VI. Conversione del Conte del Sagrato.

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Il Conte, partito da quella stanza, andò secondo il suo costume a visitare i posti del suo castello, a vedere se le guardie erano poste ai luoghi stabiliti, se tutto era in ordine, e si chiuse nella sua stanza. Ma l'immagine di Lucia non l'aveva mai abbandonato nel suo giro: ma quando egli si trovò solo nella sua stanza, senza più nulla da fare che d'ascoltare i suoi pensieri, e di dormire, se avesse potuto, quella immagine più viva, più potente si pose a sedere nella sua mente, e vi stette.

Che sciocca curiosità da femminetta, m'è venuta, andava egli pensando, di andare a vedere questa giovane? Ho dovuto sentire dalla sua bocca di quelle cose che nessun uomo vivente avrebbe ardito dirmi sul volto. Le ho sentite e mi seccano. Perchè non è figlia d'uno spagnuolo? o di qualcuno di quei sozzi birbanti che m'hanno bandito: che avrei goduto di sentirla guaire, di vederla tremante ai miei piedi. Ma costei non mi ha mai fatto male... Ecco lo andava [254]ripetendo... pareva sapesse che questa era la corda da toccare per farmi compassione... Compassione!... ma certo io ho avuto compassione: la sento ancora... e qualche cosa di peggio... Che diavolo ho io addosso questa notte?... Ha fatto compassione perfino al Tanabuso! Oh aveva ragione quella bestia, quando disse che sarebbe stato men male averle data una schioppettata... Poveretta! una schioppettata.... no, credo che mi avrebbe fatto compassione anche morta. Eh sciocchezza! i morti almeno non si stanno a guardare, non si sentono, non vi si mettono ginocchioni davanti... è un conto saldato. Dicono mo' i preti che un giorno hanno a risuscitar tutti quanti! Poh! imposture! imposture, non è vero, non è vero. Vorrebb'essere una bella processione.

E qui cominciarono a schierarsi dinanzi alla sua memoria tutti quelli ch'egli aveva cacciati o fatti cacciare dal mondo, dal primo ch'egli, essendo ancor giovanetto, aveva passato con una stoccata, per una rivalità d'amore, fino all'ultimo, che aveva fatto scannare, per servire alla vendetta di un suo corrispondente; tutti coi loro volti, nell'atto del morire, e quelli che egli non aveva veduti, ma uccisi soltanto col comando, la sua fantasia dava loro i volti e gli atti.

Via, via, sciocchezze, diceva: sono io diventato un ragazzo? domani a giorno chiaro riderò di me. E se domani a sera costoro mi tornassero in mente? Che dovessi passar sempre la notte così? Diavolo! comincio ad invecchiare: vorrebb'essere un tristo vivere, [255]e un tristo... morire. Che cosa m'ha detto quella poveretta? Oh Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia. Che sa mai quella contadina? L'ha inteso dire dal curato e lo ha creduto. Imposture. Ho sempre detto imposture, e quando aveva proferita questa parola, bastava, ma adesso non serve... tornano sempre quei pensieri. Sono io quello? Sono stato tanto tempo un uomo, non ci ho pensato; ho avuto l'animo di farne tante, tante... Ebbene! ne ho fatte troppe... se non le avessi fatte... in verità sarebbe meglio. A buon conto l'opera di misericordia sono in tempo di farla. Poniamo che appena fatto il giorno io entri nella sua stanza: la poveretta si spaventa; ma io le dirò subito, subito: vi lascio in libertà, vi farò condurre a casa. Oh come si cangerà in volto! che cosa mi dirà! mi darà delle benedizioni, che mi faranno bene. Voglio badar bene a tutto quello che mi dirà, e ricordarmene per pensarvi la notte. Oh sono fanciullaggini... ma a buon conto io non posso dormire. Ma quando verrà giorno! Che notte eterna! Mi pare quella notte ch'io passai ad agguattare dietro un angolo quel temerario di Vercellino, che doveva tornare dal festino di corte... Ecco, io stava lì cheto, cheto; quando sentiva una pesta, guardava fiso, fiso; non era egli, ed io ritto e cheto nel mio angolo: sento una pedata che mi par quella, sporgo il capo, guardo, è colui; fuori, addosso col mio stocco: mandò un gemito, e mi cadde sulle gambe, gli diedi una spinta e me ne andai... Oh che coraggio aveva allora! ero un uomo! e in un momento[256] sono diventato.... che cosa son diventato? Che è accaduto? Non son sempre quello? Ecco, anche quel Vercellino vorrei non averlo ammazzato: se doveva pensare così un giorno, era meglio che avessi pensato così sempre. Vieni, o luce maledetta, ch'io possa uscire da questo covaccio di triboli, e andare a vedere quella ragazza. Ma devo lasciarla andare? Vedremo; vedremo come mi sentirò. Se potessi dormire almeno un'ora, forse mi sveglierei coll'animo di questa mattina. In questi e simili pensieri passò il Conte del Sagrato quasi tutta la notte; finalmente, non essendo il giorno lontano, la stanchezza lo vinse, e si assopì. Ma i pensieri che avevano riempiuta la sua veglia, trasmutati ora alquanto e rivestiti di forme più strane e più terribili lo accompagnarono nel sonno. Era già levato il sole, e il Conte stava affannoso sotto il giogo di quei sogni rammentatori, quando a poco a poco egli cominciò a risentirsi, scosso, come e quasi chiamato da un romore monotono, continuo, insolito. Stette alquanto tra il sonno e la veglia, e finalmente tutto desto, e gettato un gran sospiro, riconobbe un suono festoso di campane, e pensò che potesse essere, nè gli sovvenne di cosa che potesse essere allora cagione di festa. Si alzò, si vestì rapidamente, e prima d'andare alla stanza di Lucia (che la risoluzione gliene era rimasta) si fece alla finestra della sua stanza, che dominava il pendìo, prima rapido, poi più lento e quasi piano fino al lago; e qua e là villaggi sparsi[257] e case solitarie. Guardò intorno, e vide contadini e contadine, in abito da festa, per tutti i viottoli avviarsi verso la strada che conduceva al Milanese; altri uscire dalle porte e parlarsi quelli che s'incontravano in aria di premura e di festa. Che diavolo hanno in corpo costoro? disse egli fra sè, e tosto, chiamato uno de' suoi fidati, domandò la cagione di quel movimento e di quel concorso; e intese che s'era risaputo la sera antecedente che il cardinale Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano, era giunto improvvisamente a Lecco, per visitare le parrocchie di quei contorni; e che tutti accorrevano a vedere quell'uomo, il quale dovunque si portasse attraeva sempre folla.

Il Conte congedò con un cenno del capo il fidato, e rimase ancora un momento alla finestra a guardare; dicendo fra sè: come sono contenti costoro! e perchè? Perchè è arrivato un uomo che si porrà un bell'abito, e darà loro delle parole, e alzerà le mani tagliando l'aria in croce. Oh! come saltano: sembrano cavrioli: eh! avranno forse, certo, dormito meglio di me! Tanto contenta questa canaglia... ed [258]io... Voglio andare anch'io,—voglio veder questo uomo, che li fa esser tanto vogliosi, tanto contenti. Andrò, andrò. Voglio parlargli; voglio un po' vedere anch'io quest'uomo. Ne dicono tante cose! Eh! come mi accoglierà egli? ricordati che sei il Conte del Sagrato. Ma che ho io paura di brutti musi? Io andare da lui: a che fare? che dirgli? Certo mi mostrerà due occhj arrovellati—Non importa: voglio andare a sentire che parole ha costui per render la gente così allegra. Così detto, o pensato, il Conte stette un momento in fra due se doveva[259] prima andare alla stanza di Lucia. Dopo aver pensato qualche tempo: no, diss'egli, fra sè: non la vedrò: non voglio obbligarmi a nulla; voglio venirne all'acqua chiara con questo Federigo. Potrei lasciarla andare, e pentirmi. Se comincio a fuggire da uno spauracchio, a desistere da un'impresa, è finita, non son più un uomo. Parlato che avrò con costui mi convincerò che sono sciocchezze, e sarò più forte di prima... o se... costui... mi facesse... cangiare... sono sempre a tempo. Andiamo; sarà quel che sarà.

Chiamò un'altra donna, alla quale, in presenza del[260] Tanabuso, impose che si portasse sola alla stanza di Lucia, che vedesse che nulla le mancasse, e che sopratutto ordinasse alla vecchia guardiana di trattarla con dolcezza e con rispetto; e che nessun uomo ardisse avvicinarsi a quella stanza.

Dato quest'ordine, pensò se dovesse pigliar seco una scorta; e oh! via, disse, per dei preti e dei contadini? Vergogna! Se ci sarà alcuno che non mi conosca non avrà nulla da dirmi; per quelli che mi conoscono...!

Così il Conte solo, ma tutto armato, uscì dal castello, scese l'erta e giunse nella via pubblica, la quale brulicava di viandanti; la turba cresceva ad ogni istante: a misura che la fama del Cardinale arrivato si diffondeva di terra in terra, tutti accorrevano. Ma in quella via affollata, il Conte camminava solo: quegli che se lo vedevano arrivare al fianco, s'inchinavano umilmente, e si scostavano come per rispetto, e allentavano il passo per restargli addietro: taluno di quegli che lo precedevano, rivolgendosi a caso a guardarsi dietro le spalle, lo scorgeva, lo annunziava sotto voce ai compagni, e tutti studiavano il passo per non trovarglisi in paro. Giunto al villaggio, sulla piazzetta, dov'era la chiesa e la casa del Parroco, trovò il Conte una turba dei già arrivati, che aspettavano il momento in cui il Cardinale entrasse nella chiesa per celebrare gli ufficj divini. E qui pure tutti quelli a cui si avvicinava, svignavano pian piano. Il Conte affrontò uno di questi prudenti in modo che[261] non gli potesse sfuggire e gli chiese bruscamente, come annojato che era di quel troppo rispetto, dove fosse il cardinale Borromeo. È lì nella casa del curato, rispose riverentemente l'interrogato. Il Conte si avviò alla casa fra la turba, che si divideva come le acque del Mar Rosso al passaggio degli Ebrei, ed entrò sicuramente nella casa. Quivi un bisbiglio, una curiosità timida, un'ansia, un non saper come accoglierlo. Egli, rivolto ad un prete, gli disse che voleva parlare col Cardinale, e chiedeva di essergli tosto annunziato. Il prete, che era del paese, fu contento d'avere una commissione del Conte per allontanarsi da lui, e riferì l'ambasciata ad un altro prete del seguito del Cardinale. Quegli si ritirò a consultare coi suoi compagni; e finalmente, di mala voglia entrò, per dire a Federigo quale visita si presentava.

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