Don Filiberto e donna Aurora che torna.
FIL. Ebbene, chi era che vi domandava?
AUR. Il signor Guglielmo.
FIL. Subito una bugia. Non era il servitore di donna Livia?
AUR. Se lo sapete, perché me lo domandate? Sì, era il servitore di donna Livia, ma mi voleva anche il signor Guglielmo.
FIL. Se questo signore non se ne va colle buone, lo faremo andare colle cattive.
AUR. Mi maraviglio che parliate così. Il signor Guglielmo è un galantuomo, è un uomo onorato e civile, e non va trattato sì male.
FIL. Sarà come dite voi, ma io spendo, e non ne posso più.
AUR. Guardate s’egli è un uomo veramente garbato. Ora mi ha chiamato alla porta della sua camera; mi ha fatto un complimento di scusa.
FIL. E poi si è licenziato.
AUR. E poi mi ha pregato ricevere dieci doppie per comprare della cioccolata.
FIL. Dieci doppie? Dove sono?
AUR. Eccole in questa borsa.
FIL. Ma questo non è un affronto ch’egli ci fa?
AUR. Che affronto? Di questi affronti bisognerebbe riceverne parecchi, e poi si può trattare con maggiore delicatezza? Ce li dà per la cioccolata.
FIL. Donde pensate voi che possa egli aver avuto questo denaro?
AUR. L’avrà avuto dal suo paese.
FIL. Crediamo ch’egli sia una persona nobile?
AUR. Egli non ha mai voluto dire né il suo vero cognome, né la sua condizione. Ma per quello che ho sentito dire ai due Napolitani che ce lo hanno raccomandato, è persona molto civile.
FIL. Bisognerà dunque comprare un poco di cioccolata, e farla subito.
AUR. Questa mattina andiamo a berla da donna Livia. L’ambasciata me l’ha mandata per questo.
FIL. Al signor Guglielmo io non dico nulla delle dieci doppie.
AUR. No certamente, egli non ha nemmen da sapere che voi le abbiate avute.
FIL. Sì, sì, ringraziatelo voi; a me non avete detto niente. Vediamo di uscirne con onore, se mai si può. Non vorrei però che con queste dieci doppie pretendesse egli di star qui dieci anni.
AUR. Eccolo.
FIL. Vado via. Subito ch’ei ci lascia, ci converrà andar a stare un anno in villa, per rimediare alle nostre piaghe. (parte)