SCENA DODICESIMA

Il Marchese e detto.

MARCHESE: Amico, vi contentate ch'io venga a stare un poco con voi?

CAVALIERE: Mi fate onore.

MARCHESE: Almeno fra me e voi possiamo trattarci con confidenza; ma quel somaro del Conte non è degno di stare in conversazione con noi.

CAVALIERE: Caro Marchese, compatitemi; rispettate gli altri, se volete essere rispettato voi pure.

MARCHESE: Sapete il mio naturale. Io fo le cortesie a tutti, ma colui non lo posso soffrire.

CAVALIERE: Non lo potete soffrire, perché vi è rivale in amore! Vergogna! Un cavaliere della vostra sorta innamorarsi d'una locandiera! Un uomo savio, come siete voi, correr dietro a una donna!

MARCHESE: Cavaliere mio, costei mi ha stregato.

CAVALIERE: Oh! pazzie! debolezze! Che stregamenti! Che vuol dire che le donne non mi stregheranno? Le loro fattucchierie consistono nei loro vezzi, nelle loro lusinghe, e chi ne sta lontano, come fo io, non ci è pericolo che si lasci ammaliare.

MARCHESE: Basta! ci penso e non ci penso: quel che mi dà fastidio e che m'inquieta, è il mio fattor di campagna.

CAVALIERE: Vi ha fatto qualche porcheria?

MARCHESE: Mi ha mancato di parola.

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