SCENA TERZA

Guglielmo e la suddetta.

GUGLIELMO:        Finalmente vi ho potuto poi rinvenire.

GIACINTA:        Che volete da me? Anche qui venite ad importunarmi?

GUGLIELMO:        Parto, sì, non temete. Concedetemi ch'io possa dirvi due parole soltanto.

GIACINTA:        Spicciatevi. (Guardando d'intorno.)

GUGLIELMO:        Vi supplico della risposta, di cui vi avea pregato stamane.

GIACINTA:        Io non mi ricordo che cosa mi abbiate detto.

GUGLIELMO:        Ve lo tornerò a replicare.

GIACINTA:        Non c'è bisogno.

GUGLIELMO:        Dunque ve ne sovverrete benissimo.

GIACINTA:        Andate, vi prego, e lasciatemi in pace.

GUGLIELMO:        Due parole, e me ne vado subito.

GIACINTA:        (Qual arte, qual incanto è mai questo!). E così?

GUGLIELMO:        Ho da vivere, o ho da morire?

GIACINTA:        Sono queste domande da fare a me?

GUGLIELMO:        Bisogna ch'io lo domandi a chi ha l'autorità di potermelo comandare.

GIACINTA:        Pretendereste voi ch'io mancassi al signor Leonardo, e che mi facessi scorgere da tutto il mondo?

GUGLIELMO:        Io non ho l'ardir di pretendere; ho quello solamente di supplicare.

GIACINTA:        Fareste meglio a tacere.

GUGLIELMO:        Non isperate ch'io taccia, senza una positiva risposta.

GIACINTA:        Orsù dunque, giacché s'ha da parlare, si parli. Riflettete, signor Guglielmo, che voi ed io siamo due persone infelici, e lo siamo entrambi per la cagione medesima. Se la nostra infelicità si estendesse soltanto a farci vivere in pene, si potrebbe anche soffrire; ma il peggio si è, che andiamo a perdere il decoro, l'estimazione, l'onore. Io manco al mio dovere, ascoltandovi; voi mancate al vostro, insidiandomi il cuore. Io manco al rispetto di figlia, al dovere di sposa, all'obbligo di fanciulla saggia e civile; voi mancate alle leggi dell'amicizia, dell'ospitalità, della buona fede. Qual nome ci acquisteremo noi fra le genti? Qual figura dovremo fare nel mondo? Pensateci per voi stesso, e pensateci per me ancora. Se è vero che voi mi amiate, non procacciate la mia rovina. Avrete voi un animo sì crudele di sagrificare alla vostra passione una povera sfortunata, che ha avuto la debolezza d'aprire il seno alle lusinghe d'amore? Avrete un cuore sì nero per ingannare mio padre, per tradire Leonardo, per deludere sua germana? Ma a qual pro tutto questo? Qual mercede vi promettete voi da sì vergognosa condotta? Tutt'altro aspettatevi, fuor ch'io receda dal primo impegno. Sì, vel confesso, io vi amo, dicolo a mio rossore, a mio dispetto, vi amo. Ma questa mia confessione è quanto potete da me sapere. Assicuratevi ch'io farò il possibile per l'avvenire o per iscordarmi di voi, o per lasciarmi struggere dalla passione, e morire. Ad ogni costo noi ci abbiamo da separare per sempre. Se avrete voi l'imprudenza d'insistere, avrò io il coraggio di cercar le vie di mortificarvi. Farò il mio dovere, se voi non farete il vostro. Avete voluto obbligarmi a parlare. Ho parlato. Vi premea d'intendere il mio sentimento, l'avete inteso. Mi chiedeste, se dovevate vivere o morire; a ciò vi rispondo, che non so dire quel che sarà di me stessa; ma che l'onore si dee preferire alla vita.

GUGLIELMO:        (Oimè! Non so in che mondo mi sia. Mi ha confuso a tal segno, che non so più che rispondere).

GIACINTA:        (Ah! è pur grande lo sforzo che fare mi è convenuto! Grand'affanno, gran tormento mi costa!).

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