II.

Il principio del Romanzo nella seconda minuta.

Gli Sposi promessi.

CAP. I.

Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno, chiuso e come guidato da due catene non interrotte di monti, stendendosi in seni e golfi d'ineguale grandezza, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, viene quasi tutto ad un tratto a ristringersi e a prender corso ed aspetto di fiume tra una montagna ed un'ampia riviera, formata lentamente dal deposito di tre grossi e vicini torrenti. Il lungo ponte, che in quel luogo congiunge le due rive, rende ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e par che divida il lago dall'Adda. A diritta, la testa del ponte posa su le radici del monte Sanmichele; l'altra è piantata nel lembo della riviera, che scende con lento pendìo, appoggiata alle falde della montagna nominata il Resegone dai molti suoi comignoli acuti e separati a guisa d'una sega. Il lembo estremo, interciso dalle foci dei torrenti, è di nuda e grossa ghiaja, e ad intervalli uliginoso. Ma dove il terreno comincia a sollevarsi sopra le[605] escrescenze del lago e il traripamento dei torrenti, tutto è prati, campi e vigneti, sparsi di ville e di paesetti; al di sopra, dove l'erta si fa più ripida, e il monte comincia a separarsi in promontorii e in valli, sono selve di castagni, di carpini, di faggi, e al di sopra ancora le ultime creste dei monti, in parte nudo ed eretto macigno, in parte rivestite di verdissimi pascoli o di foreste, e cosparse di casali e di tugurii. Lecco, la principale di quelle terre, e che dà nome al territorio, giace su la riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando egli ingrossa: un borgo considerevole al giorno d'oggi, e che s'incammina a diventare città. Ai tempi in cui accaddero i fatti che siamo per narrare, Lecco era di più un passabilmente forte castello, e aveva perciò l'onore di alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnuoli, che insegnavano la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavano di tempo in tempo qualche marito, qualche padre, qualche fratello, e sul finire dell'estate non mancavano mai di spandersi nelle vigne per attaccare qualche grappolo ai tralci, ed aumentare così la vendemmia.

Dall'una all'altra di quelle terre, dalle alture al lago, da una altura all'altra, giù per le picciole valli interposte, correvano, e corrono tuttavia molte stradicciuole, ora erte, ora dolcemente inclinate, or piane, chiuse per lo più da muri composti di grossi ciottoli, e rivestiti qua e là di antiche edere, che dopo aver divorato colle barbe il cemento, ne fanno le veci, e tengono legato il muro, che fanno verdeggiare. Per qualche tratto quelle stradicciuole sono affondate e come sepolte fra i muri, di modo che il passeggiero, levando il guardo, non vede altro che il cielo e qualche vetta di monte; ad altri intervalli il[606] muro, che dalla parte più bassa sostiene la strada a guisa di bastione, non s'innalza sul suolo di quella più che un parapetto, e quivi la vista del viandante può spaziare per varii ed amenissimi prospetti. Verso settentrione domina l'azzurro piano del lago, tagliato da istmi e da promontorii, e su le rive paesetti che l'onda riflette capovolti; a mezzogiorno l'Adda che appena uscita dagli archi del ponte si allarga di nuovo in picciolo lago, poi si ristringe, e serpeggia, e si prolunga fino all'orizzonte in larga e lucida spira: sul capo del riguardante si mostrano i massi elevati, ineguali delle montagne, sotto di lui il pendìo coltivato, i paesetti, il ponte, in faccia la riva opposta del lago, e risalendo per essa il monte che lo chiude.

Per una di queste stradicciuole tornava lentamente dal passeggio verso casa, al cadere del giorno 7 di novembre dell'anno 1628, il curato (questa è la prima reticenza del nostro autore) d'una delle terre accennate di sopra.

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