AVVERTENZA

La Lettera seguente non fu, la prima volta, pubblicata dal Manzoni; bensì dal Fauriel, insieme con la traduzione francese delle due tragedie, a Parigi, nei primi mesi del 1823. Fu ristampata varie volte, e da varii, in Italia (p. es. in fondo al volume «Tragedie ed altre poesie di A. M. milanese, con l'aggiunta di alcune prose sue e di altri, ediz. 2ª fiorentina; Firenze, tip. all'insegna di Dante, 1827»; e nell'altra: «Opere di A. M. in versi e in prosa; Firenze, Passigli, 1836»); e finalmente dal Manzoni medesimo tra le Opere varie, nel 1845. Non vi fece alcun ritocco.

Fu scritta durante la lunga dimora, che fu anche l'ultima, fatta dal poeta con la sua famiglia - i figliuoli sommavano già a cinque, e l'ultimo, Enrico, era nato poco prima, nel giugno del 1819, e pendeva dal seno materno - a Parigi. Eran partiti da Milano il 14 settembre del 1819, per la via di Torino, col proposito di traversare la Svizzera; ma, dopo un sol giorno di sosta a Torino, «trovando che sarebbe stata cosa troppo grave il viaggiare con una famiglia tanto numerosa e con bambini tanto piccoli», proseguirono per la più corta. Rimasero nella tanto sospirata, e ricca per essi di tanti cari e diversi ricordi, metropoli francese, otto mesi; e, scriveva[296] a una sua cugina l'amabile signora Enrichetta, «in questo intervallo di tempo abbiamo avuto il dolore di vedere la salute di mio marito non vantaggiarsi in alcun modo». Da qualche anno, a Milano, il Manzoni era afflitto da una grave malattia di nervi; e «noi», soggiungeva l'Enrichetta, «avevamo sperato che il mutamento d'aria e un po' di distrazione avrebbero contribuito alla sua guarigione». Invece, a Parigi, le cose non eran punto migliorate: «egli ebbe in quella città una malattia assai lunga, che ci tenne molto inquieti:... fu malato per quaranta giorni;... e finalmente,... appena si trovò in condizione d'intraprenderlo, ci rimettemmo in viaggio, per tornare in casa nostra». Viaggiarono a piccole giornate, per non affaticare il convalescente; e l'8 agosto 1820, «nel maggior caldo», giunsero a Brusuglio: «ma noi sopportavamo con piacere ogni disagio, nel desiderio di poterci ritrovare di nuovo tranquillamente in casa nostra».

La Lettre à m. Chauvet rimase manoscritta nelle mani dell'amico insigne, al quale la prima, e fin allora unica tragedia, era dedicata. Il Manzoni, rimpatriato, gliene domanda conto, con quel garbo signorile ed amabile che gli era abituale, in una lettera da Milano, 17 ottobre 1820:

«J'ai honte de vous parler encore de mon fameux coup de lance contre M. Chauvet, mai je n'en fais ici mention que pour vous dire que dans le cas très probable, que vous jugiez que la publication si tardive de ce pauvre factum ne fût plus convenable, et que venant si long-tems après l'attaque elle n'eût tout-à-fait l'air d'être le produit d'une mémoire d'auteur et d'une rancune vraiment italienne, dans ce cas, dis-je, ne croyez pas me faire la plus petite peine en la supprimant; mais si vous persistez dans la résolution de la livrer à l'empressement du public, il vaudrait peut-être mieux la publier séparément, d'abord pour ne pas retarder encore ou pour ne pas trop vous presser dans votre travail sur le romantique, et pour beaucoup d'autres raisons dont je vous épargne l'ennuyeuse énumération».

[297]

Nel poscritto poi d'un'altra lettera, pur da Milano, il 29 gennaio 1821, ripigliava (pag. 323):

«J'oubliais de vous dire encore de ne plus parler de ce petit avorton de lettre à M. Chauvet. Si une bonne occasion se présentait, vous me feriez bien plaisir de m'envoyer, à votre choix, ou la copie ou mon barbouillage, pour le communiquer à Visconti et à quelques autres amis».

E in principio di un'altra, che parrebbe scritta alla fine del febbraio di quell'anno, ripete ancora (pag. 323):

«Pour ma guerre avec M. Chauvet, n'y pensez plus absolument; il n'y a plus ni spectateurs, ni combattants, le champ de bataille même a presque disparu. Sérieusement, je vous prie de n'y plus songer».

Finalmente il Fauriel si fece vivo, e mandò all'amico una copia di quella sua scrittura, qua e là ritoccata, e con l'assicurazione che un giorno o l'altro, forse non molto lontano, sarebbe stata stampata. E il Manzoni, il 3 novembre 1821 (pag. 330):

«J'oubliais de vous remercier de la copie que vous avez bien voulu faire tirer et m'envoyer de la lettre à M. C..... A-t-elle paru? Et que va-t-elle devenir à la veille, et surtout dans le plein jour de la superbe session qui va s'ouvrir? Qui vaudra de la littérature à présent?... Ne m'oubliez pas auprès de Cousin».

Ma ripigliava subito, a buon conto, in un poscritto:

«J'ouvre le paquet pour réunir cette feuille à la première, puisqu'on me l'a rapporté, en disant qu'on me laissait encore quelques momens. Je ne sais que vous dire de votre persistance si amicale à vouloir préserver du déluge cette pauvre lettre a M. C..... Je vous remercie aussi de la pensée que vous avez eue de publier en français la lettre de Goethe. Ces choses-là ne devraient raisonnablement pas faire beaucoup de plaisir; mais quand elles en font, je crois qu'il vaut mieux l'avouer que de dissimuler la reconnaissance, pour feindre la modestie».

[298]

Certo, gli avvenimenti politici di quei giorni, in Francia, non erano tali da lasciar prevedere che molti avrebbero avuto la voglia e la calma di tener dietro a una discussione di critica letteraria! Il Ministero moderato, nuovamente ricomposto dopo la sciagurata elezione a deputato del pseudo-regicida abate Grégoire (settembre 1819) e dopo lo stolto attentato di cui cadde vittima il Duca di Berry (13 febbraio 1820), si preparava ad affrontare, in un disperato cimento, le Opposizioni riunite ai suoi danni. Era presieduto, per la seconda volta, dal Duca di Richelieu, gentiluomo di vecchia razza, impeccabile e insospettabile, che aveva per colleghi e collaboratori principali i due più illustri parlamentari della Restaurazione, il Conte De Serre, uno dei più formidabili oratori che abbia mai avuto la tribuna francese, e il «cancelliere» Pasquier, oramai inviso agli ultramonarchici per la politica liberale ch'ei seguiva nei riguardi dell'Italia. La Destra reazionaria, rafforzata dalle ultime elezioni - in grazia della nuova legge che la strenua difesa di Pasquier e di De Serre era riuscita a condurre, l'anno innanzi, in porto, tra lo scontento e le amarezze dei liberali dei due Centri, le invettive e le minacce della Sinistra (Lafayette, Manuel), e i tumulti della piazza, - era risoluta a buttarlo giù; e con essa cospirava, mancando alle sue promesse, l'insofferente Conte d'Artois. Gli antichi amici, i così detti «dottrinarii», che facevan capo al Royer-Collard, già professore alla Scuola Normale e direttore generale per la Pubblica Istruzione, a Camille Jordan, al duca Victor de Broglie (genero di mad.ᵐᵉ de Staël), a De Barante, al Guizot, ora nicchiavano, offesi appunto dalla malaugurata riforma della legge elettorale. Il vecchio re, Luigi XVIII, abbindolato dalle grazie seducenti della Contessa Du Cayla, l'Esther, come le piaceva chiamarsi, di quell'Assuero, non osava di mostrar più risolutamente le istintive sue simpatie pei suoi insigni ministri. A qual sorte, dunque, andava incontro quell'onesto Ministero, sbattuto tra le ambizioni irrompenti dei realisti arrabbiati e i risentimenti appassionati dei liberali, tra le pretese della Destra che avrebbe voluto «il re senza la carta» e quelle della Sinistra che avrebbe voluto «la carta senza il re»? L'apertura[299] della nuova sessione era, quando il Manzoni scriveva, imminente, e la Destra con le armi al piede, impaziente di dar battaglia.

Victor Cousin, quegli appunto a cui il Manzoni voleva esser ricordato, ha narrato d'una scena, svoltasi proprio di quei giorni in casa sua. V'eran raccolti, col Royer-Collard, già maestro e predecessore del Cousin, parecchi degli amici del Centro, e discutevan della condotta da tenere alla Camera. Conveniva meglio lasciar in vita il ministero Richelieu-Pasquier-De Serre, ovvero sgomberare la strada a un ministero De Villèle-Corbière, di pura Destra? Meglio, si tendeva a concludere, attenersi a quest'ultimo partito: i reazionarii, con le loro esagerazioni, non avrebbero potuto rimanere in piedi nemmeno sei mesi, e i liberali avrebbero allora potuto prendere una rivincita sicura, e formare uno schietto ministero liberale, senza magagne e senza compromessi. Assisteva alla conversazione un esiliato piemontese, Santorre di Santa-Rosa, una delle vittime dell'ultima rivoluzione di Torino. Il quale, accorato, si permise di osservare al Cousin: «Il vostro dovere di buoni cittadini è di non combattere un ministero, ch'è l'ultima vostra risorsa contro la fazione nemica d'ogni progresso. Non è permesso di fare il male nella speranza del bene. Voi non siete punto sicuri di rovesciare più tardi Corbière e De Villèle, ma siete invece sicuri di far il male, permettendo che essi giungano al potere. S'io fossi deputato, farei ogni sforzo per ringagliardire il ministero Richelieu contro la Corte e la Destra». In cuor loro tutte quelle brave persone riconoscevan la ragionevolezza di codeste osservazioni, ma, nel fatto, preferirono una tattica che pareva abilissima. Solite illusioni dei galantuomini, quando, maldestri come sono alle male arti, sventuratamente si risolvono a prendere in prestito i metodi dei furbi senza scrupolo!

Il Manzoni riscrisse al Fauriel il 6 marzo del 1822. La catastrofe era avvenuta, e forse già tutte le illusioni dissipate. Il 14 dicembre 1821, il ministero liberale era stato rovesciato,[300] e gli s'era sostituito un ministero di monarchici intransigenti, punto disposti a lasciar presto il potere. Vi entrarono col De Villèle e il Corbière, il De Peyronnet e Mathieu de Montmorency, al quale ultimo, dopo il Congresso di Verona, fu surrogato quello splendido vanesio ch'era, lo Châteaubriand. «M. de Villèle», ha detto il De Mazade, «esprit plus pratique et plus fin que supérieur, n'aimait pas les hommes brillans autour de lui»; e anche lo Châteaubriand, nell'estate del 1824, sarebbe stato da lui congedato. Intanto, il Richelieu era morto di crepacuore, meno di sei mesi dopo la catastrofe, nella primavera del 1822; e il De Serre, che il Re volle si mandasse ambasciatore a Napoli, moriva, anch'egli di crepacuore (il De Villèle aveva spiegata ogni arte perchè questo Bonghi della Restaurazione non riuscisse deputato nelle elezioni della primavera 1824!), il 21 luglio di quell'anno medesimo, nella villa reale di Quisisana a Castellammare di Stabia. Non sopravvisse che il Pasquier; il quale, ripensando a quei tristi avvenimenti, scriveva quarant'anni più tardi: «En 1822, il faut bien que je le dise, la maison de Bourbon a commis un grand acte de déraison: elle a brisé, au moment où il pouvait lui être le plus utile, l'instrument qui lui avait déjà rendu de si grands services. La destruction du second ministère du duc de Richelieu a été, voyez-vous, plus qu'une faute politique; elle a été un véritable crime!». La reazione trionfatrice toccò anche più da vicino gli amici del Manzoni; e, per esempio, fu chiusa la bocca al Cousin e al[301] Guizot. I quali non poteron riprendere i loro corsi se non nell'aprile del 1828, quando una salutare, benchè effimera, bufera, rovesciò il ministero De Villèle, facendo luogo a un ministero liberale con a capo il De Martignac. (Il Cousin dettò allora la sua Introduction a l'Histoire de la Philosophie, e il Guizot l'Histoire de la Civilisation en Europe).

Oramai si poteva anche riparlare di critica letteraria, e, se non altro, propugnare lo sfranchimento dalla tirannia di Aristotile e di Boileau. E il Manzoni riparla della sua Lettre à M. C... (pag. 333):

«Parmi les corrections par lesquelles vous avez bien voulu rendre un peu plus française et un peu plus raisonnable ma pauvre lettre à M. C...., il y a deux petits changements sur lesquels j'ai quelques difficultés à vous proposer. Je vais le faire avec cette liberté que me donne votre ancienne bonté pour moi. - 1.Thèse toujours hasardeuse, dans la première page [312], ne me semble pas rendre précisément mon idée, qui est d'exclure toute sorte de raison, et toute chance de succès, du projet de défendre ses ouvrages, c'est-à-dire de prouver que l'on a bien fait. Ne tenez aucun compte de cette observation, si elle vous parait une vétille; dans l'autre cas, ayez la bonté de substituer un autre mot». - [Ora è detto: «thèse toujours insoutenable»]. 2. Dans l'endroit où j'ai parlé de l'étonnement d'une grande partie du public sur ce que des grands revers n'avaient pas été suivis d'un suicide[302] [pag. 362], mon intention était de rappeler quelque chose de la vie réelle et de l'histoire de nos jours. Dans la copie que vous avez eu la bonté de m'envoyer, cet étonnement ne se rapporte qu'à des compositions dramatiques. Peut-être avez-vous eu quelque motifs que je ne peux comprendre d'ici, pour retrancher tout ce qui pourrait avoir rapport à des personnages et des événemens récens: pour ce qui me regarde, je crois qu'il n'y aurait aucun inconvénient; pour toutes les autres considérations, c'est à vous d'en juger, et de faire ce qui vous paraîtra convenable. Voilà bien des raisonnemens pour deux phrases, et voilà toute une feuille remplie de balivernes».

Ci manca il modo d'indagare se l'allusione, che nella forma definiva della Lettera è abbastanza trasparente («l'époque où nous nous trouvons a été bien féconde en catastrophes signalées, en grandes espérances trompées...»), a Napoleone e ai fatali rovesci che a lui e a tanti suoi fidi, e infidi, seguirono, fu in tutto o in parte modificata. Ad ogni modo, appar chiaro che il Fauriel dovè ritoccare il suo ritocco, dacchè nella stampa lo stupore del pubblico riguarda, senza possibilità di equivoco, gli avvenimenti della storia contemporanea, non già alcune presunte azioni drammatiche.

Il 29 maggio di quello stesso anno 1822, il Manzoni riscrive, proponendo qualche altro cambiamento. Molto significativa è la sua risoluzione di cancellare il nome dello Schiller, là dove lo aveva messo in riga con lo Shakespeare e il Goethe. Dice (pag. 335):

«......il faut que je vous donne encore de l'ennui en vous priant de quelques petites corrections. Il y a quelque part [pag. 375]: formule sacramentelle, à quoi je voudrais substituer: mots techniques, ou tel autre tour que vous jugerez à propos. - Ensuite, je voudrais retrancher le nom de Schiller, qui s'y trouve une fois, et d'une manière qui fait supposer une idée beaucoup plus haute que je ne l'ai réellement de l'importance de cet écrivain au point de vue dramatique [pag. 336]. Vous vous souviendrez peut-être des discours que nous avons tenus sur ce sujet; vos idées ont donné aux miennes là-dessus plus d'étendue et de courage; en relisant les tragédies de Schiller, je me suis confirmé dans ces idées; enfin, je ne mérite ni n'ose le nommer. - Ce retranchement rend nécessaire une autre petite correction (oh! pardon de tant d'ennui que je vous cause!): il y a vers la fin [pag. 379]: si les trois poëtes qui ont méprisé ces règles; on pourra mettre à la place: si tous les poëtes... etc. - Enfin, à ces paroles [pag. 377]: les romantiques amis, il faudrait substituer: les romantiques, ou ceux qu'on appelle romantiques, ou telle autre expression que vous jugerez convenable».

[303]

Il curioso scrupolo di cercare un equivalente alle parole «formule sacramentelle», non fu assecondato dal Fauriel; e dovè poi parere eccessivo allo stesso Manzoni se, anche dopo, non ha cambiato. E quanto allo Schiller, si può vedere più innanzi, nei Materiali estetici, quel ch'egli prima ne pensasse e ne scrivesse.

Le correzioni e i ritocchi non erano ancora finiti. In un'altra lettera, del 12 settembre 1822, il Manzoni ripiglia (pag. 343):

«Je croyais avoir fini, et il me souvient que j'ai encore de l'ennui à vous donner sur..... c'en est trop! sur la lettre a M. Ch...... où j'ai une phrase qui me donne un remords assez cuisant pour me déterminer à vous prier de faire encore une correction. C'est à peu près au tiers de la lettre, où il est parlé du mélange du comique et du sérieux. Voici la phrase téméraire [pag. 331]: Je pense, comme un bon et loyal partisan du classique, que le mélange de deux effets contraires détruit l'unité d'impression nécessaire pour produire l'émotion et la sympathie. Là il me parait évident que je tombe dans l'inconvénient que j'ai tant censuré, de fixer ou de reconnaître des bornes arbitraires, qui peut-être n'ont pas été franchies, mais qui peuvent l'être dans l'avenir, avec bonheur. Voici donc ce que je voudrais ajouter, après la sympathie, pour correctif à cette phrase: ou, pour parler plus raisonnablement...»

E qui seguiva, con piccoli mutamenti di forma, che notiamo a suo luogo, il brano com'è nella stampa, fino a: «mais c'est bien certainement un point dont il n'y a pas de conséquences à tirer...»; poi continuava:

«Voilà ma lettre remplie de corrections... Bien entendu que cette correction subira une recorrection de votre main, dont elle a bien besoin: car le peu de français que j'avais, m'échappe de jour en jour».

Chi abbia l'occhio al brano aggiunto, s'accorge subito che il Manzoni ha voluto, con le nuove e più precise dichiarazioni, scansare il pericolo d'esser supposto un tiepido ammiratore, anzi un censore, del Faust; del capolavoro di quel Goethe a cui oramai lo legavano tante ragioni d'ammirazione e di gratitudine. Ouvrage étonnant, che tutti reputavano, e reputano, un chef-d'oeuvre... à la seule condition qu'on ne[304] lui donnerait pas le nom de tragédie;... va bene; ma, tra le opere dell'olimpico poeta, era poi proprio quella che il nostro grande poeta, cui dava uggia il fantastico, l'impreciso, il vago, e perciò propugnava la religione del vero storico anche nella poesia, prediligeva e preferiva? «C'est ce que je n'ai ni le courage d'affirmer, ni la docilité de répéter»!

In una lettera del 10 dicembre 1822 (pag. 345, dove per evidente svista è stampato ottobre; ma cfr. pag. 198), il Manzoni sente ancora il bisogno d'un cambiamento; e questa volta per evitare possibili noie dalla Censura. Prega il Fauriel di procurare che i primi esemplari del volume, che avrebbe contenute le due tragedie tradotte («Adelchi et son frère aîné vestiti del dì delle feste»), gli articoli del Goethe e la Lettera a Ch..., fossero spediti a Vienna.

«Voici pourquoi: l'admission ou le rejet des livres imprimés à l'étranger, dans une langue étrangère, ne sont pas du ressort de la Censure de Milan; on lui envoie à des périodes fixes un catalogue de Vienne, avec les qualifications respectives, dont elle fait l'application aux livres qui lui sont présentés. Si un livre n'est pas porté sur la liste, il faut alors envoyer à Vienne, non le titre, mais l'ouvrage même pour qu'il y soit soumis à la Censure: c'est comme vous voyez un retard considérable, que je voudrais éviter par le moyen d'une expédition prompte à Vienne».

Non era prevedibile, in verità, che il volume incagliasse tra i battenti della Censura;

«mais quelque exemple récent m'a donné sur la possibilité des refus en général des idées qui autrefois m'auraient paru exagérées, même étranges. Un libraire d'ici, ayant demandé la permission de publier une traduction des Lettres de quelques Juifs par l'abbé Guénée, n'a pu l'obtenir; ayant fait demander à Vienne le motif du refus, on lui a fait répondre que cet ouvrage contenait des choses contraires aux lois existantes. Je connais un peu ce livre, et je vous assure que j'ai de la peine à deviner par quel côté une telle qualification peut lui être appliquée, quand ce ne serait par ce qui s'y trouve contre les lois féodales, pour expliquer, et démontrer probable, la prospérité contéstée des Juifs à une certaine époque».

Codesto strano caso suggeriva al Manzoni il curioso mutamento.

«Cela m'a fait ressouvenir que dans ma Lettre a M. Chauvet il y a un mot sur la féodalité: si par quelque hasard l'impression avait avancé lentement, et n'était pas encore arrivée a ce passage, il ne serait[305] pas mal de faire disparaître ce petit mot: quand ce ne serait que pour éviter au censeur qui a approuvé ici ma Lettre le désagrément d'un damnatur, que je lui épargnerais volontiers, pour lui d'abord, et ensuite parce que l'effet immanquable de ce désagrément serait de le rendre encore plus difficile et cauteleux pour l'avenir. Si le passage est imprimé, comme il est probable, n'y pensons plus, et qu'il aille à la garde de Dieu: autrement, je vous propose une correction, que j'ai préféré de faire comme j'ai pu, plutôt que d'avoir l'indiscretion de vous en charger dans cette occasion».

Si era ancora in tempo, e la correzione fu fatta. Ma, purtroppo, non siamo più al caso di ripristinare il testo, con quel motto contro la feodalità. I periodi rifatti son quelli contenuti nel brano che va dal capoverso: Le règne des erreurs grandes et petites... all'altro seguente: Quand elles en sont à cette seconde époque... (pag. 377). Differiscono dalla stampa per parecchi ritocchi di forma; che sembran certo dovuti alle amorevoli cure del Fauriel.

Finalmente, e come Dio volle, il volume, con le tragedie tradotte e la Lettera, venne fuori; e così il Fauriel ne scriveva al Manzoni in una lettera senza data, ma che fu certamente scritta tra il marzo e l'aprile del 1823 (pag. 203):

«Sachez que votre traduction a éprouvé une multitude de retards que je n'avais nullement prévus, et auxquels je ne devais point m'attendre. Il n'y a guère qu'un mois ou 6 semaines qu'elle est en vente, autant qu'un livre est en vente ici avant que les journaux en aient bavardé à leur manière: c'est à quoi je les provoque maintenant, faute de l'avoir pu faire dans le temps des Chambres où la maudite politique prend toutes les colonnes de la littérature. A ce que j'ai pu voir déjà et à ce que je présume, c'est la Lettre à M. Chauvet qui produira le plus d'effet, et excitera le plus d'attention».

In un'altra lettera del Fauriel, del 23 luglio dello stesso anno (pag. 207), si danno queste ultime notizie circa l'accoglienza fatta in Francia a quel singolare saggio di critica drammatica:

«Je ne crois pas vous avoir dit que M. Chauvet se proposait de répondre a votre réponse; c'est ce que l'on m'a annoncé, ce que je ne crois guère, et ce qui est assez indifférent. - Ce que je sais mieux, c'est que l'auteur de Marie Stuard [Pietro Lebrun, che aveva data nel 1820 una tragedia di codesto nome, molto bene accolta] a donné au théâtre une pièce [forse il Cid d'Andalousie] conçue dans vos idées, qu'il adopte entièrement, et ne contestant que les raisons par lesquelles vous combattez le mélange du comique et du sérieux. Il tient lui à ce[306] mélange, le croit dans le but comme dans les moyens de l'art, et espère le faire passer sur notre scène, à la faveur de la popularité de Talma, qui paraît être de son avis et de son goût. Vous voyez que vous n'avez pas prêché tout à-fait dans le désert. Je pourrai bientôt ou vous en dire ou vous en écrive davantage à ce sujet».

Per buona fortuna, le teorie drammatiche del Manzoni avevano avuto in lui medesimo un ben più valido poeta, che non il signor Pietro Lebrun. Il quale, nonostante il valido patrocinio del Talma, andò incontro a un vero naufragio. E gli mancò la voglia e il coraggio di ritentare il teatro. Si rivolse perciò al poema narrativo e descrittivo: e il suo Voyage en Grèce, pel quale forse non gli mancavano gl'incoraggiamenti dello stesso Fauriel, appassionato raccoglitore dei Canti popolari della Grecia moderna, ebbe elogi ch'è sperabile lo compensassero delle amarezze drammatiche.

*

Il Fauriel, pubblicando la Lettre à M. Chauvet, le premise quest'Avvertenza:

«Plusieurs de nos journaux rendirent compte, avec plus ou moins d'éloges, du Comte de Carmagnola de M. Manzoni, lorsqu'il parut, au commencement de 1820, et notamment le Lycée Français, qui en donna une analyse étendue et soignée, analyse où les beautés de la pièce annoncée étaient appréciées avec beaucoup de goût et d'intérêt, et où le parti qu'avait pris l'auteur de s'affranchir de la règle des unités était combattu par des raisons ingénieuses et en partie nouvelles.

M. Manzoni, qui se trouvait alors à Paris, et qui eut connaissance de cet extrait, ne fut ni insensible aux éloges donnés à son talent par un juge éclairé, ni surpris des objections faites au système dramatique qu'il avait suivi. Mais, loin de trouver ces objections sans réplique, il crut au contraire y apercevoir des nouveaux motifs de persister dans son opinion sur la règle des unités; et il céda à la tentation d'écrire, à ce sujet, quelques observations qu'il se proposait d'adresser, en témoignage de reconnaissance et d'estime, à l'auteur même de l'article qui les lui avait suggérées.

Des obstacles imprévus empêchèrent M. Manzoni de terminer sa lettre assez tôt pour qu'elle pût avoir un à propos de circonstance, et de s'y appliquer autant qu'il y était disposé. Bientôt après, obligé de repartir pour l'Italie, il ne songeait plus à mettre au jour un écrit qu'il n'en estimait pas digne, et auquel il n'avait pu donner tout le soin dont il était susceptible. Cependant, ayant eu communication de[307] cet écrit, j'en avais pensé autrement que son auteur; je l'avais trouvé d'un mérite et d'un intérêt qui m'avaient fait désirer sa publication, et qui me paroissaient rendre fort indifférent le retard accidentel de cette publication. Je priai donc M. Manzoni, à son départ, de me laisser le manuscrit de son ouvrage, en m'autorisant à le mettre au jour quand et comme je le trouverais à propos. Cet ouvrage est celui qui suit, et qui, je l'espère, ne sera pas réputé indigne des deux tragédies auxquelles je le joins ici, comme une sorte d'appendice, qui aidera à comprendre les idées et les vues d'après lesquelles elles ont été conçues et doivent être jugées.

Cet opuscule n'a pas seulement été composé en France; il l'a été en quelque sorte, pour la France, et de plus, en français. Ce sont pour moi des raisons de plus de souhaiter qu'il soit accueilli comme il me semble mériter de l'être. Je dois, du reste, prier les lecteurs de ne pas y chercher plus que son auteur n'a eu le dessein d'y mettre, et d'y voir moins un traité méthodique et en forme sur le sujet indiqué par le titre, que l'effusion libre et abondante de beaucoup d'idées fines ou profondes relatives à ce sujet, et qui ont jailli, rapidement et comme à l'improviste, du choc accidentel des idées contraires».

Scherillo.

[308]

[309]

Share on Twitter Share on Facebook