Scena tredicesima

Leandro dalla bottega del giuoco e detti.

LEANDRO Non dormo, no, non dormo. Son qui che godo la bella disinvoltura del signor Eugenio.

EUGENIO Che ne dite dell'indiscretezza di questa signora? Non mi vuole aprire la porta.

LEANDRO Chi vi credete ch'ella sia?

EUGENIO Per quel che dice Don Marzio, flusso e riflusso.

LEANDRO Mente don Marzio, e chi lo crede.

EUGENIO Bene. Non sarà così; ma col vostro mezzo non potrei io aver la grazia di riverirla?

LEANDRO Fareste meglio a darmi i miei trenta zecchini.

EUGENIO I trenta zecchini ve li darò. Quando si perde sulla parola, vi è tempo a pagare ventiquattr'ore.

LEANDRO Vedete, signora Lisaura? Questi sono quei gran soggetti, che si piccano d'onoratezza. Non ha un soldo, e pretende di fare il grazioso.

EUGENIO I giovani della mia sorta, signor Conte caro, non sono capaci di mettersi in un impegno senza fondamento di comparir con onore. S'ella mi avesse aperto, non avrebbe perduto il suo tempo, e voi non sareste restato al di sotto coi vostri incerti. Questi sono danari, questi sono trenta zecchini, e queste faccie quando non ne hanno, ne trovano. Tenete i vostri trenta zecchini, e imparate a parlare coi galantuomini della mia sorta. (va a sedere in bottega del caffè)

LEANDRO (da sè) (Mi ha pagato, dica che che vuole, che non m'importa.) (a Lisaura) Aprite!

LISAURA Dove siete stato tutta questa notte?

LEANDRO Aprite!

LISAURA Andate al diavolo!

LEANDRO Aprite! (versa gli zecchini nel Cappello, acciò Lisaura gli veda.)

LISAURA Per questa volta vi apro. (si ritira ed apre)

LEANDRO Mi fa grazia, mediante la raccomandazione di queste belle monete. (entra in casa)

EUGENIO Egli sì, ed io no? Non sono chi sono, se non gliela faccio vedere.

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