lo dissero ancora Roberto di Sorrento, non avendo bisogno che il Papa lo stimolasse, subito se ne venne in Capua, ed occupò tantosto la sua antica Signoria, e poco da poi non solo interamente si sottopose tutti i luoghi del suo antico Principato, ma, passato anch'egli in Puglia, avea soggiogato quasi tutto il rimanente, eccetto Melfi e Troja. E ne' Picentini ed in Terra di Lavoro andaron le cose del Re così male, che non era rimasto in sua balia altro, che Amalfi, Napoli e Salerno, ed alcuni altri pochi forti e muniti castelli; perciocchè Riccardo dell'Aquila Conte di Fondi avea presa Sessa e Tiano, e 'l Conte Andrea da Rupe Canina il Contado d'Alife.

S'accrebbe il timore di disordini maggiori; perchè in quest'istesso tempo Federico Imperadore di Alemagna era giunto in Roma, ove era stato da Papa Adriano ricevuto con molta pompa, ed in S. Pietro solennemente coronato; ed il Papa, prima della sua coronazione, s'avea da lui fatto promettere, oltre di calar in Puglia contro Guglielmo, che senz'il suo invito per sua propria inimicizia che avea con lui lo avrebbe fatto, di deporre ancora i Senatori in quella città creati, e di ridurla, come prima, all'ubbidienza del Pontefice. Ma Federico per nuove cagioni non potè eseguirlo; perchè sopraggiunta nel suo esercito una gran pestilenza, bisognò tornarsene in Alemagna, e fu d'uopo partirsi ancora, per sedare nel passaggio i disordini nati in alcune città di Lombardia, senza che, dopo essere stato coronato, avesse voluto far nulla di quanto al Papa avea promesso; se non solo di aver affrettato il soccorso e spinta l'armata de' Pisani contro Guglielmo.

Il Papa, ancorchè deluso da Federico, non per questo volle perdersi d'animo ora che il tempo era a lui cotanto favorevole; poichè avendo ragunato, come potè meglio, un grosso esercito, postosi alla testa di quello, entrò nel Regno, e tosto s'unirono a lui il Conte Andrea di Rupe Canina, e i mal soddisfatti Baroni: se gli unisce ancora Roberto, che poc'anzi avea occupato il Principato di Capua, il quale giunto in Terra di Lavoro, passò poi a Benevento, ove fu a grande onore ricevuto da' Beneventani: dall'altra parte l'Imperador Emanuele volendosi vendicar dell'ingiurie ricevute da Ruggiero, nel figliuolo Guglielmo, avea mandati in Puglia Paleologo, Cominato, Sebasto ed altri illustri e valorosi Capitani con grosso stuolo di armati, e con molta moneta in soccorso del Conte Roberto; ed avea altresì mandato a dire al Pontefice, che l'avrebbe aiutato a disfare interamente Guglielmo, purchè avesse poi lasciate in suo potere tre città poste in riva del mare di quella provincia, con li cui soccorsi il Conte Roberto faceva aspra guerra in Puglia, e n'avea già buona parte occupata.

Ecco in quale stato deplorabile si ridussero queste nostre province in quest'anno 1155 ed in quanti sconvolgimenti; la novella de' quali pervenuta a Palermo, non bastò a scuotere l'infingardaggine del Re, il quale rincrescendogli d'uscir dagli agi del palazzo, avea data occasione alla falsa voce della sua morte; perchè Majone coprendo con la tranquillità del volto l'interno affanno, non fece accorgere nè il Re, nè altri del suo timore, onde reputò allora non esservi di bisogno d'altro se non che il Re scrivesse a coloro, che ancor duravano nella sua fede, ch'era stata falsa, ed inventata da' suoi rubelli la fama uscita fuori della sua morte, e che fossero con gente armata usciti contro di loro.

Ma se non bastarono i tumulti di queste province, per opra di Majone, a torre il Re da quel sì lungo e profondo letargo, furono bensì sufficienti que' che vide nella Sicilia, e nell'istessa città di Palermo poco da poi: poichè ribellatosi il Conte Giuffredi, e scoverta da lui la congiura di Majone, ancorchè il Re non la credesse; e per la tirannia dell'Ammiraglio sollevatisi i Siciliani, occuparono Butera; e tumultuando gravemente il Popolo della città istessa di Palermo contro Majone per l'ingiusta prigionia del Conte Simone: tutte queste cose, ed altre unite insieme, finalmente trassero il Re dagli agi del palazzo, destandolo in maniera, che con impeto a' maggiori pericoli esponendosi racchetò il tumulto di Palermo con far sprigionare il Conte Simone, ricuperò Butera, ed avendo restituita quell'isola nell'antica quiete, si risolvette di venire egli in Puglia a debellare i suoi ribelli, e porre quiete a questo Regno; passò perciò immantenente a Messina per valicar il Faro; e portatosi colà in quel mentre il Cancelliere, gli furono date gravi querele dal Conte Simone, per non aver difesa come si conveniva Terra di Lavoro; e volendo egli audacemente difendersi, non fu inteso, anzi fu di presente chiuso in prigione ove di là ad alcuni anni miseramente finì sua vita. Ragunata Guglielmo come potè meglio una armata, partitosi da Messina, venne in Regno, ed a Brindisi accampossi in questo nuovo anno 1156, ed avendo mandato l'Eletto di Catania al Pontefice per chiedergli pace, con offerirgli vantaggiose condizioni, fu per opra d'alcuni Cardinali partegiani dell'Imperador Federico rimandato indietro senza conchiuder nulla; laonde il Re veggendosi escluso d'ogni speranza d'accordo, senza far più parole, campeggiò virilmente Brindisi, ove erano i Greci, ed ove s'eran ragunati la maggior parte de' Baroni rebelli; e la strinse sì fattamente, che Roberto di Bassavilla ch'era in sua difesa, sgomentato fuggì via a Benevento; e travagliando il Re quella città con continui assalti, così dal lato di mare, come da quello di terra alla fine la prese a forza, facendo prigionieri tutti i Capitani più stimati de' Greci con molti altri di minor conto, e buona parte de' Baroni di Puglia con altri lor seguaci, de' quali molti fece morire impiccati per la gola, ed altri fece abbaccinare, conquistando parimente tutte le ricche spoglie de' Greci e grossa somma di moneta, che ivi avean condotta per gli bisogni della guerra.

Passò poi il Re col vincitor esercito a Bari, ed i Baresi vedendo che il Papa ed il Conte, che avean proccurata la ribellione, non mandavan loro soccorso alcuno, pensarono di rendersi alla pietà del Re; e per mitigar la sua ira gli andarono incontro disarmati a chiedergli mercè; ma Guglielmo vedendo le ruine della Rocca, che colà il padre Ruggiero avea edificata, la quale non guari prima i Baresi avean fatta abbattere, rispose: Io non perdonerò alle vostre case, non avendo voi avuto rispetto alla mia ; indi comandò, che fra due giorni con tutti i lor beni si partissero; la qual cosa posta immantenente in esecuzione, fece primieramente il Re diroccar le mura della città sino dai fondamenti, indi disfar tutti gli edificj sì fattamente, che ogni cosa fu ridotta in rovina, ed adeguata al suolo. Così rimase affatto distrutta Bari, la qual città per la ricchezza e nobiltà de' suoi cittadini, per lo numeroso suo Popolo, per la bellezza de' suoi palazzi e per la fortezza delle mura, fra tutte le altre di Puglia, era potentissima, e riputata un tempo la sede de' più gran personaggi della Grecia. Quindi si convince l'error di coloro, che vogliono Bari, in tempo della Regina Costanza e di Manfredi, essere stata riputata sede regia, dove questi Principi furono incoronati; poichè Bari, dopo quest'avvenimento, si ridusse in più ville, nè se non molto tempo da poi riprese forma di città. E vedi intanto l'incostanza delle mondane cose, e come tutte queste vicende servirono ad innalzar Napoli sopra tutte le altre città di questo Reame; poichè, se allora vi rimase Salerno, non dovranno passar molti anni, che vedremo ancora questa città parimente ruinata e distrutta per l'ira ed indignazione d'Errico marito di Costanza.

Prese da poi il Re Taranto con tutti gli altri luoghi di quella provincia, che il Conte Roberto, ed i Greci aveano occupati; e di là si condusse a Benevento, ov'era il Papa Adriano co' suoi Cardinali; e buon numero d'altri Baroni, che v'erano fuggiti; e cingendola di stretto assedio, afflisse di modo quella città, che il Papa, scordatosi affatto de' Baroni del Regno, che avea posti in tanti travagli e pericoli, veggendo il periglio, in ch'era incorso per non essersi in prima, quando gli offeriva vantaggiose condizioni, pacificato con Guglielmo, gl'inviò tre Cardinali per suoi Legati a chiedergli pace. Furono questi Ubaldo Cardinal di Santa Prassede, Giulio Cardinal di S. Marcello, e Rolando Cancellier di Santa Chiesa e Cardinal di S. Marco, i quali non altrimente che fece Gregorio II quando scrisse tre lettere a Pipino in nome di S. Pietro, così essi in nome del Principe degli Appostoli gli chiesero, che cessasse dai danni, che faceva al romano Pontefice, e che conservasse le ragioni della Chiesa di Dio.

§. II. Articoli di pace stabiliti con Papa Adriano, ed investitura data dal medesimo al Re Guglielmo: e pace indi seguita coll'Imperadore Emanuele.

Furono i Legati dal Re cortesemente ricevuti, ed intendendo da essi di buon animo le proposte di pace, destinò egli dal suo canto cinque altri suoi Plenipotenziarj per accordare gli articoli di quella. Questi furono il Grand'Ammiraglio degli Ammiragli Majone, Ugone Arcivescovo di Palermo, Romualdo Arcivescovo di Salerno, Guglielmo Vescovo Calano e l'Abate Cavense Marino; i quali unitisi con i tre Cardinali fermarono gli articoli di pace, che nella maniera, che di qui a poco diremo, si leggono presso il Baronio: nella qual pace non furon compresi i Baroni, ma tutti esclusi, e sol fra il Papa ed il Re fu quella conchiusa.

Venuto poi Guglielmo alla chiesa di S. Marco posta fuori le mura di Benevento, s'inchinò a' piedi d'Adriano, da cui essendo stato assoluto dalle passate censure, egli all'incontro in presenza di molti Cardinali e Baroni, ed altra gente in gran numero ivi concorsa, gli fece l'omaggio del Regno, e giurogli fedeltà, recitando le parole del giuramento Ottone Frangipane, ed il Papa ponendogli la Corona l'investì, prima con dargli uno stendardo del Regno di Sicilia, e poscia con dargliene un altro del Ducato di Puglia, ed un altro del Principato di Capua.

L'investitura, che in quest'occasione fu dal Papa Adriano conceduta a Guglielmo, fu la più ampia e di gran lunga vantaggiosa di quante mai fossero dagli altri Pontefici concedute a' Principi normanni; fu non solo del Regno di Sicilia, del Ducato di Puglia e Principato di Capua con tutte le sue pertinenze, come furono le precedenti; ma ciò che Gregorio VII e gli altri suoi successori non vollero in modo alcuno fare, fece Adriano, perchè anche l'investì di Salerno, di Amalfi e di Napoli colle loro pertinenze, della Marca e di tutte le altre terre che possedeva. Questa investitura fu conceduta non pure a Guglielmo ma anco a Ruggiero suo figliuolo, che nell'anno precedente 1155 mentr'era di quattro anni l'avea il padre creato Duca di Puglia e di Calabria, ed a tutti i suoi eredi; i quali per volontario suo ordinamento avrà egli destinati per suoi successori nel Regno come sono le parole della scrittura rapportata anche dal Baronio: Profecto vos nobis, et Rogerio Duci filio nostro, et haeredibus nostris, qui in Regnum pro voluntaria ordinatione nostra successerint, concedetis Regnum Siciliae, Ducatum Apuliae, Principatum Capuae, cum omnibus pertinentiis suis; Neapolim, Salernum, et Malphiam cum pertinentiis suis; Marchiam, et alia quae ultra Marsicam debemus habere, et reliqua tenimenta, quae tenemus a predecessoribus nostris hominibus Sacrosanctae Romanae Ecclesiae jure detenta, et contra omnes homines adjuvabitis honorifice manutenere. All'incontro promise il Re pagargli il censo per la Puglia e per la Calabria seicento schifati l'anno, e per la Marca cinquecento.

(Questa Bolla dell'investitura e concordato tra Adriano IV con Guglielmo I è rapportata anche da Lunig .

Furono in quest'occasione accordati ancora molti articoli intorno alle appellazioni, elezioni ed altre cose appartenenti alla politia e governo ecclesiastico di questo Regno di Puglia. Per l'appellazioni fu convenuto, che se alcun Cherico nella Puglia e nella Calabria e nell'altre terre vicine, contro alcun altro Cherico avrà querela intorno alle cause ecclesiastiche, e dal Capitolo o dal Vescovo, Arcivescovo, o da altra persona ecclesiastica di quella provincia non possa emendarsi, gli sia lecito, se vorrà, appellarne alla Chiesa romana. Che se la necessità, o utilità della Chiesa lo ricercasse, possano farsi la translazioni da una in altra Chiesa. Che la Chiesa romana possa liberamente far le visite e le consecrazioni nelle città della Puglia e di Calabria e luoghi adjacenti, eccetto però in quelle città, nelle quali sia presente la persona del Re, o de' suoi eredi senza volontà de' medesimi. Che nella Puglia e nella Calabria e nelle regioni vicine possa la Chiesa romana liberamente aver suoi legati, i quali però debbano portarsi con ogni moderazione senza invadere e devastare le possessioni della Chiesa.

Che anche nella Sicilia abbia la Chiesa romana le visite e le consecrazioni; e che se il Re o suoi successori chiamerà dalla Sicilia le persone ecclesiastiche, o per ricever la Corona o per altro bisogno, debbano quelle ubbidir alla chiamata, e possa fargli restare e ritener quelli che stimerà dover ritenere. Intorno all'altre cose, avrà la Chiesa romana nella Sicilia tutto ciò, che tiene nelle altre parti del suo Regno, eccetto che le appellazioni ed il poter mandar Legati, li quali non si permetteranno, se non a petizione del Re e suoi eredi. Nelle Chiese e monasterj del suo Regno possa ritenere la Chiesa romana ciò, che ritiene nell'altre Chiese, come le solite consecrazioni e benedizioni, alla quale pagheranno i soliti e stabiliti censi.

Intorno alle elezioni fu stabilito, che li Cherici ragunati debban eleggere la persona che riputeranno degna, la quale terranno in secreto, insino che al Re sarà palesata; il quale darà il suo assenso, quando però non la giudicasse o del partito de' suoi traditori o de' suoi nemici e de' suoi eredi, o pure non sia a se odiosa, o per altra cagione, per la quale non la stimasse degna del suo assenso.

Tali furono gli articoli di questa pace firmati presso Benevento nel mese di giugno dell'anno 1156, de' quali, come appartenenti allo Stato ecclesiastico, ci tornerà altrove occasione di parlare.

I Baroni del Regno di Puglia, vedendosi contro ogni lor credenza abbandonati dal Pontefice, e lasciati in preda all'ira del Re, sbigottiti di tale avvenimento, prestamente fuggirono. Il Conte Roberto da Bassavilla, ed il Conte Andrea da Rupe Canina, con alcuni altri ne andarono in Lombardia, ricovrandosi colà sotto la protezione dell'Imperador Federico, il quale gli adoperò nella guerra che allor tenea co' Milanesi; ma Roberto Principe di Capua volendo anch'egli con altri suoi partigiani uscir del Reame, essendosi avviato per lo Stato di Riccardo dell'Aquila Conte di Fondi suo vassallo, per dove credea poter sicuramente passare, fu per ordine del Conte insidiato, e con tutti i suoi preso al valicar del Garigliano, e dato prigioniere in poter del Re; con la qual malvagità il Conte Riccardo ritornò in grazia di Guglielmo, ma non potè fuggire l'infamia del tradimento. Fu il Principe insieme con un suo figliuolo ed una figliuola, di volontà dell'Ammiraglio, inviato prigione a Palermo ed ivi fu abbaccinato, ove poco da poi in carcere morì. Ed ecco il fine di Roberto figliuol di Giordano II Principe di Capua, nato di nobilissima schiatta di sangue normanno, dopo aver tante volte perduto e ricuperato il suo Principato, che in lui affatto s'estinse, rimanendo unito col Reame di Puglia, come è ancora al presente; un altro suo figliuolo chiamato Giordano, dopo questo infortunio del padre scappò in Costantinopoli, e sotto la protezione dell'Imperador Emanuele si mise, il qual Imperadore lo mandò da poi Legato ad Alessandro III nell'anno 1166 come di qui a poco diremo.

Dopo le quali cose il Papa ne andò in Campagna di Roma, ed il Re avendo vinti i Greci, e parte dei suoi nemici cacciati via dal Reame, e parte posti in prigione, ed altri o fatti morire, o ritornati in sua grazia, diede il governo della Puglia a Simone Gran Siniscalco cognato di Majone, ed egli avendo in cotal guisa sedati i tumulti del Regno in Palermo ritornossene.

Non minor felicità sperimentò Guglielmo nella guerra, che poco da poi mosse all'Imperador Emanuele, poichè avendo ragunata una grande armata sotto il comando di Stefano fratello di Majone, questi alle riviere del Peloponeso combattè con tanta felicità quella del Greco, che n'ottenne piena vittoria. Per la qual cosa sbigottito Emanuele proccurò aver pace con Guglielmo, ed avendogli mandati suoi Ambasciadori, alla fine l'ottenne, e furon riposti in libertà tutti i Greci, ch'erano in Sicilia; ed Emanuele, ciò che prima egli ed i suoi predecessori non vollero in conto alcuno mai fare, da questo tempo in poi riconobbe e chiamò Guglielmo Re; e fu fra di loro stabilita pace sì ferma e costante, che da ora innanzi non si sentiranno più guerre tra i nostri Re normanni e gl'Imperadori d'Oriente.

Così Guglielmo racchetati i tumulti del Regno, e pacificatosi col Papa e coll'Imperador d'Oriente, si acquistò in questi principj del suo Regno il titolo di Magno; e poteva sperarsi, che lungamente durar dovesse questa pace, se Majone non la avesse turbata; perchè attribuendo il Re tutti questi felici successi alla sua condotta e prudenza, era giunto l'Ammiraglio a tanta potenza, che sembrava più tosto egli il Re, che Ammiraglio di Sicilia; onde diessi nuovo fomento a' mal soddisfatti Baroni di porre in campo quelle sedizioni e tumulti, che più innanzi saremo a narrare.

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