SCENA VENTIDUESIMA

Il vicerè , donna Livia, Guglielmo , il marchese di Osimo , il conte di Brano , il conte Portici e don Filiberto

GUGL. Fermatevi, per un momento... (dietro ad Eleonora)

VIC. Lasciate ch’ella sen vada. Non impedite un’opera sì generosa. (a Guglielmo)

GUGL. Non so che dire. Se ne ha voglia, non conviene poi frastornarla.

LIV. Sì, lasciate ch’ella vada a godere uno stato, che certamente non le potea promettere la miserabile sua condizione; nell’accettar la mia mano, qui alla presenza del nostro benignissimo Vicerè, prendete il possesso di me, del mio cuore e di quanto possiedo.

CO. PORT. Signore, disse pure l’Eccellenza Vostra che non conveniva che un forestiere trasportasse dalla nostra città in un’altra una ricca dote.

VIC. Sì, è vero, lo dissi e lo ridico. Ciò non conviene e per questa ragione il signor don Guglielmo resterà in Palermo, aggregandolo alla cittadinanza, e pensionandolo per il merito di un suo progetto.

FIL. Veramente l’ho sempre detto, che il signor don Guglielmo era un uomo garbato.

CO. PORT. Sì, garbatissimo in tutto e spezialmente nell’incantar le donne. Ecco qui vostra moglie, tirata anch’essa dalla di lui garbatezza.

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