Cecchino e detti, poi il Cavaliere degli Alberi
CEC. (da sè) (Questa è un'imbasciata che non piacerà al signor Conte.) Signora, è qui il signor Cavaliere per riverirla.
EUG. Venga pure. Una sedia. (Cecchino va a prendere la sedia)
CON. (s'alza) Signora, vi levo l'incomodo.
EUG. No, Conte, non fate che la vostra apprensione si manifesti.
CON. Il mio rispetto...
EUG. Sedete.
CON. (sedendo con agitazione) (Sono in cimento).
CEC. (da sè) (L'ho detto io. Due galli in un pollaio non istan bene.) (parte)
EUG. (da sè) (Spiacemi vederli uniti, ma sarebbe peggio s'ei si partisse.)
CAV. M'inchino a questa dama. (le bacia la mano)
CON. (vedendole baciar la mano, freme alquanto)
EUG. Serva, cavalierino. Sedete.
CAV. Conte, vi riverisco.
CON. (al Cavaliere) Servitore. Con licenza del Cavaliere. (piano ad Eugenia, accostandosi all'orecchio) (Signora, io non ho ardito di baciarvi la mano.)
EUG. (piano al Conte) (Chi vi ha impedito di farlo?)
CON. (da sè) (Pazienza; merito peggio.)
EUG. (al Cavaliere) Compatite.
CAV. (allegro) Servitevi, se avete degli interessi.
EUG. (al Cavaliere) Niente, niente, era un non so che; si era scordato di dirmi una cosa.
CAV. Appunto; anch'io ho una cosa da comunicarvi. Con licenza, Conte. (piano a donna Eugenia) (Lo vogliamo far disperare.)
CON. (da sè) (Se resisto, è un prodigio.)
EUG. Orsù, che si parli che tutti sentano. Che fate voi Cavaliere?
CAV. Sto benissimo, quand'abbia l'onore della grazia vostra.
EUG. La grazia mia è troppo scarsa.
CAV. Anzi è sufficientissima quando anche fosse divisa in due.
EUG. Siete voi di quelli che si contentano della metà?
CAV. Sì certo, quando non si possa avere di più.
CON. Donna Eugenia non sa dividere il cuore.
CAV. (con serietà) Nè voi, nè io lo sappiamo.
EUG. (al Cavaliere) Mi tenete voi nel numero delle lusinghiere?
CAV. (allegro) Guardimi il cielo. So che siete la più saggia dama del mondo; ma io tengo per fermo, che non sia limitata la grazia delle belle donne, e che salvo l'onesto vivere, possano a più di uno distribuire i favori, a chi più, a chi meno, con una distribuzione economica la quale poscia produca diversi effetti secondo la disposizione dell'animo di chi ne riceve la sua porzione, ond'è che ad uno la metà non basta, e si contenta un altro di meno.
CON. Questo non è pensare da uomo.
CAV. (con serietà al Conte) Non ho parlato con voi.
EUG. (al Cavaliere) Sarebbe vano adunque, che una donna desse a voi solo tutto il possesso del di lei cuore.
CAV. (allegro) Non sarei sì pazzo di ricusarlo, e ne terrei quel conto che merita un simil dono; ma la difficoltà di aver tutto, mi fa contentare del poco.
EUG. Questa difficoltà non mi par ragionevole.
CAV. (allegro) La fondo sull'esperienza. Mi sono lusingato assai volte di possedere il trono della bellezza. Ma le monarchie in amore non durano, e mi contento di essere repubblichista.
CON. Il cuore di donna Eugenia non si misura cogli altri.
CAV. (con serietà al Conte) La conosco al pari di voi.
CON. Se meglio la conosceste, non parlereste così.
CAV. Sì, la conosco. (con serietà, poi si cambia voltandosi a Eugenia) Non vorrei, donna Eugenia, che interpretando voi pure i miei sentimenti in sinistro modo, come si compiace di fare il conte, mi privaste di quella porzione della grazia vostra, che mi lusingo di possedere. Però permettetemi ch'io mi spieghi. Separiamo prima di tutto dalla grazia, di cui le donne sogliono essere liberali a molti, quell'amore che si conviene ad un solo. Il marito non deve essere in concorrenza cogli altri; il futuro sposo di una fanciulla ha da pretendere di esser solo; quel della vedova parimenti; ma quella grazia distributiva di cui favello, sta in una parte del cuore non occupata da tali affetti. Mi sovviene ora un esempio. Il padre ama teneramente il figliuolo, e ama nel tempo medesimo gli amici suoi; l'uno e l'altro di questi amori hanno la loro sede nel cuore, ma situata in diverse parti, o se vogliamo che in una parte sola tutto l'amor risieda, diciamo adunque che, se non istà sul luogo, starà la differenza nel modo. Sia pur la donna saggia, onorata, al marito fedele, all'amante sincera. D'intorno a quest'amore costante s'aggirano alcuni piccioli affetti di gratitudine, di stima, di compiacenza onesta, che grazie, che favori si chiamano, che possono in più parti distribuirsi, che di una picciola parte possono contentare un uomo discreto; che per metà concessi, possono rendere un cavaliere superbo, e che pretesi tutti da un solo, si rende ardito, mostrando egli o di non conoscerne il prezzo, o di volerli confondere con quegli ardori che sono ad un oggetto più nobile destinati. Signora, eccovi il modo mio di pensare. Conte, se vi dà l'animo, rispondete.
EUG. Via, conte, ora è tempo di farvi onore.
CON. Signora, io son nemico delle dicerie. Ammiro lo spirito del Cavaliere, ma non sono persuaso della distinzione sua metafisica. Fra le cose inutili o false una ne ha egli detto di buona, ed a quest'unica gli rispondo. Donna Eugenia è una dama vedova, e prima di disporre di quella grazia di cui vuol supporre le donne liberali a più d'uno, è in grado di concepir quell'amore che conviene ad un solo.
CAV. (seriamente al Conte) Ella può farlo liberamente, e il fortunato posseditore della sua mano sarà sicuro della più virtuosa dama del mondo. (allegro) Signora, parmi vedere il conte a parte degli arcani del vostro cuore. Io non farò che lodare le vostre risoluzioni; ma non credo di meritarmi di essere escluso da una simile confidenza.
EUG. Il conte non sa di certo niente più di quello che voi sapete.
CAV. (al Conte) È vano dunque che voi facciate l'astrologo per ributtare i miei sentimenti.
CON. Pensate voi, che una vedova, giovane, ricca e nobile, che non può esser contenta del trattamento che in questa casa riceve, passar non voglia alle seconde nozze?
CAV. (come sopra) Ella è padrona di sè medesima. Signora, io non ardisco d'indovinare, ma confesso che bramerei di saperlo.
EUG. A due cavalieri ch'io stimo, non vo' celare la verità. La mia situazione mi sollecita a rimaritarmi.
CON. (al Cavaliere) Vedete ora, se l'astrologia è mal fondata.
CAV. Via dunque, voi che alzate l'oroscopo de' cuori umani, vi dà l'animo d'indovinare chi sarà il fortunato?
CON. A ciò non voglio avanzarmi. Son però certo ch'ella non vorrà concedere il cuore a chi si contenta della metà.
CAV. (alzandosi da sedere) Alto, alto, signore; siamo in un'altra tesi, e mi dichiaro diversamente. So ch'io non merito sì gran fortuna, ma quando ella volesse meco profondere le sue grazie sino al punto di dichiararmi suo sposo, più della gioventù, e della ricchezza, e della nobiltà che di lei vantaste, farei capitale della virtù, sarei geloso della sua fede, senza esserlo de' sguardi suoi, e separando le convenienze di una moglie saggia da quelle di una dama di spirito, sarei un marito felice, senza essere un cavaliere indiscreto.
EUG. (da sè) (Con uno sposo di tal carattere non potrei essere che contenta.)
CON. Cavaliere, altro è l'immaginare in distanza, altro è il ritrovarsi nel caso. Capisco che voi cercate la via più facile per accreditarvi nel cuore di chi vi ascolta; ma la facilità che le proponete, non può far breccia nell'animo di donna Eugenia, amante assai più di un amor virtuoso, che della moderna galanteria. Se le espressioni vostre sono sincere, voi non l'amate, e se l'amate, ella non può fidarsi della libertà che le promettete.
EUG. (da sè) (Il dubbio non è fuor di ragione.)
CAV. Io non son qui venuto per sollecitare il cuore di Donna Eugenia. S'ella è per voi prevenuta, non ha che a dirmelo: so il mio dovere.
EUG. No, Cavaliere, torno a ripetere, sono in libertà di disporre di me medesima.
CAV. Disponete adunque.
CON. Ella è a tempo di farlo.
CAV. Il tempo passa. I giorni della gioventù si piangono inutilmente perduti.
CON. La virtù è sempre bella.
CAV. Ma nella gioventù è più brillante.
CON. Una moglie non ha bisogno di tanto brio.
CAV. Ne ha di bisogno una dama.
CON. Una dama dev'esser saggia.
CAV. Ma non per questo intrattabile.
CON. Dee dipendere dalla volontà del marito.
CAV. La liberi il cielo dalla indiscretezza che voi vantate.
CON. Non la sagrifichi amore a chi non conosce il pregio della virtù.
CAV. Se vi avanzate meco a tal segno...
EUG. Cavalieri, se veniste per favorirmi, non vi riscaldate per mia cagione. Venero ciascheduno di voi, trovo in entrambi della ragione e del merito, ma non ho ancora di me disposto, nè ardisco dire che ad uno di voi mi crediate inclinata. Sono di me padrona, egli è vero; ma esige la convenienza che, nell'escire di questa casa, consigli, prima d'ogni altro, il padre del mio defunto marito. Se le di lui stravaganze non mi proporranno un partito indegno di me, preferirò ad ogni altra passione il dovere che ad un suocero mi assoggetta, e se l'uno o l'altro di voi mi verrà proposto, sarò egualmente contenta.
CON. Ah, donna Eugenia, ciò non basta per consolarmi.
CAV. Ed io ne son contentissimo, e in questo punto da voi mi parto per avanzar le mie suppliche a Don Ambrogio; e ve lo dico in faccia del Conte, perch'ei lo sappia, e sia sicuro da tutto questo, che saprò correre la mia lancia, senza che mi spaventi il merito di un tal rivale. Signora, all'onore di riverirvi. (le bacia la mano, e parte)