SCENA III.

MARTINO introdotto da ARVINO, e DETTI. (ARVINO si ritira).

CARLO.

Tu se' latino, e qui? tu nel mio campo,

Illeso, inosservato?

MARTINO.

Inclita speme

Dell'ovil santo e del Pastor, ti veggo;

E de' miei stenti e de' perigli è questa

Ampia mercè; ma non è sola. Eletto

A strugger gli empi! ad insegnarti io vengo

La via.

CARLO.

Qual via?

MARTINO.

Quella ch'io feci.

CARLO.

E come

Giungesti a noi? Chi se'? Donde l'ardito

Pensier ti venne?

MARTINO.

All'ordin sacro ascritto

De' diaconi io son: Ravenna il giorno

[44]

Mi diè: Leone, il suo Pastor, m'invia.

Vanne, ei mi disse, al salvator di Roma;

Trovalo: Iddio sia teco; e s'Ei di tanto

Ti degna, al re sii scorta: a lui di Roma

Presenta il pianto, e d'Adrian.

CARLO.

Tu vedi

Il suo legato.

PIETRO.

Ch'io la man ti stringa,

Prode concittadino: a noi tu giungi

Angel di gioia.

MARTINO.

Uom peccator son io;

Ma la gioia è dal cielo, e non fia vana.

CARLO.

Animoso Latin, ciò che veduto,

Ciò che hai sofferto, il tuo cammino e i rischi,

Tutto mi narra.

MARTINO.

Di Leone al cenno,

Verso il tuo campo io mi drizzai; la bella

Contrada attraversai, che nido è fatta

Del Longobardo e da lui piglia il nome.

Scórsi ville e città, sol di latini

Abitatori popolate: alcuno

Dell'empia razza a te nemica e a noi

Non vi riman, che le superbe spose

De' tiranni e le madri, ed i fanciulli

Che s'addestrano all'armi, e i vecchi stanchi,

Lasciati a guardia de' cultor soggetti,

Come radi pastor di folto armento.

Giunsi presso alle Chiuse: ivi addensati

[45]

Sono i cavalli e l'armi; ivi raccolta

Tutta una gente sta, perchè in un colpo

Strugger la possa il braccio tuo.

CARLO.

Toccasti

Il campo lor? qual è? che fan?

MARTINO.

Securi

Da quella parte che all'Italia è volta,

Fossa non hanno, nè ripar, nè schiere

In ordinanza: a fascio stanno; e solo

Si guardan quinci, donde solo han tema

Che tu attinger li possa. A te, per mezzo

Il campo ostil, quindi venir non m'era

Possibil cosa; e nol tentai; chè cinto

Al par di rocca è questo lato; e mille

Volte nemico tra costor chiarito

M'avria la breve chioma, il mento ignudo,

L'abito, il volto ed il sermon latino.

Straniero ed inimico, inutil morte

Trovato avrei; reddir senza vederti

M'era più amaro che il morir. Pensai

Che dall'aspetto salvator di Carlo

Un breve tratto mi partia: risolsi

La via cercarne, e la rinvenni.

CARLO.

E come

Nota a te fu? come al nemico ascosa?

MARTINO.

Dio gli accecò, Dio mi guidò. Dal campo

Inosservato uscii; l'orme ripresi

Poco innanzi calcate; indi alla manca

Piegai verso aquilone, e abbandonando

I battuti sentieri, in un'angusta

[46]

Oscura valle m'internai: ma quanto

Più il passo procedea, tanto allo sguardo

Più spaziosa ella si fea. Qui scorsi

Gregge erranti e tuguri: era codesta

L'ultima stanza de' mortali. Entrai

Presso un pastor, chiesi l'ospizio, e sovra

Lanose pelli riposai la notte.

Sorto all'aurora, al buon pastor la via

Addimandai di Francia. - Oltre quei monti

Sono altri monti, ei disse, ed altri ancora;

E lontano lontan Francia; ma via

Non avvi; e mille son que' monti, e tutti

Erti, nudi, tremendi, inabitati,

Se non da spirti, ed uom mortal giammai

Non li varcò. - Le vie di Dio son molte,

Più assai di quelle del mortal, risposi;

E Dio mi manda. - E Dio ti scorga, ei disse:

Indi, tra i pani che teneva in serbo,

Tanti pigliò di quanti un pellegrino

Puote andar carco; e, in rude sacco avvolti,

Ne gravò le mie spalle: il guiderdone

Io gli pregai dal cielo, e in via mi posi.

Giunsi in capo alla valle, un giogo ascesi,

E in Dio fidando, lo varcai. Qui nulla

Traccia d'uomo apparia; solo foreste

D'intatti abeti, ignoti fiumi, e valli

Senza sentier: tutto tacea; null'altro

Che i miei passi io sentiva, e ad ora ad ora

Lo scrosciar dei torrenti, o l'improvviso

Stridir del falco, o l'aquila, dall'erto

Nido spiccata sul mattin, rombando

Passar sovra il mio capo, o, sul meriggio,

Tocchi dal sole, crepitar del pino

Silvestre i coni. Andai così tre giorni;

E sotto l'alte piante, o ne' burroni

Posai tre notti. Era mia guida il sole;

[47]

Io sorgeva con esso, e il suo viaggio

Seguia, rivolto al suo tramonto. Incerto

Pur del cammino io già, di valle in valle

Trapassando mai sempre; o se talvolta

D'accessibil pendìo sorgermi innanzi

Vedeva un giogo, e n'attingea la cima,

Altre più eccelse cime, innanzi, intorno

Sovrastavanmi ancora; altre, di neve

Da sommo ad imo biancheggianti, e quasi

Ripidi, acuti padiglioni, al suolo

Confitti; altre ferrigne, erette a guisa

Di mura, insuperabili. - Cadeva

Il terzo sol quando un gran monte io scersi,

Che sovra gli altri ergea la fronte, ed era

Tutto una verde china, e la sua vetta

Coronata di piante. A quella parte

Tosto il passo io rivolsi. - Era la costa

Oriental di questo monte istesso,

A cui, di contro al sol cadente, il tuo

Campo s'appoggia, o sire. - In su le falde

Mi colsero le tenebre: le secche

Lubriche spoglie degli abeti, ond'era

Il suol gremito, mi fur letto, e sponda

Gli antichissimi tronchi. Una ridente

Speranza, all'alba, risvegliommi; e pieno

Di novello vigor la costa ascesi.

Appena il sommo ne toccai, l'orecchio

Mi percosse un ronzio che di lontano

Parea venir, cupo, incessante; io stetti,

Ed immoto ascoltai. Non eran l'acque

Rotte fra i sassi in giù; non era il vento

Che investìa le foreste, e, sibilando,

D'una in altra scorrea, ma veramente

Un rumor di viventi, un indistinto

Suon di favelle e d'opre e di pedate

Brulicanti da lungi, un agitarsi

[48]

D'uomini immenso. Il cor balzommi; e il passo

Accelerai. Su questa, o re, che a noi

Sembra di qui lunga ed acuta cima

Fendere il ciel, quasi affilata scure,

Giace un'ampia pianura, e d'erbe è folta

Non mai calcate in pria. Presi di quella

Il più breve tragitto: ad ogni istante

Si fea il rumor più presso: divorai

L'estrema via: giunsi sull'orlo: il guardo

Lanciai giù nella valle, e vidi... oh! vidi

Le tende d'Israello, i sospirati

Padiglion di Giacobbe: al suol prostrato,

Dio ringraziai, li benedissi, e scesi.

CARLO.

Empio colui che non vorrà la destra

Qui riconoscer dell'Eccelso!

PIETRO.

E quanto

Più manifesta apparirà nell'opra,

A cui l'Eccelso ti destina!

CARLO.

Ed io

La compirò.

(a MARTINO)

Pensa, o Latino, e certa

Sia la risposta: a cavalieri il passo

Dar può la via che percorresti?

MARTINO.

Il puote.

E a che l'avrebbe preparata il cielo?

Per chi, signor? perchè un mortale oscuro

Al re de' Franchi narrator venisse

D'inutile portento?

[49]

CARLO.

Oggi a riposo

Nella mia tenda rimarrai: sull'alba,

Ad un'eletta di guerrier tu scorta

Per quella via sarai. - Pensa, o valente,

Che il fior di Francia alla tua scorta affido.

MARTINO.

Con lor sarò: di mie promesse pegno

Il mio capo ti fia.

CARLO.

Se di quest'alpe

Mi sferro alfine, e vincitore al santo

Avel di Piero, al desiato amplesso

Del gran padre Adrian giunger m'è dato,

Se grazia alcuna al suo cospetto un mio

Prego aver può, le pastorali bende

Circonderan quel capo; e faran fede

In quanto onor Carlo lo tenga. - Arvino!

(entra ARVINO)

I Conti e i Sacerdoti.

(al Legato e a MARTINO)

E voi, le mani

Alzate al ciel; le grazie a lui rendute

Preghiera sian che favor novo impetri.

(partono il Legato e MARTINO).

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