SCENA VENTESIMA

Donna Elvira e don Sigismondo

SIG. Cara donna Elvira, da che mai ha avuto origine la disgrazia di don Filiberto?

ELV. Dubito che voi la sappiate molto meglio di me.

SIG. Io? V’ingannate. Se l’avessi saputa prima, l’avrei impedita: se la sapessi adesso, m’impiegherei per la sua libertà.

ELV. Qui nessuno ci sente. L’amor vostro e le mie ripulse hanno fatto la rovina di don Filiberto.

SIG. L’amore non può mai precipitare un amico. Se poi lo avessero fatto le vostre ripulse, la cagione del di lui male sareste voi, e non io.

ELV. Dunque vi dichiarate per autore della sua prigionia.

SIG. Voi non m’intendete. Non dico questo, e non posso dirlo.

ELV. Mio marito non ha commesso delitto alcuno.

SIG. Siete voi sicura di ciò?

ELV. Ne son sicurissima.

SIG. Se è innocente, sarà più facile la sua libertà.

ELV. Così spero.

SIG. Ma anche gl’innocenti hanno bisogno di chi s’impieghi per loro.

ELV. Io non ricorro ad altri, che a quello che mi ha da fare giustizia.

SIG. Io posso qualche cosa presso di S.E.

ELV. Pur troppo lo so.

SIG. Parlerò io, se vi piace, in favore di don Filiberto.

ELV. Fatelo, se l’onore vi suggerisce di farlo.

SIG. Ma se io farò questo per voi, voi farete nulla per me?

ELV. Nulla, nulla. Andatemi lontano dagli occhi. Non ho bisogno di voi.

SIG. Ecco il padrone, egli vi consolerà.

ELV. Così spero.

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