Per il Manuale di filosofia pratica. Pazienza quanto giovi per mitigare e render più facile, più sopportabilc, ed anco veramente più leggero lo stesso dolor corporale; cosa sperimentata e osservata da me in quell’assalto nervoso al petto, sofferto ai 29 di Maggio 1826 in Bologna; dove il dolore si accresceva effettivamente colla impazienza, e colla inquietezza. Consiste in una non resistenza, una rassegnazione d’animo, una certa quiete dell’animo nel patimento. E potrà essere disprezzata questa virtù quanto si voglia, e chiamata vile: ella è pur necessaria all’uomo, nato e destinato inesorabilmente, inevitabilmente, irrevocabilmente a patire, e patire assai, e con pochi intervalli. Ed ella nasce, e si acquista eziandio non volendo, naturalmente, coll’abitudine del sopportare un travaglio o una noia. La pazienza e la quiete è in gran parte quella cosa che a lungo andare rende così tollerabile, per esempio a un carcerato, il tedio orrendo della solitudine e del non far nulla; tedio da principio asprissimo a tollerare, per la resistenza che l’uomo fa a quella noia, e l’impazienza e smania ed avidità ed ansietà di esserne fuori, la quale passata e dolore e noia si rendono assai più facili e più leggeri. Ed in ciò consiste la pazienza, che è una qualità negativa più che altrimenti.