SCENA DICIOTTESIMA

Camera in casa di Pantalone Pantalone e Clarice, poi Smeraldina.

PANTALONE Tant'è; sior Federigo ha da esser vostro mario. Ho dà parola, e no son un bambozzo.

CLARICE Siete padrone di me, signor padre; ma questa, compatitemi, è una tirannia.

PANTALONE Quando sior Federigo v'ha fatto domandar, ve l'ho dito; vu non m'avè resposo de no volerlo. Allora dovevi parlar; adesso no sè più a tempo.

CLARICE La soggezione, il rispetto, mi fecero ammutolire.

PANTALONE Fè che el respetto e la suggizion fazza l'istesso anca adesso.

CLARICE Non posso, signor padre.

PANTALONE No? per cossa?

CLARICE Federigo non lo sposerò certamente.

PANTALONE Ve despiaselo tanto?

CLARICE È odioso agli occhi miei.

PANTALONE Anca sì che mi ve insegno el modo de far che el ve piasa?

CLARICE Come mai, signore?

PANTALONE Desmenteghève sior Silvio, e vederè che el ve piaserà.

CLARICE Silvio è troppo fortemente impresso nell'anima mia; e voi coll'approvazione vostra lo avete ancora più radicato.

PANTALONE (Da una banda la compatisso). Bisogna far de necessità vertù.

CLARICE Il mio cuore non è capace di uno sforzo sì grande.

PANTALONE Feve animo, bisogna farlo...

SMERALDINA Signor padrone, è qui il signor Federigo, che vuol riverirla.

PANTALONE Ch'el vegna, che el xè patron.

CLARICE Oimè! Che tormento! (piange).

SMERALDINA Che avete, signora padrona? Piangete? In verità avete torto. Non avete veduto com'è bellino il signor Federigo? Se toccasse a me una tal fortuna, non vorrei piangere, no; vorrei ridere con tanto di bocca (parte).

PANTALONE Via, fia mia, no te far veder a pianzer.

CLARICE Ma se mi sento scoppiar il cuore.

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