XXII. Fermo trova Lucia nel lazzeretto.

[558][559]

All'intorno del picciolo tempio v'era un picciolo spazio sgombro di capanne, e Fermo, giungendovi, lo vide occupato da una folla, distinta in ragazzi, in donne e in uomini, tutti composti e in gran silenzio, fra il quale si udiva distintamente una voce alta ed oratoria, che veniva dal tempio. Questo, elevato d'alcuni gradi al di sopra del suolo, non aveva allora altro sostegno che le colonne, disposte in circolo; nel mezzo v'era un altare, che si poteva vedere da tutti i punti del lazzeretto, per mezzo agli intercolunnj vuoti, che in oggi sono murati. Ritto sulla predella dell'altare stava un cappuccino, alto della persona, fra la virilità e la vecchiezza; teneva con la destra una croce, posata al suolo, che gli sopravvanzava il capo di tutto il traverso; e con l'altra mano accompagnava di gesti il discorso che andava facendo. Era questi il Padre Felice, sopraintendente del lazzeretto. Fermo, giunto sull'orlo di quella adunanza, avrebbe voluto avanzarsi a trascorrerla e cercare ciò che gli stava a cuore; ma, senza contare un[560] altro cappuccino che, con un aspetto tanto severo, anzi burbero, quanto quello dell'oratore era pietoso, stava ritto in mezzo alla brigata per tener l'ordine; quella quiete generale, quell'attento silenzio e quella unica voce bastarono ad avvertire il nostro ansioso che ogni movimento sarebbe stato in quel luogo scompiglio e irriverenza. Stette egli dunque alla estremità della brigata ad aspettare e udì la perorazione di quel singolare oratore.

Diamo adunque, diceva egli, un ultimo sguardo a questo luogo di miserie e di misericordia, pensando quanti vi sono entrati, quanti ne sono stati tratti fuora per la fossa, quanti vi rimangono, quanti pochi al paragone, siam noi, che ne usciamo non illesi, ma salvi, ma colla voce da lodarne Iddio. L'anima nostra ha guadato il torrente; l'anima nostra ha guadate le acque soverchiatrici: benedetto il Signore! Benedetto nella giustizia, benedetto nella misericordia, benedetto nella morte, benedetto nella salvezza, benedetto nel discernimento ch'Egli ha fatto di noi in questo sì vasto, sì smisurato eccidio! Ah possa essere questo un discernimento di clemenza! possa la nostra condotta, da questo momento, esserne un indizio manifesto! Attraversando questo mare di guaj, diamo uno sguardo di pietà e di conforto a quegli che si dibattono tuttavia con la tempesta, e dei quali, oh quanto pochi, potranno, come noi, afferrare un porto terreno. Ci vedano uscirne rendendo grazie per noi ed elevando preghiere per essi! Attraversando la[561] città, già sì popolosa, noi, scarsa restituzione dell'immenso tributo ch'essa mandò in questo luogo, mostriamo agli scarsi suoi abitatori un popolo scemato sì, ma rigenerato. Procediamo con la compunzione nel volto e coi cantici su le labbra. Quegli che son ritornati nella pienezza dell'antico vigore porgano un braccio soccorrevole ai fiacchi; gli adulti reggano i teneri, i giovani sostengano con riverenza e con amore i vecchj, ai quali la salute ritornata non apporta che pochi giorni di stento. E se in questo soggiorno di prova, in questo stesso crogiuolo di purgazione abbiam peccato; se abbiamo abusato anche dei flagelli, se abbiamo sciupati i doni e le ricchezze dello sdegno, come già quelli della benignità; ebbene! non abbiam però potuto esaurire il tesoro del perdono; ricorriamo ad esso di nuovo. Per me...

E qui l'oratore fece pausa, straordinariamente commosso; poi tolse una corda, che gli stava ai piedi, se l'avvinghiò al collo, come ad un malfattore, cadde ginocchioni e proseguì:

Per me e per tutti i miei compagni, i quali, sebbene immeritevoli, siamo stati per una ineffabile degnazione trascelti all'alto privilegio di servir Cristo in voi; se, come pur troppo, non abbiamo degnamente corrisposto ad un tanto favore, se non abbiam degnamente adempiuto un sì grande ministero... perdonateci! Se la fiacchezza o la ritrosia della carne ci ha resi men pronti ai vostri bisogni, alle vostre chiamate, perdonateci! se una ingiusta impazienza,[562] se una noja colpevole ci ha fatto talvolta nei vostri mali mostrarvi un volto severo e fastidito, perdonateci! se la corruttela d'Adamo ci ha fatto trascorrere in qualche azione che vi sia stata cagione di tristezza e di scandalo, perdonateci! Nessuno porti fuor di qui altra amaritudine che delle sue proprie colpe!

Così detto, stette egli ginocchioni, come aspettando un segno che l'umile e cordiale suo prego era accetto ed esaudito. Un singhiozzo, un pianto, un gemito universale si levò da quella turba a rispondere. Dopo qualche momento il frate s'alzò, prese la croce ad ambe le mani e l'inalberò; scese dalla predella e quivi depose i sandali; gridò ad alta voce: andiamo in pace; poi intonò il Miserere; e scalzo, portando dinanzi a sè quell'alta croce pesante, scese gli scaglioni del tempio dalla parte rivolta alla porta meridionale del lazzeretto che sbocca dinanzi alla mura della città, e s'incamminò verso quella. Dietro lui s'avviò la torma dei fanciulletti, di quelli cioè che potevano reggersi e sapevano condursi da sè; poi le donne, alcune delle quali tenevan per mano o nelle braccia fanciulline, o bambini, e con fioca voce cantavano il salmo intonato dal guidatore; poi gli uomini, pur cantando; poi carri di convalescenti e delle bagagli e di quei che partivano; quelle che in tanta confusione s'eran potuto serbare e raccogliere. Ultimo veniva quell'altro cappuccino che abbiamo menzionato, con un gran vincastro in mano; e coi cenni di quello, con gli occhi e con la voce teneva in sesto[563] il convoglio. Era questi un Padre Michele Pozzobonelli, il coadiutore più autorevole, e come il primo ministro del Padre Felice, in quel regno di desolazione.

Fermo, tosto ch'ebbe veduto questo scender dal tempio, e notato da che parte s'avviava, entrò di nuovo fra le capanne per pigliare i passi innanzi, senza dare nè ricever disturbo, e sboccar poi di nuovo su la strada per dove la processione doveva passare. Dalla porta meridionale al tempio v'era infatti come una strada, uno spazio che s'era lasciato sgombro di capanne per dar passaggio ai carri degli infermi, che per lo più entravano da quella porta, e da quello spazio poi si distribuivano a dritta e a sinistra, come si poteva. Fermo riuscì su quella, al mezzo incirca, e vide venire il vecchio crocifero, lo vide passare, vide passare i ragazzi e poi con un gran battito di cuore esaminò le donne, che pur passavano; e lo potè fare a suo agio, perchè elle procedevano a due a due. Passa, passa; guarda, guarda; qui non v'è, qui nè pure: più che la metà è passata; poche ne rimangono; compajono le ultime della fila femminile; ecco gli uomini; Lucia non v'era. Quanta speranza svanita! Rimanevano però i carri ancora: Fermo gli vedeva venire; e i primi erano carichi di donne. Stette dunque aspettando; lasciò passare la schiera degli uomini; guardò ad uno ad uno quei carri. Passavano lentamente, si arrestavano talvolta, come accade nelle processioni e nelle marce d'ogni genere,[564] di modo che Fermo potè aver la trista certezza che nessuna di quelle donne era sfuggita alla sua vista, e che Lucia non v'era. Le braccia gli caddero quando si vide finire in mano l'unico, o almeno il più forte filo delle sue speranze. Anche prima di vedere trascorrere quella per lui sì trista rassegna, egli sentiva pur troppo quanto era più probabile che Lucia fosse nel numero dei tanti portati fuora dal lazzeretto sui carri, che dei pochi risanati: ma pure, come si suole, egli metteva il suo desiderio sul guscio della speranza e faceva traboccare le bilance da quella parte. Ma ora egli credeva di dovere esser certo che Lucia non era tra i guariti, nè tra i convalescenti: la contingenza più lieta per lui, l'unica sua speranza (quale speranza!) era ormai ch'ella fosse ivi languente, ma viva. Passato tutto il convoglio, passato il Padre Michele, Fermo si mise, senza troppo pensare dove anelasse, su quella via rimasta sgombra, e le sue gambe lo portarono dinanzi al tempio. Quivi gli vennero alla mente le parole del buon frate Cristoforo: Se non ve la scorgi, fa cuore tuttavia... Cercala con rassegnazione. Si prostrò su gli scaglioni del tempio,[565] fece a Dio una preghiera, o, per dir meglio, un viluppo di parole scompigliate, di frasi interrotte, di[566] esclamazioni, di domande, di proteste, di disdette, uno di quei discorsi che non si fanno agli uomini, perchè non hanno abbastanza penetrazione per intenderli, nè sofferenza per ascoltarli; non sono abbastanza grandi per sentirne compassione senza disprezzo. Si levò di là più rincorato e si avviò. Dal tempio alla porta che divide il lato settentrionale, a cui tendeva Fermo, scorreva, come dalla parte opposta, un viale sgombro di capanne, e si sarebbe potuto chiamare la via dei morti, perchè ivi facevano capo e giravano i carri che portavano alla fossa di San Gregorio le centinaja che perivano ogni giorno nel lazzeretto. Fermo scelse quella via come la meno impedita e la più breve, e studiando il passo alla meglio, tra l'incontro continuo dei carri e l'inciampo frequente di altri tristissimi ingombri, pervenne a pochi passi dalla porta. Ma quivi un accorrimento di carri vuoti che entravano, di colmi che uscivano, faceva in quel punto un tale imbarazzo, che Fermo, anzichè affrontarlo, o aspettare lo sgombro, stimò meglio di entrare tra le capanne per riuscire di quindi al fabbricato. Le capanne in quel luogo eran tutte abitate da donne, ed egli procedeva lentamente d'una in altra, guardando. Or, mentre passando, come per un vicolo, tra due di queste, l'una delle quali aveva l'apertura sul suo passaggio, e l'altra rivolta dalla parte opposta, egli metteva il capo nella prima, sentì venire dall'altra, per lo fesso delle assacce ond'era connessa, sentì venire una voce... una voce, giusto cielo![567] che egli avrebbe distinta in un coro di cento cantanti, e che, con una modulazione di tenerezza e di confidenza, ignota ancora al suo orecchio, articolava parole che forse in altri tempi erano state pensate per lui, ma che certamente non gli erano mai state proferite: Non dubitate; son qui tutta per voi; non vi abbandonerò mai.

Se Fermo non mise uno strido, non fu perchè lo rattenesse il riguardo di fare scandalo, il timore di farsi troppo scorgere e d'essere preso, o cacciato; fu perchè gli mancò la voce. Le ginocchia gli tremarono sotto, la vista gli s'appannò un momento; ma come accade per lo più quando dopo una gran sorpresa rimane qualche cosa d'importante da farsi, o da sapere, l'animo gli ritornò tosto, e più concitato di prima. In tre balzi girò la capanna, fu su la porta, vide una donna inclinata sur un letto, che andava assestando.

Lucia! chiamò Fermo, con gran forza e sottovoce ad un tempo: Lucia!

Trabalzò ella a quella chiamata, a quella voce, credette di sognare, si volse precipitosamente, vide che non era sogno, e gridò: Oh Signore benedetto! Fermo rimase su la porta, tacito e ansante, e Lucia pure, dopo quel grido, stette immota in silenzio più tempo che non bisogni a raccontare in compendio le sue vicende dal punto in cui l'abbiamo lasciata.

Ella era sempre rimasta nella casa di Don Ferrante; e fino ad un certo tempo sotto la vigilanza[568] severa di Donna Prassede. Ma, allo spiegarsi della peste, questa signora, messe da un canto tutte le altre cure, dimenticate tutte le brighe, non solo le sue proprie, ma anche quelle di cui prima andava tanto volentieri in cerca, non ebbe più che un pensiero, dì guardarsi dal pericolo comune. Pensò ella che per fare del bene, la prima condizione è di essere in vita, e, per allora, volle assicurar questa. Quanto al prossimo, non pensò più a regolarlo, ma soltanto a tenerselo lontano, tanto che non li comunicasse la pestilenza. Don Ferrante, invece, persuaso che tutte le precauzioni immaginabili non avrebbero potuto fare che là congiunzione di Saturno con Giove non fosse avvenuta, nè stornare le conseguenze di un avvenimento dì quella sorte, non cangiò nulla al suo tenore solito di vita, e contrasse la pestilenza, che in un giorno lo spicciò. Donna Prassede s'era ritirata[569] con la signora Ghita nella stanza più remota della casa; Prospero, che alla morte di Don Ferrante era certo di dovere andare a spasso, pensava a farsi un po' di fardello; il resto della famiglia seguiva il suo esempio; e il povero astrologo sarebbe morto abbandonato, se Lucia non avesse avuta la carità di prestargli qualche servigio. Il giorno stesso in cui Don Ferrante morì, Lucia fu presa da un gran sopore, rimase come insensata, e cadde senza forze: Donna Prassede ordinò tosto che ella fosse portata nella via, ad aspettare un carro o una bussola che la portasse al lazzeretto. Così fu fatto, e così avvenne. Lucia, deposta in quella capannuccia, stette alcuni giorni fuori di sè, senza prender cibo, nè rimedi, lottando il vigore della natura con la violenza del male, e non riprese l'uso delle sue facoltà se non quando il male fu superato. Ma quale risvegliamento! in quel tumulto di morte, in quello scompiglio di guai, senza vedere un volto conosciuto, senza udire una voce famigliare! Pure in quel tempo, come in tutte le grandi calamità, la vista o il racconto e l'aspettazione continua dei mali rendeva preparati a tutto anche gli animi i meno agguerriti; questa preparazione, la gran ragione della necessità, la cascaggine stessa che il male aveva lasciata addosso a Lucia, la fecero avvezzare ben tosto alla sua situazione; la[570] fiducia in Dio gliela raddolcì. La capannuccia non capiva che due letti, o covili che fossero: in pochi giorni Lucia cangiò più volte di compagnia. Finalmente, quando ella cominciava a potersi reggere, vi fu portata una donna, che era moglie, anzi vedova d'un ricco mercante di stoffe, madre, anzi orba di due figli: la peste le aveva tutto portato via. Questa, rimasta sola in casa, e sentendosi pure colpita dal morbo, aveva chiamato un commissario della Sanità, che conosceva per sua buona sorte, e che per una sorte ancor più rara era un galantuomo, e gli aveva raccomandata sè e la sua casa. Egli la fece chiudere e sigillare, promise di vegliarla, e fece portare la donna al lazzeretto, con tutta quella cura particolare che si poteva in quelle circostanze. Lucia assistette la sua compagna, che superò pure la malattia, e, come è facile ad intendersi, tra quella che prestava sì pietosi servigj, e quella che gli riceveva, ambedue deserte, buone ambedue, s'era formata una strettissima amicizia.

La vedova, prima di venire al lazzeretto, aveva nascosta nella sua casa una buona somma di danari, e vi aveva lasciate molte mercanzie, protette dal sigillo pubblico, e ancor più dalla indifferenza dei monatti per le robe che non fossero di pronto uso o di facile smercio. Trovandosi quindi sola e doviziosa, ella aveva proposto a Lucia di tenerla con sè, come una sua figlia, e Lucia, ringraziando Dio che le aveva preparato un asilo, e la buona donna che glielo offeriva,[571] lo aveva accettato, ma solo per qualche tempo, tanto che potesse aver notizie di sua madre, e pensare a prendere una risoluzione stabile. Ciò ch'ella aveva promesso alla sua compagna era dì non abbandonarla finch'ella non potesse uscire dal lazzeretto; e perciò Lucia non s'era unita ai convalescenti che erano partiti quel giorno alla guida del Padre Felice. Ma la buona vedova, avvezza a quella dolce compagnia, e atterrita dal solo pensiero di restarne priva, nella desolazione, esprimeva di tempo in tempo quel suo terrore e si faceva rinnovare da Lucia la promessa in cui trovava la quiete dell'animo suo. E per dissipare appunto una di queste dubitanze, Lucia aveva dette le soavi parole che colpirono l'orecchio di Fermo, e che abbiamo riferite.

Fermo era dimorato su la porta; e di là il suo secondo sguardo s'era rivolto su la persona alla quale quelle parole erano state dirette; e fu molto contento quando vide a che sesso ella apparteneva.

—Ah! siete viva e v'ho trovata! diss'egli, quando potè ricuperar la parola; ed entrò nella capanna.

—Voi! sclamò Lucia.

—Son venuto qui per cercarvi, e v'ho trovata! rispose Fermo.

—E la peste?

—L'ho avuta.

—Ah! fece Lucia con un gran respiro, che significava assai più che un: me ne rallegro infinitamente.

—Ma come... qui?

[572]

—Son venuto a cercarvi in Milano, appena ho potuto; m'hanno detto ch'eravate qui; ci son venuto.

—Oh Signore! disse Lucia, stringendo le mani giunte, alzando gli occhi al cielo, e con una voce che i singhiozzi stavano per interrompere. Poi, come entrata di repente in un altro pensiero, chiese ansiosamente: Sapete qualche cosa di mia madre?

—L'ho veduta jeri; è sana, vi saluta, e potete credere... era tutta in pensiero per voi, e sospira di vedervi.

Lucia rispose con un altro respiro di consolazione.

Fermo continuò:—Sospira di vedervi, e crede... tiene per sicuro... Ma voi,... voi mi parete stupita... ch'io sia venuto a cercarvi. Io... son sempre lo stesso... non vi ricordate...? che è avvenuto, Lucia?

—Tante cose! rispose ella sospirando.

—Ecco! disse Fermo: sa il cielo che cosa v'avranno detto di me!

—Che importa, rispose Lucia, quel che dica la gente?

—Dunque...

—Dunque... io credeva... che dopo tanto tempo... dopo tanti guai... non avreste più pensato a me.

—L'avete creduto? e me lo dite? quando son qui...

—L'ho creduto, disse Lucia, troncando in fretta le parole appassionate di Fermo, l'ho creduto, perchè sarebbe stato meglio... è meglio.

Lucia aveva sempre tenuti gli occhi bassi; ma[573] proferendo, non senza fatica, queste parole, chinò anche la testa e la tenne appoggiata sul petto, come per riposarsi d'un grande sforzo.

—È meglio! disse Fermo, stordito e contristato di quel mistero, e guardando fiso nel volto di Lucia, per trovarvi la spiegazione di quelle tronche ed oscure parole. È meglio! che cosa, v'ho fatto io? è colpa mia se... Non sono io quello a cui avete promesso? Che vi mancava perchè foste mia? un momento... e... ma gli ho perdonato. Non siete voi più quella...? Dopo tanto sperare! dopo tanto pensare a voi! dopo... Parlate chiaro; dite che non mi volete più; dite il perchè; non mi fate...

—Fermo, disse con voce più riposata e solenne Lucia, che, mentre egli parlava, aveva cercato di raccogliere tutte le sue forze.—Fermo, ascoltatemi tranquillamente: pensate dove siamo: vedete questa buona creatura che ha bisogno di quiete: ascoltatemi. Io non sarò mai di nessuno... e non posso più esser vostra.

—No, non l'avete detta voi questa parola, rispose Fermo; no, che non l'ascolto: che ho fatto io? perchè? chi ve l'ha detto? chi è entrato tra voi e me? chi c'è entrato? voglio saperlo.

—Zitto, zitto, non andate avanti, per amor del cielo, disse Lucia. Quando lo saprete, se siete ancora quello di prima, se temete Dio come una volta, non direte così.

—Parlate, per amor del cielo!

[574]

—Sapete voi in che casi, in che spaventi io mi son trovata, in che pericoli?

—Lo so, lo so, e... gli ho perdonato.

—Ora, sappiate quello che nessuno, nè pure mia madre, ha udito finora dalla mia bocca. In una notte... Vergine santissima! qual notte!... lontana da ogni soccorso... senza speranza di liberazione... sola... io sola, in mezzo... all'inferno, ho guardato in su, ho domandato l'ajuto di quel solo che può fare i miracoli... ho domandato un miracolo, e ho dovuto fare una promessa... mi son votata alla Madonna che se, per sua intercessione, io usciva salva da quel pericolo, non... sarei mai stata sposa d'un uomo.

—Ahi! che avete fatto! sclamò dolorosamente Fermo: che avete fatto!

—Ho ottenuto il miracolo, riprese Lucia: la Madonna mi ha salvata.

—Bastava pregarla, e vi avrebbe salvata. Che avete fatto! Che avete fatto! Non dovevate fare un tal voto.

—L'ho fatto: che giova parlarne più? Che giova pentirsi? Pentirsi? No, no, Dio liberi! Egli pure è sempre a tempo a pentirsi d'avermi salvata. Può lasciarmi cadere ancora in un pericolo, e allora, chi pregherei io? che promessa potrei fare?

—Lucia, disse Fermo, e se non fosse il voto...? dite; sareste la stessa per me?

—Uomo senza cuore! rispose Lucia, contenendo le lagrime, quando mi avreste fatte dire delle parole[575] inutili, delle parole che mi farebbero male, delle parole che sarebbero forse peccati, sareste voi contento? Partite, scordatevi di me: non eravamo destinati; ci rivedremo lassù. Dopo queste parole, le lagrime soverchiarono, e fra i singhiozzi ella continuò: dite a mia madre ch'io son guarita, che ho trovata questa buona amica che pensa a me; ditele che spero ch'ella sarà preservata da questi guai, che Dio provvederà a tutto, e che ci rivedremo. Partite, per amor del cielo; e non vi ricordate di me che quando pregate il Signore.

—Lucia, disse Fermo, con tuono riposato e solenne egli pure; noi siamo due poveri figliuoli senza studio: quel brav'uomo, quel gran religioso, quel nostro padre, il Padre Cristoforo...

—Ebbene?

—E qui, nel lazzeretto, ad assistere gli appestati.

—È qui! disse Lucia: ah! non mi fa maraviglia: oh se potessi vederlo, sentir la sua voce! È egli sano?

—È in piedi, disse Fermo, ma il suo volto... Dio voglia che sieno gli anni e le fatiche!

—Voi l'avete veduto! disse Lucia.

—L'ho veduto e gli ho parlato, rispose Fermo: egli mi ha fatto animo a cercarvi, mi ha fatto promettere che tornerei a rendergli conto delle mie ricerche. Corro da lui: egli ci ha sempre ajutati; e spero che ci ajuterà anche in questa occasione.

—Che dite voi? che volete ch'egli faccia? preghiamo[576] Dio che ci ajuti... che vi ajuti a sopportare. Ditegli che io ho sempre pregato per lui; che, se può, venga a trovarmi, a consolarmi, e voi... voi...

Non tornate più qui, per amor del cielo, voleva ella dire, ma non lo disse. Dopo fatto quel voto Lucia aveva sempre creduto di essersi legata irrevocabilmente, e non aveva supposto mai che alcuna autorità potesse annullare un patto col cielo; aveva rispinto come colpevole il pensiero stesso, e non aveva mai confidato a persona il suo doloroso segreto. Ma quando Fermo parlò d'una speranza nel Padre Cristoforo, quella stessa speranza confusa, entrò nel cuore di Lucia; le balenò nella mente un: chi sa? intravide come non impossibile che il Padre Cristoforo potrebbe trovar qualche mezzo... e in quel dubbio ella stimò inutile di dire risolutamente a Fermo: non tornate. Egli partì senza far altre parole, come un uomo che pensa di tornar ben tosto, e s'avviò alla capanna del buon frate.

La vedova, compagna di Lucia, era rimasta con gli occhi sbarrati a guardare quel personaggio sconosciuto e ad udire quel dialogo, nuovo per lei; giacchè Lucia, la quale, come si è potuto vedere in altre parti di questa storia, era molto discreta, non[577] le aveva mai parlato nè della sua promessa di matrimonio, nè per conseguenza delle vicende conseguenti. Ma ora non potè scusarsi di fargliene il racconto: e, a dir vero, la disposizione d'animo di Lucia, in quel momento s'accordava assai bene con le voglie, curiose e benevole ad un tempo, della vedova. Quelle memorie, compresse e rispinte per tanto tempo, s'erano ora presentate tutte in tanta folla e con tanto impeto all'animo di Lucia, che il parlarne diveniva per lei quasi uno sforzo necessario. Dopo aver dunque risposto alla meglio ai rimproveri che la vedova le fece dì un tanto segreto tenuto con lei, cominciò il racconto, che fu spesso interrotto dai suoi singhiozzi e dalle esclamazioni e dalle inchieste della ascoltatrice.

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