Scena terza

Don Sancio e don Sigismondo

SIG. (Brighella ha parlato col Governatore). (da sé)

SANC. Don Sigismondo, venite qui.

SIG. Eccomi ai comandi di V. E. (gli bacia la vesta)

SANC. Asserisce Brighella che i servitori non hanno avuto il salario di due mesi.

SIG. È verissimo. Sono due mesi che non l’ho dato.

SANC. Ma perché?

SIG. Dirò, Eccellenza, so che non ne hanno bisogno. Chi ruba nelle spese, chi ruba in cucina, chi ruba dalla credenza, chi tien mano a’ contrabbandi, chi fa qualche cosa di peggio. Tutti hanno denari, e quanti ne hanno ne spendono, e fanno patire le loro famiglie. Per questo io ritengo loro qualche volta il salario, o per darlo alle loro mogli, o per far che lo impieghino in qualche cosa di loro profitto. Ora che sono licenziati si vedrà quel che avanzano, e saranno saldati.

SANC. Fate male; si lamentano che non si dà loro il salario.

SIG. Basta che lo vogliano, io lo do subito: ogni volta che me lo domandano, non li fo ritardare un momento.

SANC. Dicono che lo hanno domandato e l’avete loro negato.

SIG. Oh cielo! Chi dice questo?

SANC. L’ha detto in questo punto Brighella.

SIG. V. E. mi faccia una grazia: chiami Brighella.

SANC. Volete ch’io lo faccia venire al confronto con voi? Non è vostro decoro.

SIG. Abbia la bontà di farlo venire per una cosa sola.

SANC. Lo farò, se così v’aggrada. Ehi, Brighella.

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