SCENA III

Donna Eleonora in mantelletta con un servitore, e detti.

ELE. Che vedo! Siete ritornato, signor Federico?

FED. Oh qual felice incontro! Sono ritornato in questo momento. (Zelinda e Lindoro si turbano)

ELE. Ho piacere di rivedervi. Siete qui in tempo, che ho gran bisogno di voi.

FED. Comandatemi. Ma che avete che mi parete agitata?

ELE. Sì, ho ragione di esserlo. Non posso reggere alle inquietudini che mi circondano. Sono sul punto di separarmi da mio marito.

FED. E perchè mai tal cosa, ma perchè mai?

ELE. (accennando Zelinda) Per causa di quell'indegna.

ZEL. Come, signora mia?

LIN. (ad Eleonora) Che modo di parlare è il vostro?

FED. (ad Eleonora) Dite, dite, parlate: qual soggetto avete da lamentarvi di lei?

ELE. Ella è amata da mio marito...

FED. Ora capisco. (a Zelinda) È possibile una tal cosa?

ZEL. Mi ama, è vero, ma con amore onesto, ma con amore paterno.

FED. Eh figliuola mia, non credo niente a quest'amorosa paternità.

LIN. E vorreste credere alle sue parole?...

FED. Sì, per tutte le ragioni sono obbligato a credere più a lei che a voi.

ZEL. Signore, non ci abbandonate per carità.

FED. Andate, andate. Ho perduta tutta la buona opinione ch'aveva di voi. Imputate tutto il male a voi stessa e regolate meglio la vostra condotta.

ZEL. Misera me! fra tante perdite mie ho da contar quella ancora del mio decoro? Signora, pensate bene alle conseguenze del discredito in cui mi mettete. Io raccomando al cielo la mia innocenza, e a lui rimetto gl'insulti e le ingiustizie che voi mi fate.

ELE. Questo è il linguaggio dei colpevoli e dei temerari.

LIN. Non signora: questo è il linguaggio delle persone onorate. E in mezzo alle nostre miserie ci resta tanto spirito e tanto coraggio per confidare nella verità, e riderci della calunnia e dell'impostura. (parte con Zelinda)

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